La parola postmodernità ha ormai soltanto più un valore legato alla comunicazione mediatica perché la sua valenza filosofica si è consolidata, scomparendo, dato che si è ormai acquisito il fatto che la percezione o è interpretativa o non è: rimane lo scoglio più duro, rappresentato dallo scardinamento dei vecchi sistemi di proposizione delle immagini al servizio dell’informazione e della storia. A questo proposito è il caso di cominciare l'analisi a partire da un dibattito tenutosi all'interno del Festival Cinemambiente 2000 di Torino, dove sono stati mostrati filmati presenti in alcuni siti di controinformazione attivi in rete.

Cinemah si propone come palestra per la creazione, sede di discussione attraverso la propria lista per il montaggio e tramite per la diffusione di video-documenti, redazione aperta a qualunque segnalazione di video indipendente, bisognoso di visibilità in omaggio alla contro globalizzazione dal basso, teorizzata dal testo di Jeremy Brecher Globalization from below. The Power of solidarity (South End Press, Boston, 2000).
Ovviamente ci riserveremo di decidere attraverso una discussione redazionale l’adesione ai lavori segnalati.

Ciò che appare molto interessante assistendo ai film mostrati alla rassegna curata da Marco Farano per Cinemambiente 2000 è la possibilità di immaginare una collaborazione in rete, che proviene da una discussione, esistono mailing list, suddivise a più livelli: uno per la fruizione, l'altro per partecipare all'assemblaggio dei materiali, infine per fornire e organizzare le spedizioni di documentazione rispondendo all’esigenza di creare una sorta di politica redazionale, il più possibile trasparente e collettiva. Da questi spazi di discussione proverrebbero le "parole d'ordine globali". Definite in questo modo sembrano vecchi modi di fare politica attraverso slogan che corrispondono agli slogan impliciti anche nelle scelte di montaggio, come quando si dice: "Dilatare le immagini degli scontri"; e questo è un tratto comune a tutti, nonostante sia più evidente nel lavoro di Adonella Marena da Mobilitebio e sia invece camuffato dai momenti di sberleffo di Bifo, che però tradiscono la stanchezza reducista che traspariva già in Il trasloco di Renato De Maria (che non a caso sta preparando Paz! Su un'altra icona del Movimento: Andrea Pazienza), quell'essere incarnazione di un Movimento che negava leaderismi e rappresentanze è il tratto che legittima la dimostrazione mediatica del denudamento: senza il corpo di lui, Franco Berardi, redattore di Radio Alice, punto di riferimento bolognese, la carica eversiva dello spogliarello si sarebbe ridotta alla pantomima del finale del video, dove un anonimo lo replicava davanti ai celerini in assetto anti-sommossa, ma il suo corpo non era più quello del prescelto e il video, rimarcandolo, rende patente la discrasia temporale ed il carattere di semplice sberleffo dell'epigono.

Poi però ci si accorge che probabilmente è davvero una rete di base, fondata su una sorta di assemblearismo a distanza quella che consente di far circolare altri video, che incidono invece sull'attualità adeguando anche il linguaggio, senza quella malinconica patina di allusione a lotte, sgomberi, protagonismi di venticinque anni fa che avevano già inciso sullo sfratto da via Marsili 19 documentato in Il Trasloco (1992), che finiscono con diventare personalismi (Il mio corpo non si brevetta) o retorici, è attraverso quella corrente che si rendono essenziali anche i due video italiani, ripescandoli come episodi da incastonare nell'antagonismo glocal, che in questo modo aggiunge un valore derivante dal legame con forme di controinformazione "storiche", attualizzandole.

In fondo, come si diceva durante la tavola rotonda, il significato reale di questi video è contenuta nell'accesso ai siti dove si può esprimere un'opinione, scaricare il video, partecipare della discussione sul montaggio. Il filmato praghese è ancora in rete nella sua forma più arrembante, ha un montaggio che risente della concitazione del momento, dunque è genuino, fresco e soprattutto si insinua in tempo reale tra le veline, costringendo i network a occuparsene (o addirittura, come per gli eventi di Seattle, a riproporre le immagini girate dai partecipanti).

