Nel 1968 anche a Città del Messico, come ad Ankara, Berkeley, Berlino, Belgrado, Roma, Madrid, Praga, Rio de Janeiro, Tokyo, Varsavia,..., ebbero inizio grandi mobilitazioni studentesche. Le rivendicazioni non erano per nulla "didattiche" bensì fortemente politiche. In Messico, negli anni precedenti, il governo aveva risposto con brutalità all'ondata di agitazioni promosse dai movimenti indipendenti di varie categorie produttive (dagli insegnanti, agli operai elettrici, ai lavoratori delle ferrovie). Erano state varate leggi che criminalizzavano il diritto di sciopero, di riunione, di espressione del dissenso. Omicidi, detenzioni arbitrarie e vessazioni di ogni tipo avevano colpito i lavoratori. Vallejo, segretario sindacale dei ferrovieri, il dirigente comunista Campa, i coordinatori degli elettrici Galván e Salazar, e con loro centinaia di militanti, vennero arrestati e lasciati marcire in carcere per molti anni, senza processo.
La noche de Tlatelolco
Nell'estate del 1968 gli studenti decisero che fosse giunto il momento, per così dire, di prendere il testimone lasciato loro dai lavoratori. I centri propulsori della protesta furono la Unam (Universidad Nacional Autónoma de Mexico) e l'Ipn (Istituto Politecnico Nacional). Gli studenti si presero le scuole e chiesero libertà per i prigionieri politici, fine della repressione e ritiro delle leggi liberticide. In 146 giorni di attività febbrile, il movimento studentesco seppe esprimere una grande maturità facendo tesoro delle esperienze precedenti. L'autogestione delle scuole preparatorie e delle facoltà universitarie, la vitalità della protesta, la solidarietà - prima perplessa ma poi aperta - di molti settori produttivi, la straordinaria capacità degli studenti di organizzare oceaniche manifestazioni, la sfida al governo con la richiesta di un confronto pubblico televisivo sulla democratizzazione del sistema politico: tutti questi elementi indussero il presidente Díaz Ordaz e il ministro degli interni Echeverría a rifiutare qualsiasi dialogo. Le uniche risposte furono gli assassini, le infiltrazioni e le occupazioni delle università da parte dell'esercito.
Nonostante tutto, alla fine di settembre il movimento era ancora in piedi e il Consejo Nacional de Huelga (Cnh), il consiglio nazionale degli studenti in lotta, indisse una grande manifestazione per il 2 ottobre in Piazza delle Tre Culture, nel quartiere Tlatelolco. Le Olimpiadi sarebbero cominciate pochi giorni dopo.
Secondo quanto appurato nel 1993 da un'inchiesta condotta da una commissione indipendente, presieduta dallo scrittore Paco Ignacio Taibo II, e secondo quanto risulta dagli archivi della Cia (declassificati nel 1998, mentre ancora oggi il governo messicano, nonostante alcuni timidi progressi, continua a non rendere pubbliche tutte le informazioni in suo possesso), fin dal 30 settembre era stato previsto e pianificato il massacro.
Il 2 ottobre la Piazza delle Tre Culture era in stato d'assedio, con 8000 effettivi dell'esercito, della polizia e dei servizi segreti che presidiavano Tlatelolco. Gli agenti in borghese avevano avuto ordine di non portare documenti; come segno di riconoscimento, un guanto bianco. Alle 18.10, quando ormai il raduno volgeva al termine, un bengala rosso e uno verde, in rapida successione, diedero il segnale convenuto per la mattanza: "...62 minuti di fuoco nutrito, fino a che i soldati non sopportano più il calore delle armi arroventate...", secondo la notizia di agenzia trasmessa dal giornalista Leonardo Femat. Si è calcolato che più di 15.000 furono i proiettili vomitati sulla folla dalle armi automatiche e dai blindati. Molti manifestanti furono uccisi a colpi di baionetta. Alcuni feriti, ricoverati in ospedale, furono prelevati in camera operatoria e fatti sparire. La giornalista italiana Oriana Fallaci, ferita nella sparatoria, e la scrittrice messicana Elena Poniatowska parlarono subito di 300, forse 500 morti; il quotidiano inglese «The Guardian» riferì di 325 morti; un rapporto dell'ambasciata statunitense - pur premettendo significativamente che in Messico non è possibile avere cifre sicure sul numero di vittime - stimò i morti tra i 150 e i 200; nel 1969 i dirigenti del movimento studentesco parlarono di una cifra intorno ai 150 assassinati...
