Editoriale
Roozi khe zan shodam
Director: Marzieh Meshkini
Additional Credits: Producer Mohsen Makhmalbaf Screenwriters Mohsen Makhmalbaf, Marzieh Meshkini Cinematographer Mohamad Ahmadi, Ebrahim Ghafori Editor Mezssam Makhmalbaf, Shahrzad Pouya Cast Fatemeh Cherag Akhar, Hassan Nebhan, Shahr Banou Sisizadeh, Ameneh Passand, Shabnam Toloui, Sirous Kahvarinegad, Mahram Zeinal Zadeh, Norieh Mahigiran, Azizeh Sedighi, Badr Iravani,
Distrib.: Mars Films (F)
Iran, 2000
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Hai Mish Eishi
Director: Alia Arasoughly
Additional Credits: Producer Alia Arasoughly Cinematographer Magdi Bannoura Editor Tareq Eid Music Said Murad
Distrib.: Alia Arasoughly
Palestina, 2001
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El Batalett
Director: Dalila Ennadre
Additional Credits: Producer L'Yeux Ouvert Cinematographer Dalila Ennadre Editor Barbara Pueyo Suono Tourya Ennandre
Distrib.:L'Yeux Ouvert
Marocco, 2001
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Écran de sable
Director: Randa Chahal Sabbag
Additional Credits: Producer Carthago Films Screenwriters Randa Chahal Sabbag Cinematographer Yorgos Arvanitis Editor Yves Deschamps Art director Sylvain Chauvelot Cast Maria Schneider, Laure Killing, michel Albertini, Tamin Kosdi Sahhal
Distrib: Carthago Films
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Omologazione
Terzani dice che dovrebbe essere chiaro a ciascuno che dover pensare tutti allo stesso modo, riferirsi alla stessa forma religiosa, è sicuramente obbrobrioso: il monopolio del bene e del progresso, della civiltà "superiore", come dice l'ignorante premier italiano, per il quale gli indici che sono di imbarbarimento risultano essere quelli che fanno la differenza, è una sirena che ammalia l'occidente.
A Torino, di nuovo parlo della mia città, dopo aver cacciato una ventina di nazisti di Forza Nuova che si permettevano di porre in dubbio che quell'obbrobrio fosse aborrito dai torinesi, si svolgono due contemporanee manifestazioni di attenzione alle espressioni di cultura altra, con rispetto e - talvolta - con profonda ammirazione, come di fronte al finale di The Day I became a Woman o per la sintesi della straordinarietà della condizione femminile a Beit Jala che si ritrova nel conciso Hai Mish Eishi (significa "Questo non è vivere", ma Alia Arasoughly lo rappresenta invece come prassi):
Porto Alegre
Da un lato al teatro Nuovo una cooperativa di donne determinate, appassionate e con nesuno sponsor, poche o nulle sovvenzioni, scarsa mondanità riescono a far funzionare un festival che per «il manifesto» non si merita che Silvana Silvestri, gli altri recensori sono forse impegnati a rincorrere ben altri appuntamenti più prestigiosi (non foss'altro perché si svolgono uguali, ma con più lustrini e a Milano, pronta a scippare anche questa manifestazione alla città subalpina); tuttavia questo gruppetto riesce a pescare nel mondo alcuni documenti filmici di prima grandezza, senza proporre il titolo di richiamo e sicuramente reso scontato dall'intervento della produzione o dalla censura della distribzione, ospitando alcune registe, che non compariranno mai su riviste patinate, ma interessanti per la naturalezza con cui narrano di guerra, di crescita, di soprusi quotidiani e millenari, che hanno letteralmente scavalcato montagne, clandestine su strade riservate a non palestinesi. E in stragrande maggioranza si tratta di storie e autrici non occidentali, orchestrate lungo la settimana collocando le pellicole sapientemente per aree geografiche, che giorno per giorno dànno un'idea dello stato dell'arte in paesi come Tunisia, Marocco, Palestina, che finalmente diventano un'entità tangibile di vita quotidiana, distrutta da macellai e prepotenti, finalmente possiamo vedere gli ulivi sradicati, con le radici all'insù e le vecchie picchiate dai coloni, e non solo le parole vuotamente super partes del giornalista non schierato nemmeno di fronte all'ingiustizia che grida vendetta, e dunque la vendetta che si ammanta di tristezza sugli oggetti lasciati dai martiri ragazzini che vanno a creare altra carne frollata, buona per le ritorsioni del nemico.
Dall'altro lato della città, al Massimo, una tre giorni intensissima di sole donne iraniane. Sorpresa: il cinema iraniano non è solo il metalinguaggio maschile, non si riduce a carrellate nelle auto di Kiarostami o alla poesia incantata di Makhmalbaf padre, non solo lui riesce ad amalgamare leggende e colori attuali, ma esistono sottotesti arditi su questioni matrimoniali o ribellioni di ragazzine in bici, parallele addirittura a giovani non solo senza velo, ma anche senza capelli per somigliare a maschi e quindi poter accedere a un posto di lavoro. La lenta emancipazione traspare però soprattutto dalla forma e dalla struttura del racconto: questo talvolta comporta un eccesso di registro melodrammatico (in Bani-Etemad), o una dose troppo massiccia di stereotipi telefilmici (Pouran Derakhshandeh), ma quando si calibrano bene le tradizioni di fotografia iraniana con spigliatezza narrativa sembra di assistere alla evidente indicazione di un modo diverso di realizzare cinema (Marzieh Meshkini).
Se essere uno stato canaglia significa riuscire a collezionare sei autrici così intense e capaci di raccontare storie con un linguaggio così esplicito eppure non banale o corrivo, e neppure standardizzato - poichè ciascuna sviluppa una propria poetica, più o meno inflluenzata dall'occidente o dalla cultura persiana -, allora sappiamo da che parte dobbiamo schierarci nella lotta tra bene e male di Enduring Freedom. .
Questioni di pelle e generazioni
Questioni di donne
continua
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