Ricorsività tra

cinema e società argentina
2º puntata

Il sistema bancario internazionale - 'Chorros', Jore Coscia e Guillermo Saura, 1988
Storia in trasparenza sugli individui - 'Un lugar en el mundo', Adolfo Aristarain, 1991

«La libertà si dà con gli altri, non senza di loro. Negli anni a cavallo del ´68, moltissime persone hanno seguito uno slancio collettivo che trascendeva il registro individuale, e non lo hanno fatto per reazione a un trauma, ma spinti da un desiderio di libertà – di un sentimento di felicità – che sentivano di condividere. Ma oggi questo slancio collettivo è percepito come una minaccia a quel che c´è di più sacro… il portafoglio, la piccola vita di individui che, come dice Debord, non trovando ciò che desiderano, si accontentano di desiderare quel che trovano.»
Miguel Benasayag, Alias 5 gennaio 2002.

Ci furono Montoneros, Erp, … il proceso militar, la guerra sucia per las Malvinas,… Alfonsìn, le orribili leggi di obediencia debida e punto final, …Menem e Cavallo e De la Rua… Duhalde. Nel cinema argentino sono tutti sfondi, ridotti a retaggi, utilizzati, come forse è giusto, quando serve ottenere un effetto di vissuto che conferisca un valore storico, come una marca per ricordarci che il potere è sempre uguale a se stesso in ogni epoca e con qualsiasi regime, perché il Contropotere (titolo di un libro di Miguel Bensayag in uscita per Eleuthera) sorge sul Mito dell´individuo (altro titolo dello stesso autore in uscita per Mc), e qualsiasi movimento popolare – che trova spazio nel racconto filmico argentino da protagonista collettivo soltanto in La noche de los lapiches, e solamente all´inizio – diventa ambito in cui inserire episodi individuali; a parte alcuni ottimi exploit – tra cui lo splendido lavoro fatto da David Blaustein (Botin de Guerra, un espressione che si trova anche in I vent´anni di Luz di Elsa Osorio, Guanda, Parma 2000) su las abuelas, che hanno più visibilità di las madres poiché Estela Carlotto è meno intransigente dell´immensa Hebe de Bonafini (per chi ha avuto il piacere di vibrare sotto le sue parole al termine dello spezzone del corteo di Genova che il 21 luglio è riuscito a concludere il percorso) – questa mancanza di una reale riflessione comune spostata su un altro piano, spesso emotivo o romantico, ha prodotto notevoli film, ma ne è conseguita anche quell´impreparazione dell´immaginario a inventare strategie collettive, una volta che si raccoglie un sentire comune; e ciò conduce fatalmente allo stallo le fiammate di ribellione, come è avvenuto puntualmente dopo la cacciata dei 4 presidenti in due settimane: che fare ora?

La Historia Oficial, Luis Puenzo 1985 La noche de los lapiches, Hector Olivera 1988 Botin de guerra, David Blaustein 2000
La Patagonia Rebelde, Hector Olivera El lado oscuro del corazon, Eliseo Subiela 1992 La Nube, Hector Olivera Los Miedos, Alejandro Doria 1979
El viento se llevò lo que, Alejandro Agresti, 1998Buenos Aires Viceversa, Alejandro Agresti, 1996