Ecco perché pare opportuno parlare di "Nuovo Cinema Militante", soprattutto quando si progetta di rimettere mano a quel materiale offerto in rete in quel modo grezzo - ma molto accattivante - e consentire un'interpretazione da cui far discendere una nuova versione, meditata. Probabilmente questa versione risulterà meno entusiasmante, forse non si trasmetterà il movimento, ottenuto con invidiabile sensibilità di accostamenti: la donna praghese soddisfatta di vedere tanti decisi antagonisti al neoliberismo inserita in mezzo alla gioia che si sprigiona dalla documentazione delle manifestazioni, gli scontri ottenuti anche linguisticamente dalle riprese contrapposte, la velocizzazione e il rallentamento di talune sequenze. Ne trarrà vantaggio l'analisi e quindi lo sviluppo sia di strategie future, sia di un linguaggio appositamente pensato per risultare efficaci in ambito documentativo, diffusivo e soprattutto per far emergere gli aspetti interessanti. "La rete ha un ruolo enorme per l’informazione, ma l’approfondimento deve diventare un prodotto documentaristico." L’adozione dei due tempi per proporre una notizia, sedimentandola attraverso lo sfruttamento della velocità, più che della qualità del video in un primo tempo e poi l’uso di mailing list per arricchire il materiale sporco proposto in prima istanza con i prodotti digitali estemporanei, permette di superare il dilemma se sia preminente la qualità o la rapidità d’informazione; inoltre agevola l’interscambio con gli altri mezzi d’informazione, data la centralità per la diffusione della sinergia con gli altri media, rivendicata dagli operatori di questi siti, che mantengono contatti con radio e tv-cable.

La maggior beffa intentata dai siti antagonisti e riuscita perfetamente è la diffusione di informazioni, che sbugiardano il giornalismo ufficiale, capace soltanto di non verificare le notizie lanciando titoloni aggressivi e falsi come "Bush win", l’intento è disinnescare la tensione creata ad arte dai media e documentare la dialettica interna a qualsiasi movimento. Infatti questo principio enunciato da Indymedia.com ribadisce esattamente la posizione di Gitaï, quando dice che la guerra in medioriente è un evento mediatico costruito e attizzato dalle tv di tutto il mondo: l’informazione semplifica e riduce, al contrario il meccanismo da perseguire per scardinare e scassinare il sistema informativo è rendere complesso e ingigantire, fare uno zoom sul tema da documentare e sviscerarlo in ogni forma complessa, rinunciando a decretare come unica verità plausibile quella che appare evidente, ritenere invece possibile la convivenza di molteplici punti di vista, documentandoli tutti. Non si tratta di impossibile obbiettività, ma di un tentativo nel solco della rilettura fatta da Isahia Berlin del pensiero machiavellico di mettere fine al "tragico errore" che si è fatto dall'illuminismo all'hegelismo – comprensivi dei loro epigoni – da Voltaire a risalire fino all'ideale platonico e alla teologia tradizionale, da Vico a Montesquieu, da Hume a Marx, Disraeli... Tutti costoro nell’analisi di Berlin ritengono che le domande autentiche devono avere una risposta vera, una sola, tutte le altre essendo necessariamente errate e le risposte vere devono sempre, una volta trovate, conciliarsi tra loro; quelle che non lo sono vanno espulse come false. Indymedia cerca di ottenere l’oltrepassamento di questa mitopoiesi autoritaria (nel senso anche etimologico di autos, centrato su se stesso), seguendo i processi in atto attraverso l’imposizione di qualche altro punto di vista che non sia propaganda, una snellezza agevolata anche dal fatto che un autore può fornire un reportage in totale autonomia, sfruttando la libertà permessa dalle telecamerine digitali: "Controinformazione e non Emozione".

Una "leggerezza" apparentata con la prassi di Robert Kramer, che ci riconduce ancora una volta al recupero del lavoro di Bifo per quel tratto ineffabilmente 70s che proviene persino dallo stile web-cam, di cui si approprierebbe pure Il Grande Fratello se non lo rovinasse con l’artificiosità della situazione e il bisogno di creare l’evento. Questa è un po’ la perplessità sull’importante lavoro delle immagini documentarie trasmesse in rete: la necessità di creare "casi" montati da media esterni alla rete per non disperdere il patrimonio dei contributi nei mille rivoli della rete stessa.
In fondo, rimanendo agli anni settanta, Chantal Akerman aveva anticipato le webcam e il lavoro sul quotidiano privato con Jeanne Dielman

