La storia sancisce la caducità con il peso delle date







Il film sembra come compreso entro due immagini uguali (la navata), entro due approdi al 30 novembre 1526, perno, inizio e fine di "Quel che è venuto il movimento di fare, sia fatto". Ma soprattutto entro due enunciazioni del narratore (Pietro l'Aretino) che rifiutano l'uso delle armi.










Nel momento in cui le forze vengono meno appare più evidente il languore che fu già delle deposizioni e in particolare della Pietà di Lotto (Brera, 1546), dove l�abbandono del corpo rimarca l�inanità degli sforzi e dunque l�adeguamento ad una regola che misuri e controlli le emozioni tipica di Lotto, benché venata da momenti di improvvisa furiosa ribellione al destino, corrispondenti ai momenti di pathos del dolente Lotto, contrapposti a calma razionale che subentra all�impegno allo spasimo nella lotta (di qui il contrasto con la dinamica di guerra che fa riferimento a Paolo Uccello): il contrasto tra i due mondi è un�opposizione anche iconica. Entrambe confluiscono nella figura pittoricamente riassunta dalle deposizioni: pacificazione dopo la passione, riferimento costante dall�amputazione all�esposizione della salma.







L'aspetto documentario specificato puntigliosamente con le didascalie sulle figure, tutti introdotti con data di nascita e morte in caratteri d'epoca sovrimpressi a sottolinearne la caducità, figure in movimento, vive, eppure inchiodate da quelle date in un'epoca passata, conclusa, pare sintonizzarsi con l'intelaiatura a flashback che accentua la sensazione di fine di un tempo con il suo spirito. E simultaneamente estende anche alle figure di contorno quella componente destinale, con la data di morte ormai sancita, quella stessa ineludibile fermata definitiva che macera l'esistenza della vittima sacrificale, avvicinando Joanni alla inevitabile passione cristologica. Inoltre l'apparizione della connotazione temporale legata alla data di morte (30 nov. 1526), a partire dalla quale si percorre a ritroso la fine della vita dell'avventuriero, le conferisce un rilievo come se fosse un'incisione su una pietra tombale per l'intero umanesimo, la stessa sensazione che si prova a leggere l'opera Consolatoria di Guicciardini, databile proprio nel periodo in cui intercorre la fitta corrispondenza con Macchiavelli (1521-1527).
Nel film si oscilla tra le due posizioni, in particolare nei dialoghi nella tenda da campo, dove L'arte della guerra viene discussa, sancendo con nostalgico dispetto: «La politica è più forte della guerra»