Fmi, Usa, finanza internazionale, privati che si sono spartiti la nazione, multinazionali ingorde: tutto era già compreso in La Patagonia rebelde, un vecchio film di Hector Olivera girato negli anni 70, in cui si approfondivano i maneggi degli interessi stranieri attratti dalle ricchezze del paese, ridotto alla miseria dalle ruberie, non certo da una crisi interna (basti pensare che il deficit federale, i debiti imposti dal cravattaio Fmi corrispondono al centesimo ai capitali esportati). Eppure non ci sono riusciti. Non li hanno fatti diventare gringos. Non li hanno cambiati, gli argentini, e forse proprio quella maniera di appropriarsi della loro storia, rendendola sfondo su cui si ritagliano le figure di sempre (il gruista di Mundo Grua, la Silvia Prieto che tira avanti con il suo nome tanto "comune" da diventare titolo, il poeta di El lado oscuro del corazon, il giovane architetto di Moebius, normale in mezzo ai mostri che insabbiano l´orrore metaforizzato nella desaparecion di un vagone di metropolitana) li ha salvaguardati dall´abominio che sta aggirandosi per il mondo e assume spoglie, le più disparate per adattarsi alle varie situazioni in cui si esprime, dall´interno delle quali si diffonde con quell´aspetto più consono al luogo dove attecchisce come gramigna chiamata ovunque neoliberismo. Mi vengono in mente alcuni esempi (da Un lugar en el mundo a La nube, da El viaje a Patagonia rebelde…), ma in particolare l´immagine più rappresentativa di questa resistenza fatta di persistenza del gusto così piacevolmente retrò con cui esprimere la propria dissidenza, la costante permanenza dei modi di affabulare attraverso storie che affondano le proprie radici in una tradizione di persone, di dignità, di barrios capaci di prendere le casseruole tutti insieme e cacciare i reprobi grassatori, gli intrallazzati emissari degli Usa; quell´estetizzazione della vita, che scorre come si conosce da sempre, fornita di enormi dosi di ironia, è data da una commistione tra alcune pellicole molto vecchie: Los Miedos, dove si trovano elencate tutte le possibili paure che attanagliano i sette sopravissuti a una peste devastante una città, con qualche parentela con la metafora camusiana: il terrore di morire, ma anche di vivere dovendo affrontare atroci sofferenze, il timore di amare, sentimento attraverso il quale nel paese del tango passa gran parte della conoscenza del mondo; il loro percorso va verso sud, ricettacolo di ogni fuga australe, ultima delle quali in ordine di tempo è quella di El viento se llevò lo que. E sempre di Agresti è Buenos Aires Viceversa, altra forte sensazione di amara e pervicace resistenza, stimato ancora di più forse perché consumato in loco, assaporando il disincanto del bambino, rapito però dalla possibilità di testimoniare la realtà, di usare una telecamera per superare le disillusioni. Lo fa, ruba poi una telecamera per proseguire l´indagine della realtà e viene ammazzato da un antenato di quello sbirro in pensione che ha ucciso tre ragazzi perché commentavano in strada le manifestazioni mostrate dalla televisione, la follia del servo del potere fatta riflesso incondizionato pavloviano. Questo mi sembra emblematico: nel momento in cui l´Argentina si muove per documentarsi in diretta, uscendo dalla metafora, affrontando la paura, e con occhi innocenti – ma consapevoli – rifiutando ombrelli o loghi di partiti e organizzazioni, si appresta a meditare seriamente senza filtri sulla propria condizione, viene abbattuta dalle guardie e ricacciata nella peste del Fmi e di un governo peronista, altrettanto distante dai bisogni dell´Argentina (e del mondo: poiché dovunque il potere si presenta sotto improponibili biffe di politicanti inaccettabili, siano essi autoproclamati leader di una fantomatica sinistra senza più anima, siano espressioni della più bieca destra populista e guerrafondaia).

Casas de fuego, Juan Bautista Stagnaro 1995

«Ma la partita vera la sta giocando un nuovo "radicalismo antisistema". Un forte movimento popolare innovativo, multiforme e reticolare, con una grande tradizione di lotta, sviluppa modalità alternative nella città, occupa le terre, propone forme di socialità diverse. Molti giovani vanno a vivere con gli indiani. Da oltre un anno ci sono piccoli focolai insurrezionali, dalla Patagonia a Buenos Aires. Le griglie di lettura tradizionali non servono più. Per esempio ci sono i piqueteros, gruppi di persone (operai, studenti, disoccupati), che occupano un quartiere per un mese, una settimana, pochi giorni, fanno delle barricate, si coordinano fra loro. Non c´è una rappresentanza istituita, e questo fa impazzire l´autorità: non sa con chi prendersela, con chi trattare. È un laboratorio di molteplicità, le componenti politiche non possono appiccicare bandiere […]
Il Chiapas ha segnato l´inizio di un´inversione di tendenza con gli anni ´80, quelli del postmodernismo, della "fabbrica dell´oblio". Genova ha mostrato che il poere resta tale anche nelle " società complesse ". Può tollerare la violenza del fine settimana, i giovani arrabbiati che vorrebbero solo ciò che il sistema offre. Ma quando la violenza si oppone veramente ai simboli del potere, il potere la riconosce e la reprime […]
L´11 settembre per me è l´anniversario del colpo di stato in Cile. In quel giorno migliaia di esseri umani hanno continuato a morire nel mondo per gli effetti del capitalismo »
Miguel Benasayag, Alias 5 gennaio 2002.

Puntata precedente
2. continua
Puntata successiva

Adriano Boano