Ricorsività tracinema e società argentina |
«Non m'era mai capitato di restare senza un soldo in tasca. Non potevo comprare niente e non avevo più niente da vendere. Finché ero in treno mi piaceva rimirare il tramonto sulla pianura, ma adesso mi lasciava indifferente e faceva tanto caldo che aspettavo con ansia il calare della sera per stendermi a dormire sotto un ponte. Prima che facesse buio mi ero messo a guardare una cartina perché non avevo idea di dove fossi. Era stato un giro assurdo, avanti e indietro, e adesso mi trovavo al punto di partenza o in un posto identico. Un camionista mi aveva dato uno strappo fino al rondò e diceva che avrei trovato uno Shell a tre o quattro chilometri da lì ma tutto ciò che ero riuscito a vedere era un ruscelloche passava sotto un ponte e un sentero di terra che si perdeva all'orizzonte. Due contadini a cavallo seguiti da un cane zozzo pungolavano del bestiame e questa era l'unica cosa in movimento nel paesaggio.» |
Stato d'assedio in Argentina. Espropri proletari di cibo: le rose mancano da ormai troppo tempo, e anche il pane da un po' è solo un ricordo. Ventisette i morti, uccisi da poliziotti a cavallo e a piedi in assetto da G8 e soprattutto commercianti che ritengono che le merci nei loro negozi valgano una vita. Ma questi si vanno solo ad aggiungere alla strage silenziosa conteggiata in 30.000 persone per applicare in modo ciminale le teorie dei Chicago boys (evidentemente errate, visto che hanno distrutto in rapida successione: Messico, Perù, Brasile, Turchia... e il governo berlusconi sta ripercorrendo esattamente le orme di Cavallo, paradigma dichiarato da Tremonti). Nei prodotti del cinema c'erano tutti i prodromi per la spontanea ribellione, fin dalle minacciose nubi di Solanas, poi autentici nembi apocalittici di La Cienaga. Ma non si diceva la fine che avrebbe fatto l'Argentina, né si fotografava l'attualità, semplicemente questi affioravano qui e là nel codice cinematografico, e dunque con le difficoltà di comprensione derivanti dal fatto che il cinema del realismo magico della patria di Borges (e Che Guevara) non si può permettere didatticamente di spiegare tutto: i disagi di una società colpita al cuore da decenni di fascismo. Dal proceso militar al Fondo monetario internazionale. I giovani sbandati di Pizza birra e faso avevano ancora guizzi di vivacità, ma già la fame condizionava parte delle loro azioni e si annidava tra le scrostature dei muri, vestigia di un'antica civiltà di quella provincia del Sur descritta nel poetico apologo circense di El amateur (e il circo continua a venire a galla, con le tristi e malinconiche imprese del clown di Una sombra ya pronto seras) o nella disperazione di vivere nell'armadio dello smantellamento postindustriale di El armario; ma anche i piqueteiros di Salta erano direttamente connessi all'immobilità di La Cienaga, girato proprio nella provincia di Salta, che ha offerto le locations anche per Casas de Fuego, una staticità che non è un incantamento: non sono rimasti sospesi, né appesi alla morte che poi sarebbe l'estrema sospensione, allusa nello stato di Pajaro, l'amateur ma è un putrido impaludamento che non consente nemmeno di decretare la fine di cui ogni elemento è presago, quando questa si è già consumata: il cinema argentino basti pensare alla metropolitana perduta in un altro universo parallelo in Moebius ha cercato ogni qualvolta gli era consentito di spalancare gli occhi degli spettatori sul disastro, trattenendoli però pudicamente rinserrati su un paese di celluloide, come quello al fondo del mondo in cui finiscono i film di El vento se llevo lo que. E allora di fronte alla desolata migrazione interna del disoccupato di Mundo Grua ci si è fermati al semplice sottotesto della sconfitta ripetuta, con il nostos finale, in realtà il non detto del film è più dirompente della semplice discesa dalla gru, o dalla presa d'atto del talento musicale gettato in gioventù: la nevrosi bulimica nelle luci acide che tagliano la stanza è sintomo del paradossale cannibalismo di un paese