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riflessioni teoriche sull'immagine e il cinema
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Modelli di spazi e percorsi nel cinema iraniano contemporaneo

E la vita continua
Il vento ci porterà via

Nonostante sia fatto in buona parte di paesaggio, di fotografia, di calligrafismi, e benché questa ambientazione rifletta convenzioni e consuetudini sociali a noi occidentali poco note; benché presupponga quindi un elevato grado di formalizzazione visiva, il cinema iraniano di questi ultimi anni consente di essere letto anche a prescindere da interpretazioni simboliche vincolanti. Nonostante l´uso di figure come l´iterazione e di formule del parlare ("Sia benedetta la vostra mano" – Il vento ci porterà via), benché i personaggi stessi accennino a elementi del paesaggio di per sé caratterizzanti (l´albero solitario, sempre nell´ultimo film di Kiarostami), la presenza e la ricorrenza di queste "marche" (ambientali, sociali, culturali) non sovraccaricano la narrazione, non pesano come aggregati di senso indipendenti, e, anzi, sembrano adeguarsi agli intrecci. Alcuni esempi, un po´ estremi, di sequenze basate su una complessa organizzazione degli spazi, danno un´idea di questo linguaggio in due autori pur divergenti tra loro come Abbas Kiarostami e Mohsen Makhmalbaf; come scrive Roberto Escobar a proposito di Lavagne di Samira Makhmalbaf, "Il cinema [...] può ben essere solo immagine. [...] il cinema che viene dall´Iran ha questa intensità espressiva, questa "rapidità" comunicativa: non gli occorre contesto narrativo, ancor meno gli occorre dialogo, per arrivare ai nostri occhi come senso" (1).

Lavagne
Il sapore della ciliegia

Il sapore della ciliegia(Kiarostami, 1997). Un uomo si aggira per tutto il film alla ricerca di un interlocutore. Vuole conoscere il senso o il non senso del proprio eventuale suicidio. Dopo i primi incontri si trova a discutere in auto con un addetto alla tassidermia degli animali, dipendente dell´università. E dopo averlo lasciato al suo lavoro lo cerca di nuovo, trovandolo all´interno di un´aula, alle prese con gli studenti, un´aula la cui parete di fondo è in vetro. In una singolare dialettica in/off, vediamo il protagonista proprio attraverso il vetro; ma lo vediamo fuori, la mdp essendo all´interno dell´aula; il sonoro è "in", in quanto costituito dalle spiegazioni del tecnico, parole che sgorgano da una fonte localizzata nello stesso ambiente della mdp; ma è anche off, in quanto non se ne vede la fonte, situata alle spalle, si presume, della mdp. Il protagonista cerca di farsi vedere, invano, e le spiegazioni continuano. Una sequenza analoga era stata anticipata nell´incontro con il custode di una cava: anche in questo caso il protagonista, aldilà di una finestra, riceve le indicazioni verbali di qualcuno che non si vede, la mdp frapposta tra i due

Il sapore della ciliegia
L'ambulante

L´ambulante (M. Makhmalbaf, 1987). Nel corso dell´episodio centrale, il figlio handicappato della vecchia malata, esce per riscuoterne la pensione, ma viene investito. La mdp segue il giovane che si avvicina a un crocicchio, finché entra in campo un´auto; una breve soggettiva ripresa attraverso il parabrezza mostra il giovane nell´istante in cui viene colpito dal cofano: poi dall´alto lo vediamo steso sul selciato; il guidatore accorre per sostenerlo, il giovane sembra reggersi in piedi ma poi ricade. Accorre gente e, di nuovo dall´interno della vettura, la mdp riprende il corpo per terra: ma l´inquadratura coincide subito con un improvviso carrello indietro poiché, fatta la debita manovra, l´investitore fugge. Là dove ci saremmo aspettati un piano ravvicinato a mostrarci le condizioni del ferito, l´oggetto dell´inquadratura ci viene sfilato di sotto agli occhi in una fuga che non avrà più nessun seguito: il conducente della vettura non comparirà più.