Comunque, centinaia di morti. E non qualche decina, come continuano a sostenere i vertici militari. Come ha scritto Eduardo Galeano, il 2 ottobre 1968 a Tlatelolco «le scarpe lasciavano impronte di sangue sul suolo».
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Sapevamo bene in Italia, fin dagli esordi di quella che fu poi definita "strategia della tensione", che le bombe non le mettevano gli anarchici ma i fascisti e i servizi segreti (scorretto definirli "deviati", perché era proprio quello il loro sporco lavoro). Sapevano i messicani fin da subito che l'esercito era stato mandato per sparare sulla folla ma che il pretesto (un pretesto è sempre necessario per scatenare la guerra, convenzionale o sporca che sia..., preventiva o peacekeeping che sia) era stato creato da agenti del governo, mescolati alla folla dei dimostranti, che avevano il compito di decapitare il movimento arrestandone tutti i dirigenti e, al tempo stesso, di delegittimarlo facendo ricadere sugli studenti stessi la responsabilità dei disordini.
Ma non è sufficiente che il popolo sappia. Per trionfare, la verità ha necessità di molta cura, di tempo, di passione, di uomini dediti. È un percorso difficile e irto di ostacoli che si chiamano, di volta in volta, depistaggio, menzogna, reticenza, minaccia, assassinio...
Il difficile cammino della verità
1. La guerra sucia
Come si è detto, fin da subito nessuno ebbe dubbi su chi fossero gli esecutori materiali ed i mandanti occulti della matanza de Tlatelolco. Già nella pellicola El grito, datata 1969 e realizzata da Lopez Areche e dal Centro Cinematografico della Unam, appaiono, nelle sequenze girate quel 2 ottobre, uomini in abiti civili ma dal look e dai modi decisamente polizieschi. Soprattutto questi uomini portano un guanto bianco a una mano, un chiaro segno distintivo. Si saprà in seguito che si trattava degli agenti di un reparto speciale, il "Batallón Olimpia", alle dirette dipendenze dello stato maggiore dell'allora presidente Díaz Ordaz e del suo ministro degli interni Echeverría. Anche i rapporti dell'intelligence statunitense, nei giorni immediatamente successivi agli eventi, già parlano di uno shock group, un gruppo di fuoco, identificato come "Olympia Brigade", responsabile di aver dato inizio ala sparatoria nella piazza delle Tre Culture. Ma, ed è quel che sconcerta, l'Fbi sostiene trattarsi di un gruppo di matrice comunista- trotskysta (sic!)... Una delle consuete gaffe dei servizi Usa? No di certo. Si trattava solo di confermare la historia oficial e nel frattempo coprire l'ispirazione e il coinvolgimento americano nella guerra sucia, la feroce guerra sporca condotta dal governo messicano per almeno due decenni contro l'opposizione e le organizzazioni popolari e di cui Tlatelolco fu solo un capitolo e il capolavoro. Nel corso degli anni settanta il PRI, il "Partito-Stato" al potere sin dal termine della Rivoluzione, intensificò la repressione. Le "Brigadas Blancas" fecero a pezzi chiunque osasse alzare la testa. Echeverría fu promosso sul campo a presidente della Repubblica. All'altro carnefice, Díaz Ordaz, fu assegnato nel 1977 il prestigioso incarico di ambasciatore in Spagna (lo scrittore Carlos Fuentes, allora ambasciatore del Messico in Francia, si dimise per non dover condividere la carica con un assassino...).
È chiaro che in una tale situazione la verità su Tlatelolco aveva scarse chance di emergere.
2. La Comisión da la Verdad
Gli anni ottanta furono devastanti per il popolo messicano. La crisi economica, innescata da una dissennata politica di prestiti dall'estero garantiti con il petrolio, aprì le porte ai piani di aggiustamento strutturale valuti dal Fmi e dalla Bm e attuati da presidenti cresciuti nel mito dei "Chicago Boys". La formula magica fu liberalizzazione economica senza democratizzazione politica, che tradotto significa costringere la gente ad ammazzarsi di lavoro per un tozzo di pane, e senza fiatare. In questo quadro desolante l'unica nota positiva è che la protesta cominciò a dare segni di ripresa e le organizzazioni popolari rifiorirono dalle ceneri. Nel 1988 si costituì un ampio fronte politico di opposizione, il Partido de la Revolución Democratica (Prd), che quasi riuscì a spodestare il Pri, non fosse che quest'ultimo ricorse come al solito ad una frode elettorale su vasta scala. Ma la crisi del "vecchio dinosauro" era ormai in atto e un contributo decisivo al suo acutizzarsi l'avrebbe dato l'insurrezione zapatista del 1994. Il clima era quindi più favorevole per riprendere il filo della memoria mai sopita del 2 ottobre 1968.
