Ricorsività tracinema e società argentina
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«La libertà si dà con gli altri, non senza di loro. Negli anni a cavallo del ´68, moltissime persone hanno seguito uno slancio collettivo che trascendeva il registro individuale, e non lo hanno fatto per reazione a un trauma, ma spinti da un desiderio di libertà di un sentimento di felicità che sentivano di condividere. Ma oggi questo slancio collettivo è percepito come una minaccia a quel che c´è di più sacro
il portafoglio, la piccola vita di individui che, come dice Debord, non trovando ciò che desiderano, si accontentano di desiderare quel che trovano.» |
Ci furono Montoneros, Erp, il proceso militar, la guerra sucia per las Malvinas, Alfonsìn, le orribili leggi di obediencia debida e punto final, Menem e Cavallo e De la Rua Duhalde. Nel cinema argentino sono tutti sfondi, ridotti a retaggi, utilizzati, come forse è giusto, quando serve ottenere un effetto di vissuto che conferisca un valore storico, come una marca per ricordarci che il potere è sempre uguale a se stesso in ogni epoca e con qualsiasi regime, perché il Contropotere (titolo di un libro di Miguel Bensayag in uscita per Eleuthera) sorge sul Mito dell´individuo (altro titolo dello stesso autore in uscita per Mc), e qualsiasi movimento popolare che trova spazio nel racconto filmico argentino da protagonista collettivo soltanto in La noche de los lapiches, e solamente all´inizio diventa ambito in cui inserire episodi individuali; a parte alcuni ottimi exploit tra cui lo splendido lavoro fatto da David Blaustein (Botin de Guerra, un espressione che si trova anche in I vent´anni di Luz di Elsa Osorio, Guanda, Parma 2000) su las abuelas, che hanno più visibilità di las madres poiché Estela Carlotto è meno intransigente dell´immensa Hebe de Bonafini (per chi ha avuto il piacere di vibrare sotto le sue parole al termine dello spezzone del corteo di Genova che il 21 luglio è riuscito a concludere il percorso) questa mancanza di una reale riflessione comune spostata su un altro piano, spesso emotivo o romantico, ha prodotto notevoli film, ma ne è conseguita anche quell´impreparazione dell´immaginario a inventare strategie collettive, una volta che si raccoglie un sentire comune; e ciò conduce fatalmente allo stallo le fiammate di ribellione, come è avvenuto puntualmente dopo la cacciata dei 4 presidenti in due settimane: che fare ora? |
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«Ma la partita vera la sta giocando un nuovo "radicalismo antisistema". Un forte movimento popolare innovativo, multiforme e reticolare, con una grande tradizione di lotta, sviluppa modalità alternative nella città, occupa le terre, propone forme di socialità diverse. Molti giovani vanno a vivere con gli indiani. Da oltre un anno ci sono piccoli focolai insurrezionali, dalla Patagonia a Buenos Aires. Le griglie di lettura tradizionali non servono più. Per esempio ci sono i piqueteros, gruppi di persone (operai, studenti, disoccupati), che occupano un quartiere per un mese, una settimana, pochi giorni, fanno delle barricate, si coordinano fra loro. Non c´è una rappresentanza istituita, e questo fa impazzire l´autorità: non sa con chi prendersela, con chi trattare. È un laboratorio di molteplicità, le componenti politiche non possono appiccicare bandiere [
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Il Chiapas ha segnato l´inizio di un´inversione di tendenza con gli anni ´80, quelli del postmodernismo, della "fabbrica dell´oblio". Genova ha mostrato che il poere resta tale anche nelle " società complesse ". Può tollerare la violenza del fine settimana, i giovani arrabbiati che vorrebbero solo ciò che il sistema offre. Ma quando la violenza si oppone veramente ai simboli del potere, il potere la riconosce e la reprime [
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L´11 settembre per me è l´anniversario del colpo di stato in Cile. In quel giorno migliaia di esseri umani hanno continuato a morire nel mondo per gli effetti del capitalismo »
Miguel Benasayag, Alias 5 gennaio 2002.
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Adriano Boano