Torino film festival 23° edizione

Tuttodunfiatoilvistoenonvistodeltff!

Sabato12 novembre 2005, sala Massimo3

Come potevo perdermi l’ultima opera di Tsukamoto? Quindi eccomi pronto alle 9,30 del mattino per assistere ai Three digital shortfilm by three filmakers, un trittico sponsorizzato dal Jeonju film festival (Corea) che ogni anno affida questa sperimentazione in digitale a tre registi diversi.

Iniziamo subito con il primo: Worldly desires di Apichatpong Weerasethakul. Narrazione metafilmica in cui seguiamo una coppia di amanti che fugge in una foresta mentre vengono ripresi dalla troupe che sta girando il film. Il tutto inframmezzato da stacchetti pop/surreali in cui un gruppo di idol canta la canzone Will I be lucky. Vorremmo solo dire una cosa ad Apichatpong: "Ehi ciccio! Guarda che Tsai Ming-Liang è un’altra cosa!"

Segue questa noiosità l’atteso Tsukamoto con il suo Haze. Nulla viene aggiunto alla sua poetica ma, se possibile, il tutto viene indagato e (vivi)sezionato ancora più a fondo. Un uomo (interpretato come sempre dal regista stesso) si risveglia in un luogo sconosciuto senza sapere come ci è arrivato. Se vi sembra che il riferimento più probabile possa essere The cube di Vincenzo Natali, vi sbagliate di grosso dato che l’esiguo spazio in cui il protagonista si muove sembra piuttosto l’intercapedine di un muro, una canna fumaria, un seminterrato.

Si passa in questo caso dallo scontro uomo/città a quello più particolare uomo/casa sempre in un’ottica di rapporti uomo/donna.

Tsukamoto rende claustrofobico anche lo spettatore che non lo è: ci costringe a strisciare con lui, a risalire condotti strettissimi a forza di braccia per evitare coltelli che ci attendono sul fondo, a nasconderci da martellate che "escono" dal muro, a risalire verso una botola sguazzando tra sangue e arti amputati. Ad attenderci alla fine del tunnel non la luce ma una donna in fin di vita con un coltello vicino e un telefono su cui sono già stati digitati 11. Manca il 9 per salvarla. Le dita che lo comporranno saranno quelle dello scampato all’incubo.

 

Per quanto mi riguarda, una delle cose migliori viste al festival con due soli appunti da fare che ho scoperto collegati.

  1. chissà perché Tsukamoto non ha approfondito la figura femminile visto che ci sembra di intuire abbia una certa importanza all’interno della narrazione?
  2. perché la copia che abbiamo visto noi dura solo 28 minuti contro i circa 50 di quella presentata al New York Film Festival??

Terza e ultima opera è Magician(s) del coreano Song Il-Gon. La storia è un po’ troppo confusa con salti temporali, personaggi abbozzati e dialoghi un po’ troppo recitati ma è comunque interessante l’uso della mdp che per i 40 minuti di durata non stacca mai girando così un unico piano sequenza.

Il film successivo è il video Rio De Janeiro di Mauro Santini. Siamo nei dintorni della videoarte e del video diario. Una serie di microriprese fuori fuoco, sgranate, tremolanti di angoli di una città che potrebbe essere Rio come Bombay come Collegno. Un discorso filmico che avrebbe sicuramente più senso (e maggiori estimatori) in un contesto come la Triennale piuttosto che al Tff, dove i commenti erano più vicini al Califano pensiero: "tutto il resto è noia, noia, noooooooiiiaaaaa!"

Chiude la serie di visioni mattutine un lavoro della beniamina dell’Infinity (prossimamente Alba International film festival), Naomi Kawase. Con Kage realizza un film dentro al film toccante per il discorso che affronta, base della sua personale poetica, cioè la ricerca del padre. In questo caso realizza una specie di intervista in cui il "fantasma" del padre si materializza in forma di intervistatore per rispondere alle domande emozionali della figlia. L’effetto straniante è dato dalle telecamere: quella del padre-soggettiva che diventa oggettiva e soggettiva al tempo stesso nelle mani della regista.

Fulvio Faggiani