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France Europe Express
viaggio fra le vite del cinema francese di oggi
Parte 3: la clonazione
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Cinema e Francia, storia anche di aporie, contaminazioni, scavalcamenti di campo, eccezioni e, in termini calcistici, prestiti e comproprietà. Come quelle dei cantanti prestati al cinema, con risultati di rilievo: Yves Montand (La guerre est finie di Resnais; L’aùerikano), Serge Reggiani (con Sautet: Vincent, Paul, François et les autres, sconciamente distribuito in Italia come Certi piccolissimi peccati), addirittura Jacques Brel diretto dall’avvocato André Cayatte; e poi, forse meglio di tutti, Aznavour diretto da Truffaut (Tirez sur le pianiste). Prestiti di attori al servizio di registi non francesi: superba l’icona di un Michel Piccoli che in Italia fa ottime prestazioni (con Anouk Aimée in Salto nel vuoto di Bellocchio per esempio); addirittura iniziative produttive come quella di Jacques Perrin che oltretutto interpreta anche Drogo nel Deserto dei Tartari di Zurlini; e ancora il pasoliniano Laurent Terzieff...

Ma c’è anche il cinema realizzato da non-francesi in terra di Francia, con esiti che passano alla storia: sono francesi tutti gli ultimi film di Buñuel, i Tre colori di Kieslowski e così pure La double vie de Véronique; francesi vari Costa-Gavras; quasi francesi la formazione e l’aria respirata da Kiarostami e in parte Anghelopulos. Si collocano in Francia i risultati migliori di uno Scola: Le bal e La nuit des Varennes per quanto così diversi uno dall’altro.

Le Trou

Poi ci sono alcuni generi tipici: il noir inteso alla francese (grande icona quella di Lino Ventura), Becker, la commedia acido-borghese di provincia, che Chabrol da quattro decenni continua a rivitalizzare; ma era provincia anche quella di Malle (Lacombe Lucien), è provincia, per quanto culturalmente aristocratica quella del Rohmer di Provenza, la vigna, la campagna, oppure il mare. O la provincia isterica, sgradevole, aggressiva dei personaggi survoltati di Pialat (A nos amours, Loulou). Anche il film ibrido, che muiove dalle cadenze e dalle strutture del documentario per cercare altri lidi: Microcosmos e più recentemente Himalaya. A suo tempo l’elevazione del film documentario a prodotto carico di dramma e di pathos raggiunse esiti inarrivabili con Resnais: non solo Nuit et brouillard, ma anche il suo Van Gogh, Les statues meurent aussi, Gauguin, Le chant du Styrène).

La grande illusion

Ma forse il fascino maggiore sta in quella straordinaria figura, precorritrice di tutto, che fu Renoir. Per il quale vi lascio con le righe scritte da mio cugino, organizzatore nel 1979 della retrospettiva al Festival dei Popoli di Firenze, con proiezione integrale di tutta l’opera in versione originale e convegno di vari giorni (C. Beylie, G. Rondolino, E. Bruno, G. Fink, P. Baldelli e altri ancora, per quel che mi ricordo di un’appassionante settimana).

La nuit des Varennes

Nell’introduzione al catalogo, di cui farò ampia citazione, dunque, a proposito del carattere sfuggente del regista, scriveva Giovanni K. Koenig: "... smembrando i suoi film in sequenze o trattandoli per argomenti, si trova sempre qualcuno bravo almeno quanto lui. Nel dipingere i caratteri femminili con la cinepresa, G. W. Pabst e Stroheim sono stati inarrivabili (...). Se si sostiene che il cinema sia arte figurativa nonché esibizione di materiale plastico, sia Dreyer che Ejzenstejn lo battono di varie lunghezze. Se l’immagine ripresa en plein air deve denotare eleganza, ariosità e melanconia, Max Ophüls, sia nella fotografia che nei movimenti di macchina, è stato più bravo di lui varie volte. Se il cinema è anche una macchina ritmica dal montaggio inesorabile che fa restare attaccati alla seggiola, Lang, Hawks, Ford e Hitchcock sono dei costruittori di film più abili di Renoir. Se il cinema fosse solo humour sottile, battuta indimenticabile e ritmica indiavolata, chi può pensare di battere Lubitsch ed il suo allievo Billy Wilder? Insine, se il cinema è un volto indimenticabile, uin pezzo di recitazione da antologia — lasciamo da parte Bergman come fuori concorso - il duetto a tavola fra Michel Simon e Louis Jouvet di Drôle de drame va iscritto a merito della coppia Prévert-Carné, e non a Renoir. Ma il cinela (...) è sempre un insieme di tutte queste virtù; ed il paradosso è che l’autore più autore del cinema - Jean Renoir - era anche il più convinto assertore della paternità collettiva del film"...

 
Casque Or