E Gianikian e Ricci Lucchi e Jonas Mekas proprio da quegli anni conducono diacronicamente un lavoro che i siti antagonisti propongono a livello sincronico; la loro nozione di catalogo, l’accumulazione ordinata e riproposta diversamente, la riscoperta degli archivi e il loro rimontaggio originale, la loro raccolta di materiali di un passato quotidiano, o per lo meno antieroico, riproposti con un filtro personale condividono con le immagini dei siti di controinformazione l’intento di smascherare la truffa che le mistificazioni dell’informazione nascondono e che è palese non a caso nei lavori di Gitaï, poiché la condizione palestinese si è andata avvitando attorno alla manipolazione delle immagini, che non fanno che costituire ormai il detonatore di un ordigno innescato proprio da loro. Una lucida analisi dell’uso del video in Israele viene da Hannan Ashrawi (ex ministro dell’istruzione dell’Anp):

Ciò che con acutezza Frédéric Bonnaud rileva nei prodotti di Gianikian e Ricci Lucchi si può felicemente adattare agli intenti della produzione in rete: "Come Godard, i Gianikian credono intensamente nella potenza ontologica dell’immagine, alla sua permanenza irradiante. Ciò che vi è stato depositato in passato può risorgere oggi, come i disastri del passato ritornano ancora e sempre a tormentare le vittime e i carnefici, i sopravvissuti e i loro eredi, i luoghi e gli uomini. Ma quel necessario ritorno dell’immagine può realizzarsi solo a condizione di renderla visibile, leggibile, di farla nostra contemporanea proiettata, e non più un documento polveroso e pronto all’illustrazione di un commento fuori campo". O addirittura alla rimozione collettiva, televisiva prima e per decreto poi: l’Indice clerico-fascista, l’inquisizione del 2000. Cancellare libri di testo con decreto fascista nell’anniversario della Notte dei Cristalli significa negare il ritorno delle immagini polverose conservate in polverosi archivi mai consultati (il mirabile Archivio Nazionale della Resistenza di Torino non noleggia mai le pellicole collezionate e quindi viene meno al suo compito, riducendosi al feticismo della conservazione inutile, visto che consente il revisionismo degli Storace, Veneziani, Accame che in combutta con certi eminenti personaggi che hanno messo in dubbio l’enorme differenza tra scelta partigiana e squadrismo repubblichino hanno inaugurato la stagione in cui si osa parlare della faziosità dei libri di testo che non parlano delle foibe – ma nemmeno delle stragi antititoiste e naziste operate da repubblichini e ustascia che posero le basi dell’odio scaturito poi nelle foibe – mentre la rete indymedia crea archivi dei materiali immessi in rete in tempo reale, consultabili in qualunque momento e quindi formando un baluardo ai revisionismi ignoranti), brutale operazione che colpisce la memoria, quanto è liberticida l’oscuramento di Holywarvszog, sito nazista. Infatti se si consente all’ignobile maschera di Borghezio di affacciarsi al video, entrare in tutte le case non invitato e vomitare il suo razzismo non richiesto, non si capisce quale principio anti-democratico debba ammettere la chiusura di un sito, consultabile solo on demand. È un pericoloso precedente che consentirà la cancellazione di tutti i siti che possono dare fastidio o dissentire dal potente del momento; qualunque sito potrebbe essere a rischio. In realtà nessuno è pericoloso di per sé, lo diventa quando si permette che esista l'humus perché progredisca indisturbato e faccia proseliti: i nazi per cinquant'anni sono stati soltanto macchiette come quelli dell'Illinois in Blues Brothers, dove però non veniva mai meno la vigilanza, anzi una risata li seppelliva. Se ora riemergono dall'oblìo, la causa è proprio… l'oblìo. La mailing list di ECN ha ospitato un dibattito interessante scatenato da Helena Velena che ha alla fine sintetizzato le risposte dicendo: "mi ripugnano altrettanto, tutte queste cose velate e serpeggianti, quanto i siti spudoratamente nazi, anzi pure di più. Ma mi sta molto più a cuore la mia, la MIA, LA NOSTRA libertà di espressione. E se mantenerla significa anche avere un sito in più di fessi neonazisti, chissenefrega... Sarà la forza delle nostre idee a cancellarli, unita alla forza delle nostre azioni dirette. E non le leggi, i codici morali, le "forze" di polizia, che poi ci riserveranno (ci hanno riservato, ci riservano) lo stesso trattamento. In questo momento sono loro il PRETESTO per attuare (e aumentare) una repressione che, come già detto, colpirà (e in genere colpisce) molto più noi che i fasci."