L'ambulante
Il silenzio

Il silenzio

Il silenzio (M. Makhmalbaf, 1998). Dopo una serie di verifiche sui diversi timbri e tonalità prodotti da paioli e calderoni, il ragazzino cieco, accordatore di strumenti, istruisce gli operai di una forgia: tre colpi – un colpo (a questa sequenza corrisponderà la base ritmica delle prime battute della Quinta di Beethoven). Dopo alcuni secondi di "prove", il ragazzino comincia ad avanzare, come abbiamo già visto in altri momenti, per esempio al mercato: movimenti profondi, che Makhmalbaf ha già sperimentato in altri film (i lunghi corridoi – d´ospedale, si presume – di Tempo d´amare, le corse per il mercato del figlio del Ciclista), movimenti che si dipanano lungo l´ambiente ma anche nella profondità ideale del suono: la produzione del suono è uniforme, per quanto lo consenta il carattere improvvisato degli strumenti improvvisati, e uniforme è d´altra parte la realtà spaziale per il bambino privo di vista. Noi invece vediamo una donna che incrocia, non vista, i passi del ragazzo; vi sono inoltre anche i "contrappesi laterali" di questo ambiente a tubo: in particolare i ragazzi con le loro pentole, allineati lungo le pareti, e gli elementi luminosi. Luce che filtra dall´alto e taglia l´ambiente con fasci visibili verso il lato destro; e luminescenze, bagliori, che promanano sul lato sinistro, quasi in primo piano, da una verosimile adiacente fucina. L´ambiente diventa un luogo pulsante, fatto di sferragliamenti e iridescenze, attraversato dal ragazzo tutto compreso in ciò che ode e che, forse, integra nella mente (una vera e propria orchestra di strumenti orientali).

E la vita continua

E la vita continua (Kiarostami, 1992). Dopo una serie di sequenze che espongono gli incontri del protagonista con le persone con cui aveva realizzato Dov´è la casa del mio amico?, e che costituiscono il suo sopralluogo fra le case distrutte dal terremoto, un nuovo capitolo della sua "esplorazione" si apre in maniera inaspettata: giunto con la propria Renault in prossimità di una curva sulla pista sterrata (posta più in alto rispetto al fondovalle che si intravede in secondo piano), egli scorge, aldilà di alcuni alberi di ridotte dimensioni e delle relative ombre, orizzontali al sole calante, una piccola folla che si presume in lutto: in colonna sonora una voce avvia una melodia straziante, pare di sentir piangere, figure umane sono distese a terra e coperte. Mentre l´auto disegna una curva ad ampio raggio, e la visione soggettiva attraverso i vetri si connota come "documentaria" e tutto sommato realistica, come realistico sarebbe anche il compianto funebre, si sovrappone invece, un concerto di Vivaldi, che accompagnerà le carrellate laterali sugli alberi e sul cielo: la desolazione dei luoghi colpiti dal sismo convive con la speranza di alcune donne che lavano presso il fiume, forse con dei bambini. E per un attimo si scorgerà il pendio con il sentiero "a esse" che veniva salito dal bambino in Dov´è la casa del mio amico?

Il ciclista

Tempo d'amare

Il cerchio

Queste sequenze, e l´ultima in particolare, ci introducono a un esame delle strategie di utilizzo dello spazio che sembrano marcare la differenza fra i linguaggi di Kiarostami e di Makhmalbaf. Un discrimine tra i due autori è rintracciabile nel rapporto tra i personaggi e lo spazio in cui si muovono, spazio che alle volte dà forma e struttura all´intero film (il caso estremo, per restare all´Iran, è Il cerchio di J. Panahi). I personaggi e le situazioni dei film di Kiarostami sono quasi sempre in viaggio, ricerca interiore e ricerca condotta sui luoghi: a questa impostazione appartengono l´esplorazione fra le macerie del terremoto (E la vita continua), la serie di incontri del Sapore della ciliegia; come pure gli spostamenti reiterati del protagonista di Il vento ci porterà via e i luoghi in cui si muove (la camera d´affitto, la collina per ricevere con il cellulare, la fossa in corso di escavazione); e così pure l´insistenza su un ambiente circoscritto, e riproposto sempre uguale nel set di Sotto gli ulivi. In questi ambienti i personaggi si pongono in atteggiamento di dialogo, imparano sempre qualcosa dagli altri. L´uso della carrellata, in particolare quando il carrello si identifichi con un´autovettura, comporta una presa d´atto da parte del personaggio, un "rendersi conto" della realtà esterna e interiore, sull´esempio ormai storico della coppia rosselliniana di Viaggio in Italia; per contrasto, notiamo che i nervosi movimenti del taxista in Tempo d´amare di Makhmalbaf hanno una funzione opposta: egli ha già appurato quanto doveva, cioè i rapporti della moglie (o della amante, a seconda degli episodi) con il lustrascarpe. Perciò la sua soggettiva, facendoci identificare con lo sguardo dell´autista, esaspera la sua e la nostra percezione dell´ambiente urbano, complice la colonna sonora. I personaggi di Makhmalbaf o hanno già appreso oppure non hanno bisogno di apprendere: agiscono mossi a priori da un´idea fissa, da uno scopo vitale, addirittura da un´ossessione. Uno scopo che li porta a reazioni esasperate e prevedibili nella loro inesorabilità: movimenti (cioè modi di stare nell´ambiente) agiti dal destino: quelli dei film di Kiarostami sono invece itinerari da scoprire strada facendo che possono far tralignare il personaggio in direzioni inaspettate