portato alla catastrofe da anni di menemismo, la condanna a venire rappresentati da quarti di carne alla brace e risvegliarsi per le immagini di supermercati da cui escono padri di famiglia che hanno saccheggiato il cibo non è un caso che uno dei film in cui più forti emergono le contraddizioni della società è proprio El asadito ritorna in quasi tutte le pellicole con banchetti sontuosi di potenti mentre i poveri cristi si sacrificano (El amateur); con gli scambi in natura: poesie per piatti di carne ben cocida di El lado oscuro del corazon, dove i tre artisti bohemienne sbarcano così il lunario; con frigoriferi a occupare spazi, insinuandosi nella mancanza di eventi, imponendo la conservazione del cibo come succedaneo della storia, in El armario, l'abitante del mobile rimane interdetto con in mano un pezzo di carne, da fare alla piastra su una roccia, con la tavolata nel teatro di La Nube, che però si rivela una beffa atroce, visto che il motivo del festeggiamento non verrà mai elargito, quella pensione chimerica che è stata la prima vittima sacrificata dal mostro neoliberista, rovinando prima gli anziani e poi via via tutti gli argentini, seguendo i dogmi rigidi e stupidamente vessatori del FMI. |
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Molte le immagini rimbalzate dalle televisioni, reticenti e attente a non denunciare la multinazionale del terrore FMI, scaricando la colpa sul popolo, come se l'allegra politica monetaria ispirata dagli organismi internazionali che hanno strozzinato il paese fosse voluta dal popolo e avesse portato anni di gozzoviglie agli argentini sopravvissuti alla mattanza dell'operazione Condor, da quelle riprese degli assalti ai supermercati per prendersi da mangiare, non può non affiorare al palato il gusto del mathambre e delle altre prelibatezze argentine, che subito sfumano su quelle altre della piazza porteña, pregna della passione de las madres e las abuelas: sono sicuro di aver visto nel tumulto (e ho trovato conferma da indymedia argentina), caricate dalle forze a cavallo due madres con il tipico foulard sulla testa la parte sana della nazione come sempre in prima fila e nel ricordo cinematografico sono loro a innescare una sinapsi capace di intrecciare il volto di Cecilia Roth, che in Un lugar en el mundo commenta il nome del geologo, facendo un gioco di parole che dimostra il massimo rispetto per quella ostinata protesta, con Botin de guerra, che spesso intercala gli spezzoni di intervista a Estela Carlotto, punto di riferimento per las abuelas, e alle altre protagoniste di Plaza de Mayo, in particolare riemerge l'inquadratura del padre di una ragazza assassinata dai militari, desaparecida dopo aver partorito un infante per una famiglia di aguzzini, che nella tranquillità del suo cortile si lascia andare a momenti di tenera commozione con l'asadito sullo sfondo che rosola. Oggi quelle coraggiose donne senza un passato militante, che aderiscono alle idee dei figli per vivere due esistenze sono tornate in quella piazza, stavolta sfidando lo stato d'assedio decretato per paura della collera del popolo da chi dovrebbe rappresentarlo e invece lo riduce alla fame. Nel parziale disinteresse degli organi di informazione, ben consapevoli che quella di Buenos Aires è la prima delle rivolte di un nuovo ordine mondiale assolutista, incoraggiate dalla ferocia dell'impianto neoliberista, che applicando in modo ferreo i suoi parametri (l'unica flessibilità è quella richiesta ai lavoratori) incancrenisce le crisi e produce spirali di insolvibilità e miseria, assistiamo all'assedio della Casa Rosada, una rivolta del pane che ha un sapore medievale di oscurantismo e su questo panorama immaginiamo le tante Silvia Prieto, che nel finale del film compongono una società civile in una carrellata di ritratti, rilasciati alla telecamera della riunione delle donne che si chiamano Silvia Prieto e che scorrono sui titoli di coda; comincio a immaginarmele, determinate a dire basta alla tracotanza di chi pretende sacrifici..., ancora! e a loro si