E l'iconografia cinematografica è rappresentata dai riferimenti a tutti i maestri precedenti: moltissimo Stone, ma depurato del compiacimento, e un po’ di Spielberg emendato della retorica, come viene scremata la parte filosoficamente nobilitante in Malick, echi coppoliani (forse indotti dagli elicotteri) e il disincanto amaro di Peckimpah, ma soprattutto tantissimo Fuller, primo nome citato nei ringraziamenti, del quale si porta al parossismo l'iperrealismo della concitazione, il disturbo dei rumori reali, l’aderenza all’anarchismo di fondo, amarissimo e incentrato sulla solidarietà dei singoli protagonisti di fronte al dolore. Forse non si ottiene l'effetto di autenticità artificiale di Saving Private Ryan, che infonde ribrezzo e porta sull'Omaha Beach a partecipare dello sbarco e della perdita delle braccia, ma sicuramente stordisce il rumore dell'elicottero e la ripetizione della routine nausea (il dottore ferito alla fine dirà: "Ogni minuto di silenzio per me è sacro"); quando s’interrompe il cortocircuito virtuoso tra sguardo sull’ineluttabilità della morte e la sua insostenibilità si fa "discreta", solo allora subentra la ripugnanza della velocità con cui l’assuefazione ci coglie all’ennesima barella scaricata da un carro armato: è una dimostrazione di quale condizionante potere sottile sia contenuto anche nelle documentazioni più rigorose, l’evidenza sbandierata e portata alle estreme conseguenze per denunciare la forza di persuasione come obnubilante strumento per ottundere le facoltà percettive. Le macchine belliche sono sempre fantasmi scostanti, pachidermi che si aggirano senza meta apparente, privi di alcuno spessore narrativo: quinta scenica in movimento che sconcerta per la evidente insensatezza dei loro percorsi così profondamente segnati nel fango, che le riprese dall’alto approfondiscono ulteriormente, assimilando quel paesaggio alle rughe che increspano i campi lunghissimi di Sharuna Bartas e imprimendoli a lungo nella storia. Ogni cingolato è un repellente ammasso di ferraglia e in mezzo a loro la squadra di barellieri zigzaga concitata cercando di evitarli in un costante stop and go dal quale deriva il ritmo del film nel quale si alternano momenti riflessivi – al chiuso e a due – ad altri di concitata azione, come se agisse su un altro piano però, in un universo che non si può intrecciare con le traiettorie assurde di quei mostri semoventi alla cieca, perché privi di ragione.