Strade deserte, come solo in Israele se ne vedono: le feste comandate sono rispettate, anche troppo.

I ritmi di racconto sono dilatati, come solo nei film di Gitaï si rispettano i tempi interni alle azioni documentate.

Questi due aspetti s'incontrano per sospendere in una assolata Haifa un giovane che percorre completamente una via svuotata di persone.

a. É solo la prima delle tre parti del prologo del film: se ne evince dunque che l'elemento essenziale che si vuole mediare come sensazione iniziale è l'atmosfera irreale della festa di Yom Kippur, esagerata dalle poche camionette dell'esercito che circolano nelle immagini per segnalare una forte anomalia e la conseguente eccitazione per un momento già fisicamente percepito come "storico"con il corpo del giovane che deambula e la prossemica delle strade del 6 ottobre 1973, compleanno del regista e dunque simbolico della commistione della vita dell’individuo Amos con la Storia del suo paese.

b. Nella seconda parte del prologo la preparazione è composita e probabilmente dà vita al più artistico addio tra un richiamato in guerra e la sua compagna. Cominciano a stillare sullo schermo colature di colore in macro, macchie policrome e dense, materia spruzzata su una superficie; poi su quella composizione astratta cominciano ad apparire mani e braccia che si toccano confondendosi con i colori, mentre il jazz di Garbarek amalgama l'action painting in atto, introducendo un nuovo tassello della Pollock renaissance di quest'anno. Infine si vedono i due corpi nudi, completamente tatuati dal rivoltolarsi nel profluvio di colori a olio impastati dalla passione, profonda, ma non euforica, anzi quasi consapevole di vivere un istante che ritualmente rappresenterà un passaggio e quindi l'unione dei due corpi, lungi dall'essere erotica, diventa body art trasformata in disperato abbarbicarsi al corpo dell'altro per centellinare quegli estremi momenti di corticale piacere; di legame assoluto, prima di un lungo distacco immerso nelle campanelle zen. E fine di un'innocenza, di quella verginità che aveva accompagnato Israele fino a quel momento, anticipata dalla sirena lacerante lo spazio così ricostruito, che infatti incrocia il giovane protagonista ormai sulla strada, in partenza per il fronte.

c. Il terzo momento del prologo si contrappone a quello specifico ricordo personalissimo, fatto di considerazioni tattili e epidermiche, atemporali e universali: la radio della Fiat 124 dà le coordinate temporali (guerra arabo-israeliana del Kippur, 1973) e spaziali (alture del Golan, confine con la Siria). Ma non è ancora tutto: il regista comprende che quell'amore consumato in rituali che esagerano i contatti del corpo, quelle coordinate non sono ancora sufficienti a dare il senso del dibattito di quegli anni e allora aggiunge l'analisi filosofica: Marcuse, L'uomo a una dimensione: "Liberarsi della pubblicità per non essere alienati dai falsi bisogni indotti". Quanto tempo è passato da quando sentivamo la parola "alienati" come basso continuo delle nostre vite? e quanto invece quella condizione, di cui non si parla più, si è imposta alla nostra reificazione da parte delle merci?!