Ho già accennato alla commissione indipendente guidata da Paco Ignacio Taibo II.
Nei suoi atti già si avanzava l'ipotesi che gli agenti governativi avessero sparato non solo contro i manifestanti ma anche contro i soldati, per provocarne la reazione, e che il "Batallón Olimpia" non fosse stato il solo gruppo di fuoco ad agire. I documenti raccolti dalla commissione dimostravano inoltre che la polizia aveva fatto "sparire" molti manifestanti; che il movimento studentesco era stato pesantemente infiltrato e che alcuni portavoce "radicali" non erano altro che provocatori governativi; che il rinvenimento del presunto arsenale del "Consejo Nacional de Huelga" (Cnh) era solo una montatura (do you remember Genova 2001?). Tra gli innumerevoli episodi descritti nel rapporto, la solidarietà degli abitanti del quartiere che offrivano rifugio agli studenti braccati; l'arresto, pochi giorni dopo il massacro, di alcuni ladri che saccheggiavano gli appartamenti abbandonati dai proprietari terrorizzati: gli sciacalli erano tutti membri della polizia ed erano stati immediatamente rilasciati.
3. La pace delle tombe
Nel corso degli ultimi 10 anni, di pari passo con l'acuirsi della crisi del Pri, si sono succedute diverse ondate di rivelazioni sui fatti del 2 ottobre 1968. Alcune di esse non sono attendibili perché prive di riscontri probatori e/o provenienti da ambienti politico-militari che hanno troppo interesse a rifarsi una verginità o a risolvere antiche rivalità.
Importante è stata senza dubbio la pubblicazione da parte della National Security Agency (Nsa) di Washington dei già menzionati documenti segreti dell'intelligence statunitense, declassificati nel 1998. Pur nella loro contraddittorietà e nel silenzio sul ruolo allora giocato dagli USA, tali documenti mostrano con chiarezza tutto il repertorio dei sofisticati strumenti della repressione, la sua brutalità, l'escalation fino al tragico epilogo. E soprattutto dimostrano, se ce n'era bisogno, che il «pericolo rosso», il «complotto del comunismo internazionale», addotto dal governo messicano come ragione necessaria e sufficiente per un «sacrificio umano» di quelle proporzioni, non era altro che un pretesto mortale per liberarsi di un'esperienza scomoda, distrarre l'attenzione dell'opinione pubblica dai profondi problemi interni e mostrare al mondo, nell'imminenza delle Olimpiadi, un paese determinato, sano, tranquillo. La pace delle tombe.
4. Los generales
Nell'ultimo dei rapporti declassificati i servizi segreti americani riferivano, a sei mesi dal massacro, che i generali Gutierrez Oropeza e Ballesteros Prieto, responsabili delle operazioni militari in Tlatelolco, erano stati "sfiduciati" dal ministro della difesa gen. García Barragán. I due capi di stato maggiore avrebbero deliberatamente ignorato gli ordini ricevuti di limitarsi a circondare la piazza, controllare la manifestazione e impedire il previsto corteo, peraltro annullato dal Cnh già all'inizio della riunione. Il siluramento dei due alti ufficiali, una misura amministrativa insignificante e insultante rispetto a tutto il sangue versato, rispondeva tuttavia a ragioni precise e inquietanti. Nel loro libro Parte de guerra, il giornalista Julio Scherer e lo scrittore Carlos Monsivais hanno pubblicato le memorie dell'allora ministro Barragán, saltate fuori di recente ma in realtà risalenti al 1978. La ricostruzione che ne emerge ha dell'incredibile. Alla vigilia della grande manifestazione studentesca, il gen. Gutierrez Oropeza inviò 10 cecchini ad appostarsi in diversi edifici che si affacciano sulla piazza delle Tre Culture. Quei "terroristi", così letteralmente li definisce Barragán, spararono sia sui dimostranti che sull'esercito, per provocarne la reazione. Oropeza disse a Barragán di aver ricevuto ordini superiori, se di Díaz Ordaz o Echeverría non è chiaro. Barragán aggiunge poi che furono istruttori statunitensi ad addestrare gli uomini di Oropeza alla controinsurrezione e anche all'uso degli esplosivi: molte intimidazioni "al tritolo" avvenute nel corso del 1969 contro sedi di giornali furono, secondo Barragán, anch'esse opera di Oropeza.