Primo Levi si è ucciso perché aveva avuto un presentimento: il fallimento della missione di sensibilizzazione trasmettibile in eterno, il suo impegno a fornire testimonianze sufficienti a che nessuno potesse mai più mettere in dubbio l’esistenza dell’orrore attribuibile al nazismo; egli ha avuto la percezione che con la morte di tutti i testimoni e con il venir meno del loro impegno civile derivante dalla loro stessa esistenza, dalla marchiatura sull’avambraccio, non potesse che dare spazio alla conseguente cancellazione dell’orrore e alla legittimazione degli eredi di quell’aberrazione. Abbiamo consentito loro di infiltrarsi nel consesso umano come un virus nel quale hanno potuto svilupparsi gli "ultracorpi", quegli stessi accreditati in forza al presunto maccartismo di Don Siegel (in realtà adattabili a qualsiasi situazione in cui una fazione di quelle elencate da Berlin abbia potuto prevalere con l’occupazione di ogni settore di produzione del consenso) perché si è preferito "rimuovere" la memoria e ora pensiamo di poterli debellare insistendo a negarne l'esistenza. Ma gli anticorpi che si erano sviluppati alla fine della guerra con opere quali Nuit et Bruillard ora, superati dalle forme di creazione dell’immaginario, abbisognano di modalità di comunicazione costituite dall’esperienza della rete; perciò diventano importanti le prassi sviluppate dai siti che producono immagini molto più che le operazioni spielberghiane. Per il linguaggio adottato sono più interessanti Lo Specialista e Paragrafo 175.

La censura è connaturata al potere: qualunque forma di governo ne fa più o meno velato uso. Porre in dubbio il suo utilizzo quando colpisce il nemico significa disinnescare qualsiasi tentativo di legittimarla in seguito. Evitare la censura di un sito anche fosse basata sul reato di apologia del fascismo (mentre si è preferito appellarsi alla legge Mancino, che punisce la diffusione di idee fondate sulla discriminazione etnica, morale e religiosa) non significa negare la sacrosanta legittimazione di una norma costituzionale nata dalla Resistenza, non vuol dire considerarla obsoleta, significa interpretare l’uso delle leggi: la norma serve come un baluardo, per indicare quale dovrebbe essere il comune sentire di una società nata dalla lotta partigiana, se il sito è frequentato significa che la soglia è stata superata e c’è un effettivo pericolo, bisogna correre ai ripari e ricreare la coscienza antifascista; è totalmente inutile, chiudendolo, avvalersi delle facoltà giustamente volute da chi aveva subito il fascismo e necessitava di un mezzo per cautelarsi dal ripetersi del fenomeno di regime: si fa solo il loro gioco. La riproposizione degli ideali antifascisti non è una operazione che si realizza usando metodi da regime fascista: se in cinque anni qualche governante avesse preso qualche iniziativa di sinistra non ci sarebbe la certezza che le destre vinceranno, poiché le due fazioni coincidono perfettamente e dunque al di là della giusta polemica contro la delega, è inutile scegliere chi farà una politica confessionale e filo-padronale. Di molto preferibile è invece intervenire in massa come sabato 11 novembre a Milano per evidenziare l’allarme per il fatto che alcune centinaia di fasci stavano conducendo una loro manifestazione: la risposta di massa e di base, anche violenta, richiede il massimo rispetto, perché giustificata dalla parentela con la lotta antifascista che si conduce dal Biennio Rosso (invisibile sui libri di testo curati da storici pompieri) ad ora, una lotta popolare e non istituzionalizzata; una lotta che adesso deve passare anche e soprattutto attraverso le immagini che il web deve sottrarre al monopolio falsificante dei mezzi televisivi di informazione.

Se la critica fosse una cosa legittima e vietandola si spianasse la strada a eversioni pericolose era una vexata quæstio che si scatenò su fronti diametralmente opposti durante il periodo isterico del terrorismo e uno spezzone di Deutschland im Herbst, quello affidato a Rainer Werner Fassbinder è illuminante.

Alle immagini da internet però si può imputare la miopia di dedicarsi troppo a documentare manifestazioni di piazza facendosi fuorviare dalla consueta disinformazione di regime, non pubblicizzando a sufficienza lo scempio che si fa nello specchio della rete – ovvero nel mondo – della cooperazione orizzontale ad opera del totalitarismo monetaristico. E allora quali modalità sembrano mancare alla controinformazione in rete?

