Struttura a flashback intrecciata al percorso parallelo dell'arma inarrestabile









Il mestiere delle armi adotta ritmi calibrati sull'agonia raccontata in flashback: c'è poi un'intrusione di un flasback nel flashback che è l'unica deroga concessa alla chiusura temporale entro l'ultima settimana di vita del giovane irruente guerrigliero (e quell'unico momento è onirico, ipnotico, quasi surreale, come l'impiccagione dei blasfemi, che però è crudele nei toni freddi di una fotografia invernale che rimanda a Bresson, ma trae qualche eco anche da Aleksandr Nevskij di Ejsenstejn, che serve per completare il cerchio dell'epilogo con le lacrime dolenti di fronte al piccolo orfano).













Non disturba l'espediente del flashback, perché cadenzato come una lunga via crucis fatta di tappe nell�epilogo di una vita di un giovane uomo che espia fino in fondo esperendo la propria condizione di simbolo di un'epoca in dissolvimento: la sequenza della battaglia fatale sarebbe da rubricare in un'antologia col titolo "superamento della storia" e non a caso è ripresa al rallentatore come molte sequenze del regista di The wild bunch, saga dell'epigonismo eroico, in questo caso commentata da un lancinante Stravinski, il compositore di L'Histoire du Soldat.

La struttura del film è complessa, perché oltre al flasback intreccia il viaggio in montaggio parallelo della colubrina (minacciosa intrusione nel piano del racconto: destinale inevitabile flusso della storia)

dal momento in cui viene forgiata, al percorso che segue, con dovizia di cartine d'epoca, fino alla sua applicazione in un'imboscata, non a caso: a sottolineare la sparizione della cavalleria de' gentilomini e incastona come in una miniatura infiniti personaggi acronicamente recuperati in contrappunto alla vicenda di Joanni de Medici.