Lo storico Carlos Montemayor, autore di ricerche fondamentali sul Messico contemporaneo, si spinge a leggere, tra le righe delle memorie del gen. Barragán, i segni di un duro scontro ai vertici delle istituzioni: il presidente Díaz Ordaz, con la complicità del suo stato maggiore e il sostegno dei settori più retrivi dell'esercito, sarebbe stato sul punto di usare la "trappola" di Tlatelolco come pretesto per sospendere le garanzie costituzionali e instaurare il coprifuoco nel paese. Un tentativo di "golpe bianco" cui Barragán, ministro della difesa, si sarebbe opposto denunciando, con la rimozione di Oropeza e Prieto, il tradimento di parte dei vertici militari.
5. Le immagini della memoria
Se le parole possono essere pietre, le immagini colpiscono talora ancor più delle parole. Lo sapevano bene Díaz Ordaz, Echeverría, Oropeza e tutti i loro attendenti, sicari e scagnozzi che fin da subito si diedero da fare a pestare giornalisti, fracassare e sequestrare attrezzature fotografiche e di ripresa, distruggere rullini e bobine, assaltare sedi di quotidiani e periodici...
Eppure alcune immagini, preziosi frammenti di verità, riuscirono a sopravvivere.
Nel dicembre dello scorso anno, la giornalista Sanjuana Martinez, corrispondente in Spagna del settimanale «Proceso», ricevette un pacchetto anonimo contenente 35 foto inedite scattate la sera del 2 ottobre 1968 all'interno dell'edificio Chihuahua dove, al terzo piano, era stato improvvisato il palco del Cnh. Sono foto, scattate da un operatore del governo, che ritraggono soldati, poliziotti e agenti in borghese con un guanto bianco a una mano, la pistola nell'altra, tutti nell'atto di arrestare, trascinare, costringere sotto la minaccia delle armi una moltitudine di gente impaurita, insanguinata, denudata, offesa. Nel corso di una telefonata l'ignoto mittente delle fotografie disse alla giornalista che era venuto il momento di renderle pubbliche, che nonostante la sconfitta epocale subita nelle elezioni del 2000 il potere nefasto del Pri era intatto, che chiedesse a Echeverría chi aveva pianificato e attuato la strage, massacrando uomini, donne e bambini inermi a colpi di baionetta e pallottole esplosive... Corpi squassati e volti devastati da una violenza disumana... gli stessi che fotografò Manuel Rojas de «El Universal»: le sue immagini sono emerse dalle nebbie della storia solo nel febbraio scorso accompagnate da fredde annotazioni di carattere medico legale...
Se le foto rese pubbliche da «Proceso» e da «El Universal» sanno suscitare quell'indignazione e quella rabbia che qualunque essere che si dica umano ha provato, per esempio, di fronte alle immagini del corpo senza vita di Carlo Giuliani e dei ragazzi pestati a sangue nella scuola Diaz a Genova, altre immagini di quel lontano Sessantotto messicano, così vicino, hanno invece contribuito in modo determinante a documentare l'accurata pianificazione del massacro da parte delle autorità.
Secondo la testimonianza resa da Servando Gonzales e García Pineda, all'epoca operatori cinematografici del ministero degli interni, erano ben 6 le equipe di cameraman del governo che filmavano da ogni angolazione la piazza delle Tre Culture. Furono effettuate complessivamente 22 ore di riprese. Tutto il materiale fu portato agli Estudios Churubusco per lo sviluppo e quindi consegnato direttamente al ministro Echeverría... Non si conoscono che pochi minuti di quelle riprese ma quel poco, grazie alla pazienza di due uomini innamorati della verità, oggi può dirci molto.