L’utilizzo delle troupe formate estemporaneamente attorno ad un’occasione di mobilitazione è interessante, però dovrebbe accompagnarsi ad un continuo flusso di contributi provenienti dalla quotidianità di certe zone del pianeta. Per rimanere circoscritti al campo ora sotto i riflettori della Palestina: se si fossero mostrati un anno fa i giovani israeliani al venerdì sera nei locali, intenti a baccagliare con il mitra a tracolla, magari ci si stupirebbe di meno della violenza che si andava accumulando nella Gerusalemme Ovest come alla Porta di Damasco, dove i ragazzini tiravano qualsiasi cosa capitasse sottomano come un moto automatico appena vedevano un cappellino ebraico in testa ad un coetaneo, mentre le case di tutto il mondo erano inondate dalle figure dei capi che sorridenti si stringevano le mani.

Vigilare, questo dovrebbe essere lo slogan accomunante sia un approccio alla Robert Kramer, sincronico, intuitivo, fatto di accumulo di sensazioni poi organizzate da altre percezioni che apportano ordine al materiale girato, sia uno studio di repertori a posteriori, che offra un montaggio di illuminazioni derivanti da una visione diacronica, che ripesca dagli archivi il senso perduto, come da sempre fanno Gianikian-Ricci Lucchi; altre forme documentaristiche, valide e invisibili in rete, sarebbero le interviste ai testimoni della storia: annullerebbero i tentativi di stravolgimento dei fatti intentati dai negazionisti, ma soprattutto perpetuerebbero Zeitgeist destinati a scomparire, ambenti che verranno spianati dal tempo, figure invisibili in futuro. Se ripensiamo alla poetica di Alberto Grifi possiamo comprendere meglio quale incidenza il suo sguardo in profondità sulla realtà degli anni Settanta abbia avuto e quale patrimonio esso sia ora per noi, se finalmente volessimo rimeditare su quegli anni, ricostruirli per riprendere discorsi bruscamente interrotti, recuperare intercalari e argomenti, non potremmo tralasciare testi fondamentali come Parco Lambro o Anna; e scopriremmo che quella grammatica filmica si adatterebbe perfettamente al web.

La difficoltà dei siti dediti alla controinformazione è mantenere l'obiettività e l'efficacia conservando una visibilità ben maggiore, senza disperdere il patrimonio di controinformazione forzatamente schierata, l'inquadratura che non censura gli scontri, ma rivendica le lotte. In primis quelle contro l’informazione manipolata: la sigla imc in basso a sinistra che compare in alcuni video di Indymedia serve a dileggiare l’affermazione di autorevolezza delle emittenti insita nell’esibizione della sigla del network produttore delle veline diffuse e vendute in tutto il mondo e si adatta molto bene a stigmatizzare il comportamento ad esempio di rti nell'episodio del linciaggio dei due israeliani: nel video compariva evidente e tronfio come un Emilio Fede elettronico il logo di mediaset, delatorio più di un collega della rai, capro espiatorio di un sistema vulnerabile a seguito della sua stessa falsificazione della realtà. Invece la struttura orizzontale e l'accesso libero alla creazione e alla fornitura di siti alternativi scardinano il processo propagandistico di qualunque fonte di informazione, esaltando la convergenza tra rete e tv, organizzando videomakers e giornalisti freelance si possono produrre esaustivi reportage su eventi mondiali come il raduno di Praga, dove gli anarcosindacalisti dell’est andarono allo scontro fisico, Reclaim the street preferì l’approccio creativo, irrisorio, il motteggio beffardo, e i "latini" sfilarono in un corteo giallo di musica e gioia.

I video choc come quello che vide protagonista Rodney King o quello che mostra sei poliziotti bianchi sudafri-cani ac-canirsi con i cani su tre bambini mozambicani o quelli accumulatisi ad hoc contro i serbi per legittimare l’intervento assassi-NATO in Serbia, sono iceberg emergenti, la cui sporadicità serve per suggerire che siano episodi isolati. Il compito della rete sarebbe quello di inondare il mondo creando serie infinite di mirror che rilanciano le migliaia di casi simili a quelli che fanno inorridire una sera e poi sono dimenticati.

Un rischio potrebbe derivare dalla creazione di reti di collaborazione tra realtà distanti regolate inizialmente in modo paritetico dal basso e poi gradualmente controllati da centri di potere costituiti in forma di broadcast alternativi una volta che siano diventati luoghi frequentati e quindi centri di opinione appetibili, come è successo per le radio "libere" degli anni settanta, divenute "commerciali".