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E proprio da Les Pygmées de Carlo è il caso di intraprendere questo itinerario tra le "nostre" foreste abbattute, rimeditando che da noi i film per la tv diventano orribili macchiette piene di stereotipi fuorvianti sulla storia italiana degli ultimi 40 anni, accozzaglie di luoghi comuni stappalacrime (con addirittura i fantasmini pronubi nei boschi della toscana, altro che spiriti della foresta: noi abbiamo gli sbirri nella testa, ovunque!!), mentre in Francia almeno tentano di rimeditare sul colonialismo antropologico. Anni luce ci dividono anche dal punto di vista dell'innovazione linguistica: il didatticismo insito in ogni prodotto per la tv è diluito in un modo che il dozzinale Giordana si sogna persino quando parla di Basaglia (che è il momento migliore - meno peggio - della Meglio gioventù) al contrario della perfetta amalgama del rumeno naturalizzato che mescola con il gustoso racconto metalinguistico l'apparato documentaristico, a tratti esilarante - la cacca sulla tartaruga è da antologia: un animale sacro che trasporta la cacca occidentale lentamente per tutto il campo - e che scade nel fotoromanzo solo nel saluto finale all'aeroporto tra la bella e l'operatore (ma che cazzo di capitano Pinkerton in pieno Cameroun!? Sarà rimasta incinta? perché "Tornerò"?).
Innanzitutto, per chi non ha visto il film di Mihaileanu e adottando un anodino - per noi - tono didascalico, che si adatta ai testi affrontati, spieghiamo cosa c'entrino le foreste in questo discorso: il momento più esilarante del film è dato dal solito racconto di tradizione ebraica, autoironico per l'autore di Train de vie, che anche in mezzo ai pigmei torna al suo stetl; ebbene il protagonista racconta confusamente di tutte le divisioni e di tutti i dubbi della tradizione giudaica portati a livello individuale, per noi comprensibili solo a seguito della dipendenza sotterranea tra le culture occidentali e dall'adiacenza delle nostre tradizioni culturali con quelle ebraiche, ma il traduttore bantu, che fa da tramite con i pigmei, ha buffissime espressioni interrogative fino alla rinuncia di tradurre cosa possa dividere Ashkenaziti e Sefarditi... ma il più autorevole dei pigmei comprende ugualmente e ci lascia cadere pillole di saggezza: "La tua foresta è bruciata: tutti gli spiriti dei tuoi antenati sono nella tua testa". Invece i loro antenati scorrazzano liberi per le foreste, dove i pigmei ("Gli ultimi schiavi rimasti sulla terra", afferma il regista, malato terminale, che li ha scelti per questa prerogativa simbolica per il suo ultimo film) si rifugiano facendo perdere le loro tracce quando il loro padrone "è cattivo" e... «la foresta è grande».
Da questo si direbbe derivino due possibili conseguenze: il relativo nostro sradicamento consentito dal fatto che apparentemente ci si può spostare senza timore di abbandonare Lari e Penati da un lato; e dall'altro l'enorme sforzo - degno del Kien di Auto da fé di Canetti (che a proposito di tradizioni svanite e residue solo nel suo ricordo fatto Lingua salvata era un vero esperto) - di trattenere gli spiriti in noi senza lasciarli liberi di occupare lo spazio attorno a noi rendono i nostri sguardi più duri - per lo sforzo? - dei nostri sessi (come si perita di avvertirci la splendida ragazza Desirée). In entrambi i casi si spiega la deriva culturale che sta travolgendo quelle strutture nate dalle istanze del passato.
Una deriva che però ha prodotto anime belle, tali da rinunciare all'impresa di "deportare" (notare che il termine non viene mai pronunciato nel film, ma i trascorsi del regista e le allusioni alla shoa lo lasciano aleggiare lungo tutto il film) temporaneamente alcuni pigmei a Parigi (un'"occasione" irripetibile per loro, come si ripete più volte) solo perché si rende conto che ne verrebbero contaminati e la loro esistenza anche al ritorno non potrebbe più essere ripristinata, rischiando di sterminarli. Sicuramente avrebbe marcato una rivoluzione di costumi, esperienze e.. odori tale da impedire la sopravvivenza lì, dove ci sono i loro spiriti.
Anche se avessero condotti questi ultimi con loro nel computer portatile - invadente con i suoi richiami sonori e le comunicazioni costanti, dovute al bisogno di rendere partecipi i nostri amici e parenti di ogni esperienza fatta - le sirene della società occidentale avrebbero contaminato anche loro, anzi li hanno già contaminati, perché le credenze del malocchio dei Bantu dai pigmei etichettate come sciocchezze, sono state intaccate dalla suggestione del computer, scatola nera in cui sono stati trasferiti gli spiriti per farli viaggiare anche loro verso Parigi.
Eppure anche quella società può essere percorsa da una deriva, che viene mostrata prima della parte sana: introdotta da un'immagine da Quarto stato malato: non fiero e consapevole della propria pacata forza ottocentesca, ma sconfitto e ebbro, schiavo nella più abbruttita accezione, riempiti di alcol per essere meglio sfruttati i primi pigmei mostrati comunicano solo tristezza: non vivono più liberi nella foresta, ma sono in cattività. Squallido specchio della condizione di chi ha bruciato la propria foresta dietro le spalle o ha venduto gli ultimi lotti della spiaggia della Florida.
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