Carlos Mendoza, direttore della casa di produzione video indipendente Canal 6 de Julio e docente universitario, ed il già nominato Carlos Montemayor, autore fra l'altro di un libro inchiesta proprio sui fatti di Tlatelolco e intitolato Rehacer la historia, hanno raccolto e analizzato tutto il materiale cinematografico disponibile, hanno ricostruito l'esatta successione temporale delle sequenze e sono così giunti a far chiarezza nelle zone d'ombra che ancora gravavano sulla vicenda. I documentari Batallón Olimpia, prodotto nel 1998 e Operación Galeana prodotto nel 2000, entrambi della serie Guerra de Baja Intensidad - in cui sono compresi anche lavori sul massacro di Acteal in Chiapas e quello di Aguas Blancas nel Guerrero - (che, con un'operazione coraggiosa e necessaria, vengono riproposti in questi giorni al grande pubblico in una videocassetta allegata al quotidiano La Jornada di Città del Messico), offrono una minuziosa descrizione dello schema repressivo messo in atto dal governo di Díaz Ordaz a partire già dal 28 agosto del 1968. "Galeana" era il nome in codice dell'operazione militare che aveva come obiettivo l'annientamento cruento della protesta studentesca. Intorno alle 18.00 del 2 ottobre i reparti dell'esercito che presidiano l'intero quartiere di Tlatelolco cominciano a circondare la piazza. Gli uomini con il guanto bianco, gli agenti del Batallón Olimpia, sono ormai presenti in tutti i punti chiave e non solo in prossimità del palco. Sulla terrazza del tempio di Santiago sono appostati alcuni cecchini. Alle 18.10 due bengala: è il segnale che la trappola è scattata. Gli agenti del Batallón Olimpia sparano sulla folla e si gettano sui dirigenti del movimento; i cecchini sparano sui soldati i quali a loro volta cominciano a sparare sui manifestanti e si lanciano all'occupazione della piazza...
Un'esperienza di lotta durata oltre 4 mesi viene schiacciata nel sangue in sole due ore. Un tale grado di "efficienza" presuppone esperienza e segretezza: in pochi dovevano conoscere il quadro di insieme mentre gli esecutori materiali avevano ricevuto ordini "opposti" all'insaputa gli uni degli altri. Semplicemente diabolico.
6. 1968, oggi
Nessuno in Messico si illudeva che il tracollo del PriI e l'avvento del Pan potessero significare un reale cambiamento. In campagna elettorale Vicente Fox aveva promesso, per esempio, che l'esplosiva situazione in Chiapas sarebbe stata risolta «nel giro di un quarto d'ora»: sono passati 2 anni e nel sud est messicano la militarizzazione non è diminuita, i gruppi paramilitari spadroneggiano, si susseguono quasi quotidianamente gli assassini di simpatizzanti zapatisti e leader di organizzazioni sociali. Allo stesso modo Fox aveva annunciato che una priorità del suo mandato sarebbe stata quella di fare piena luce sulle responsabilità del massacro di Tlatelolco e di due decenni di guerra sporca: i progressi sono per ora troppo timidi per risultare convincenti. La declassificazione degli archivi governativi ha interessato principalmente il ministero della difesa (Sedena) ed il Centro di Informazione e Sicurezza Nazionale (Cisen) ma i segreti gelosamente custoditi nei sotterranei del ministero degli interni resteranno tali chissà fino a quando. Il tentativo del centro sinistra di creare una Comisión de la Verdad parlamentare si è infranto contro lo scontato rifiuto del Pri che ha però trovato l'appoggio del partito al governo (!). C'è quindi più di un motivo per nutrire seri dubbi sulle reali intenzioni di Fox. La stessa creazione di una Procura speciale incaricata di investigare su Tlatelolco e altre porcherie del passato non è stato un atto spontaneo del governo ma un provvedimento impostogli dalla suprema corte di giustizia e dalle decine di procedimenti giudiziari che negli ultimi anni sono stati intentati da molti sopravvissuti ai decenni della guerra sucia.
Chissà se qualcuno dei responsabili, ora che quei reati sono stati dichiarati imprescrivibili, sarà mai chiamato a pagare il conto... Certo molti messicani avranno brindato a tequila quando, nel luglio scorso, il boia Echeverría è comparso per ben due volte davanti al procuratore speciale Carrillo Prieto. L'ex ministro degli interni ed ex presidente della repubblica, univocamente ritenuto l'ispiratore e l'artefice della strategia della tensione in salsa messicana, si è avvalso della facoltà di non rispondere... ma davanti alle telecamere è apparso un vecchietto raggrinzito e macilento che, visibilmente alterato a causa della folla che gli urlava «Assassino!» e «Dos de octubre no se olvida!», si stringeva alle sue guardie del corpo implorando: «Dite che stiano zitti! Dite che stiano zitti! Fateli tacere!».