aggiungono i "passeggeri" inghiottiti dalla metropolitana in Moebius, i mai domi attori di La nube, i viaggiatori di Sur e quelli mediati dai romanzi di Soriano come Una sombra ya pronto seras e i tanti ragazzi che si riversano intorno all'obelisco dalla provincia come il protagonista di Una noche con Sabrina Love, di nuovo interpretata dall'icona izquierdista di Cecilia Roth. E sull'onda del ricordo della bella attrice di Todo sobre mi madre riesco a immaginare trascinati dall'indignazione persino i componenti della famiglia di immigrati greci, benestanti professionisti, travolti dall'incrocio casuale del più giovane con la disinvolta ragazzina figlia di mafioso palazzinaro, dei cui loschi traffici lei non sa nulla (al contrario della Sarah Michelle Gellar del recente Harvard man di Toback) e morirà proprio per questo, fin dalla prima sequenza di questo perfetto noir cesellato su molteplici flashback incastonati , una discesa dalle stelle alle stalle descritta in Ceinizas del Paraiso, una caduta che avviene per colpa di filibustieri, piduisti, mafiosi, che caratterizzano spesso i film argentini, come avviene nel caso di Un lugar en el mundo, dove è imposto un monopolio dell'acquisto della lana da parte del signorotto. E adesso a quale paese toccheranno le attenzioni del FMI: la speculazione privilegia il populismo, le ricette ultraliberiste (praticamente una roulette), le privatizzazioni selvagge, i caudilli (e i cavalieri) con programmi ispirati alle idee autoritarie e golpiste della P2. |
E la famiglia "greca" introduce un nuovo aspetto che forse poteva mettere sull'avviso che la catastrofe era irreversibile: il fuoco. Nella distruzione non c'è catarsi quasi mai. Forse solo nell'incendio appiccato dal maestro di Un lugar en el mundo si intravede una speranza, perché nelle intenzioni il rogo dovrebbe privare gli allevatori di quel poco a cui si aggrappano e quindi spingerli a tornare a lottare, riconquistare la dignità di non chiamare "don" il potentato, di opporsi ai suoi piani di "modernizzazione", fatti di dighe, smantellamento dell'economia sana, drogandola con posti da dipendente minerario, apertura di cantieri che portano ricchezza... a una piccola oligarchia. Ma gli altri incendi del cinema argentino sono davvero atroci: poetico quello che vede il fratello fedifrago di Ceinizas del Paraiso, dedito spesso per diletto a cavalcate negli spazi aperti della pampa, incendiare l'albero testimone della sua passione per la fidanzata del fratello più giovane consumata in pieno sole scendendo da cavallo, e dunque nel tracollo simbolicamente viene arso l'albero nella stessa inquadratura notturna della scopata diurna e ucciso il cavallo. Non c'è redenzione, né futuro: infatti l'ascensore finale che scende negli scantinati del palazzo di giustizia sancisce questa assenza di speranze. Ma ancora più terribile visivamente e nell'avvertimento è l'epilogo clastico di El Armario, che va bruciato atrocemente uccidendo l'unica speranza di vita, rappresentata dalla ragazza, immolata, sancendo la fine con la perdita anche dell'armadio, unico bene e casa. |
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Ma Cavallo e il FMI non hanno sufficiente immaginazione per andare al cinema, non ne capirebbero la lingua, e così non hanno colto i segnali di insofferenza e disperazione; hanno dunque insistito a sottrarre risorse a chi non ne aveva più: il popolo argentino non ha più nulla da perdere, come gli augurava il maestro di Un lugar en el mundo e di fronte anche all'insulto dello stato d'assedio non hanno avuto nemmeno il timore dei militari nonostante quello che questa parola evoca in Argentina (basti pensare a Buenos Aires Viceversa, a Garage Olimpo) l'hanno disatteso in massa, preteso le dimissioni di Cavallo e De La Rua, messo in crisi il sistema nazionale; per far grippare i meccanismi del capitalismo non basta un popolo al fondo del mondo: il neoliberismo, la fase più immonda del capitalismo ha bisogno di scaricare periodiche crisi sui sistemi più deboli e estranei, che vengono conglobati selvaggiamente con ricette destinate a fallire, ma a rendere schiavo il paese, costretti a chiedere aiuti ai cravattari di New York, omologati di conseguenza, assediati economicamente, vessati e svuotati. |
