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France Europe Express
viaggio fra le vite del cinema francese di oggi
I buoni e i cattivi e...
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Buoni

Cattivi
Né buoni né cattivi, soltanto incazzati (!)

Guediguian, Cantet e la "feccia sociale".

Veysset e il populismo (da noi diventa Virzì e i suoi struzzi con la stessa neve della francese, solo che è popolata da visioni simil-felliniane), che in Francia risale alla demagogia realista e strappalacrime di Nanà: è un modo per perpetuare la tradizione francese di rappresentare la gente del popolo alla Zola

In Wenders lo stesso criterio di indagine e identificazione degli indizi che ci portano a scoprire la nazificazione della società che si trova in Kassovitz si limita poi a una demonizzazione sterile e repellente per noia e banalità derivanti da Bono.

Von Trier

Dogme #3: la versione francese evidenzia ancora di più i limiti della intuizione dogmatica. La via francese non riesce a fare a meno di quel tocco di Truffaut che non può mancare in ogni storia d’amore d’oltralpe, resa ancora meno attraente

Dumont gira i suoi film in quel corpaccione vandeano della Douce France che coincide con il più retrivo atteggiamento reazionario da noi espresso attraverso il cattolicesimo padano (dove Bernanos ci farebbe la figura di fervente estimatore del cattolicesimo conciliare giovanneo), l'orgoglio di essere bifolchi dei legaioli, il forzanovismo veronese. Probabilmente l'intento di Dumont è semplicemente di cogliere uno spirito di un tempo e di un luogo, ma poi per il modo in cui insiste sui silenzi dei personaggi, per come segue i loro gesti meccanici, per i crimini "spiegabili" proprio da quel paesaggio e dalla
statica aria mefitica che ammanta quella provincia, finisce con accumulare
motivi validi per dare una patente ai suoi personaggi. Il fatto che il suo sguardo sia apparentemente distaccato non significa che si discosti dallo stesso provincialismo che descrive, solo che cerca di nasconderlo dietro un'assenza di
commento assordante, che finisce con il riempire lo schermo occupato da un
linguaggio minimale, tale per avvicinarsi al vuoto descritto fino a esserne preda e cadere in quel buco nero che è la provincia europea.

Une Liaison pornographique è curioso che s’inizi con un’intervista che impone l’uso dello sguardo in macchina come in La Bûche e come all’inizio di La Fille sur le pont, dove è evidente il tentativo di riproporre a distanza di quarant’anni i fasti di Anna Karina, Anne Wiasemski o Jean Seberg (Leconte è un regista che gira come piacerebbe a sua nonna felliniana, ma con un enorme senso della sua appartenenza alla cultura francese, basti pensare alle ghigne dei suoi attori feticcio). Benché sia lecito apprezzare di Monsieur Hire il modo in cui viene accarezzato lo sguardo che si posa sulla ragazza, mentre è atroce l'inespressività dello sguardo stesso; può essere da rivista patinata La ragazza sul ponte ma, riuscendo a superare l'imbalsamata figura di Auteil (è in uscita Sade, dalle letture fatte durate Venezia lo immagino letale), si possono rintracciare nello stesso sforzo di leziosità elementi esaltanti
quella lievità - cifra del lavoro del regista odiato dagli inrockuttible - che trovano nel ballo sulla musica rai del marito della parrucchiera il momento migliore del film; dunque quei cinemi che irritano quando superano una soglia di sopportazione della francesità, sono quegli stessi che non
possiamo non amare in Carax o addirittura - esagero - in Godard. Forse si rintraccia l’approccio baudrillardiano in questo risalimento alla nouvelle vague per connotare con caratteri francesi una seduzione che ormai non può che assumere caratteri internazionali, però si finisce con l’assimilare questo sentiero interrotto francese alla cinematografia europea con il neocolonialismo di Himalaya, film carico delle stesse buone intenzioni dei pionieri del cinema afro-francese degli anni cinquanta, solo che è passato mezzo secolo e loa concezione di se stessi e degli altri che pervade gli autori transalpini è rimasto lo stesso.

I Ragazzi del Marais è il più classico prodotto della nostalgia del buon vecchio tempo che fu, quando la Francia non era sottoposta all’invasione Usa.