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Incredibilmente il cinema produce a ritmo serrato e tutte opere memorabili, realizzate in economia. Puenzo spiega: "Se hace cine porqué se hizo cine": la tradizione dunque. E altrettanto incredibilmente non si cita la sventurata parità $/peso che ha ridotto sul lastrico metà delle famiglie, non si fa cenno non direttamente alla decurtazione degli stipendi e in futuro non citerà il blocco dei conti di un'intera popolazione imprigionata e derubata, né i piqueteros trovano asilo nei plot, anche i più onirici, magici, con i loro presidi di strade, che sono vergognosamente a pagamento anche se non ci sono alternative. Non si è incentrato un intreccio sulla scandalosa svendita di Aerolineas Argentinas e gli amori, che sono perdutamente ricercati a Montevideo (El lado oscuro del corazon), non verranno immaginati in queste giornate concitate. Eppure la cinematografia, ben viva come avviene sempre in momenti di crisi, è in grado di restituire una perfetta fotografia dell'Argentina (quelli dei primi anni novanta ancora poetici e trasognati, ma ormai consapevoli, quelli recenti disperati), un altra forma di realismo magico originale come quello iraniano, ma diverso, come si può vedere nella realizzazione di due trame così simili come El amateur e Il ciclista di Makhmalbaf, laddove Stagnaro infila personaggi di contorno in gran quantità, mostra sequenze in bianco e nero del bambino che diventerà Pajaro in occasione di un episodio totalizzante e in mezzo alla grande poesia del film, una poesia diversa da quella iraniana, riesce a passare il messaggio cui il ritratto del paesino allude |
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Sono stati colonizzati, ridotti ad appendice Usa, sono stati introdotti parametri globalizzanti: niente, una nazione costituita da molte anime diverse non si è fatto cambiare l'immaginario, gli argentini hanno salvaguardato fortunosamente le loro peculiarità: non saranno mai yankee, continuano a vedere il mondo come quel viaggiatore perso al fondo del mondo in Una sombra ya pronto seras di Olivera/Soriano. |
«Mi dissi che magari, senza saperlo, tutt'e due stavamo arrivando in qualche posto. Mi incamminai sulle traversine, calcolando la distanza per non inciampare perché il terrapieno diventava sempre più alto. La pila faceva una luce gialla molto tenue, appena sufficiente pe sentire la compagnia del gatto che camminava davanti a me. Proseguii per tutta la notte e quando alla fine cominciò ad albeggiare individuai le forme di un treno molto lungo che sporgeva sul binario morto di una biforcazione. Il segnale di partenza era abbassato e il semaforo era verde ma sulla locomotrice non vidi nessuno e i vagoni avevano le tendine abbassate. Spensi la pila e andai a vedere se per caso il macchinista non si fosse addormentato. Prima di salire battei le mani ma non ebbi risposta e nella cabina trovai solo diverse cavallette morte e un foglio di corsa agganciato al cruscotto. La partenza era prevista per le otto ma non diceva di quale giorno né conoscevo la data. Tirai la corda per far suonare il fischio come mi aveva detto il grosso e aspettai per vedere se arrivava qualcuno. L'unica cosa che si sentiva era il sibilo dell'aria che entrava dai vetri rotti. Scesi scivolando per il terrapieno e corsi verso la carrozza del capotreno ma era vota anche quella. Il gatto saltò per salire e rimase a guardare gli arbusti secchi portati dal vento. Allontanai le erbacce che mi si erano arrotolate alle gambe, portai la borsa nell'ultimo vgone e aprii tutti i finestrini per far entrare il sole. Poi tirai fuori l'ultima birra e mi sedetti ad aspettare che il treno partisse»
Così si conclude Una sombra ya pronto serás di Soriano (Einaudi, Torino 1990)
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Adriano Boano