Kassovitz ha un atteggiamento diametralmente opposto a Wenders nel proporre lo stesso sgomento per le forme di controllo in mano al potere: basti confrontare la sequenza finale di Assassin(s) e l’ossessione retorica degli ultimi lavori di Wenders. Per Kassovitz si tratta sempre di individuare quanto ci sia di nazista nell’immagine che sta proponendo per individuarla e sabotarla anche visivamente

Beau Travail è il militare non ancora uranizzato dagli odiati americani e infitto nel retaggio della Legione Straniera. Rimane ancora profondamente legato agli stereotipi, ma comincia a farsi prendere dai dubbi sulla grandeur e sull’effettiva positività della presenza francese oltremare. In compenso risulta profondamente innovativo il modo di raccontare adottato.

Romance: diventa altro da sé la seduzione nei canoni baudrillardiani, ma permane l’aborita reificazione della macchina desiderante.

A vendre è ancora diverso modo di intendere quella stessa destinale attrazione seduttiva che unisce Castelletto alla protagonista e discende la china dell’auto- abbrutimento di oggetto scelto solo per restituirsi purificata dopo la discesa negli inferi della metropoli. Anche in questo caso curiosamente ci si affida a interviste che spesso si rivolgono in macchina per creare il personaggio, quasi che questo modo sia quello riconosciuto come il più immediato per tratteggiare un carattere .

Il film è un coraggioso tentativo di disfarsi del retaggio provinciale, ma, nonostante l’epilogo scavalchi l’Atlantico — riconoscendo nell’America la capacità di restituire un’anima — la provincia rimane appiccicata al nome della protagonista: France.

Rohmer ha contribuito a creare quei racconti tipicamente francesi inseriti in cornici allegramente inesportabili, ma il più delle volte dotati di un potente senso della leggerezza e sospensione in bilico tra insopportabile orgoglio dei propri vezzi e godibile descrizione dei motivi per cui il modo di vivere francese è attraente.

Rien sur Robert sta a metà tra l’orgoglio di essere francesi (e intellettuali) e il bisogno di dileggiare le proprie strutture di fabbricazione del sapere e del consenso intellettuale. Non si potrebbe immaginare al di fuori di un mondo cresciuto all’ombra dei Cahiers, ma al contempo è in grado di usare le strutture tipiche dell’intelligentzia parigina per cercare di scardinarle: il risultato è pari a La Noia da questo punto di vista: un asfittico tunnel privo di uscita, la differenza è che Bonitzer se ne rende conto e, forse, è aperto anche ad altre forme di sapere (non esiste la possibilità nell’illuminismo di stroncare un film senza averlo visto)

Jean-Luc Godard: si è lasciato scappare qualche parola di appoggio alle campagne eurocentriche, ma 40 anni di cinema parlano chiaro. Anche se non ci fossero quelli, con 2 fois 50 ans ha ridicolizzato le celebrazioni del '95 per il centenario dei Lumière. Da almeno 20 anni lavora per sottrazione sulla figura dell'autore, figuriamoci che cosa può pensare della sua provenienza geografica…

Leos Carax: francese e metropolitano, anche lui ha rovinato una festa secolare ai francesi e, nella stessa occasione (Pont neuf), ha perfino intrapreso un'avventura produttiva wellesiana citando L’Atalante nell’unico modo finora all’altezza dell’inarrivabile originale. I suoi dialoghi si ribellano al "parlato francese" e ne diventano una forse involontaria parodia. Le sue riduzioni da testi già dannati sono urla di dolore soffocate soltanto dalla visionarietà e dalla scelta di locations realmente post-tutto. Lo assimilano a Godard l'isolamento e la difficoltà di vedere i suoi film.

Baise moi: concilia il Baudrillard della seduzione con quello attratto dall’America.

Ocelot e le sue fiabe di Principi e principesse si assimila paradossalmente a questo film relegato nella liberale Francia nelle sole sale X a luci rosse, diventando la quintessenza della trasformazione dell’uno nell’altro che Baudrillard ha tratto da Allais, poiché non è certo convenzionale la trasformazione finale della coppia di principi che passano attraverso una serie di metamorfosi da far invidia a Ovidio. Tradizionale
nella forma di animazione ma coltissimo - Klee, Okusai, Leonardo.- e capace di incantare i ragazzini con i suoi colori e le sue fiabe nelle quali essere catturati, proprio come avviene col cinema, un mito del quale si omaggia nel film con il riferimento alla pioniera Lotte Reiniger. Ma l’internazionalismo di Ocelot è palese nei riferimenti iconografici, nei dettagli curatissimi, nella tradizione "desiderante" non solo francese, ma postmoderna; nel rispetto della tradizione altrui, messa alla stregua del proprio retaggio culturale