Sotto gli ulivi

La struttura narrativa e ambientale dei film di Kiarostami è in genere lineare, proponendo itinerari (Il sapore della ciliegia, E la vita continua) o strutture spaziali costruite sull´iterazione degli ambienti (Sotto gli ulivi, Il vento ci porterà via). I movimenti del protagonista, magari "pedinato" come suggeriva l´estetica zavattiniana, si alternano ai campi lunghi e ai totali. Non c´è mistero, c´è anzi la negazione di ogni suspense. Antonio Costa, chiedendosi perché il "totale" sia ben poco studiato in sede critica e teorica, individua due possibili motivi: "Forse il suo incerto statuto, la funzione puramente descrittiva Il vento ci porterà viache spesso gli viene impropriamente attribuita o quella di semplice riempitivo... ". E più avanti osserva: "La messa in valore della spazialità non ha un significato univoco: essa può mettere in relazione il personaggio con i valori mitici, culturali e simbolici connaturati a un certo paesaggio (si pensi al western); ma essa può indicare anche l´annullamento del personaggio e del suo gesto nella dimensione di uno spazio naturale o sociale o cosmico che lo sovrasta". (2). Per i film di Kiarostami sembra valere proprio questa seconda ipotesi: i personaggi dei suoi film di buon grado si lasciano integrare nell´ambiente e partecipano (scarpinando, affannandosi, cercando di avviare motori ingolfati riottosi a scalare vere e proprie rampe sterrate) di quella sostanza terrigna, eterna e polverosa che traccia le linee delle sequenze.

Lo spazio è definito anche con il tempo: il tempo che impiega una nuvola di polvere a sollevarsi da terra sotto la spinta di una ruota e a dolcemente ridistendersi all´intorno poco dopo (Il sapore della ciliegia); oppure è evocato dal suono: nella straordinaria sequenza alla fine di Sotto gli ulivi, la linea del sentiero attraverso il prato si perde nell´alta vegetazione, e il movimento del timido Hossein all´inseguimento della scontrosa Tahareh, è visibile nel loro avanzare a mezzo busto (non si vede dove poggino i loro piedi): prima ancora, in lontananza (ancora un totale), è il tintinnio dei bicchieri per il tè che il ragazzo ha servito alla troupe a manifestare il suo incedere affannato.
Più che le forme in sé, a Kiarostami sembrano interessare i rapporti fra le forme; è più urbanista che architetto; più che le rovine causate dal terremoto (E la vita continua) sono importanti i percorsi fra le rovine. Riproponendosi svariate volte negli stessi luoghi, affacciandosi a tanti scorci paesistici ricorrenti, reiterando le proprie azioni, i personaggi si spogliano via via delle proprie attribuzioni personali (un po´ allo stesso modo dei "modelli", cui Bresson espropriava ogni prerogativa e attitudine alla recitazione) e la loro vicenda personale viene a fare tutt´uno con la nostra percezione dei drammi (ma anche delle speranze e delle grandi forze morali) della collettività. Questo modo di procedere non esclude, nell´economia della narrazione, il ricorso a sequenze più forti (come l´esempio di E la vita continua), cariche di più densa connotazione. Questo è nella natura del cinema, come rilevava Serge Daney: "Non dimenticare che, nel suo fondo popolare, il cinema non è un´arte fatta di "inquadratura dopo inquadratura", ma un´alternanza fra momenti forti e momenti deboli"
(3); Daney parlava in quell´occasione di cinema spettacolare, ma si rifaceva a una definizione da lui stesso escogitata per il cinema "popolare", e, se parliamo di leggibilità, quello di Kiarostami può ben essere popolare, in linea con le parole di Escobar. Un film sembra fare da ponte nei confronti dell´impostazione praticata da Makhmalbaf. Dov´è la casa del mio amico? è imperniato sull´imperativo di rintracciare il compagno di scuola e riportargli il quaderno. A questo fine il ragazzino protagonista attraversa villaggi e percorre sentieri poco battuti, incontra strani individui, segue il campanello di un asino, si deve adattare al calar delle tenebre, passa e ripassa davanti a muri più volte rivisti; e orienta tuttavia la propria erranza al raggiungimento dello scopo. È un esito che gli altri film non hanno: non sappiamo, alla fine di Sotto gli ulivi, quale risposta Tahareh abbia dato al giovane innamorato; non sappiamo se il protagonista del Sapore della ciliegia si sia suicidato, e quello di Il vento ci porterà via riparte senza aver realizzato il proprio lavoro. Conta per loro più l´itinerario, fisico e interiore, che non l´ottenimento dello scopo.

Il ciclista

Il Silenzio

Anziché le strutture a itinerario, Makhmalbaf sembra dare ai propri film una connotazione spaziale che informa di sé tutta la narrazione. È il caso, con immediata evidenza, del Ciclista (1989). Un acrobata in moto, al luna park, introduce il motivo del girare in tondo, poi il protagonista, marito di una donna gravemente ammalata, scommette di pedalare per una settimana intera lungo il perimetro di una piazza. Con il compenso cercherà di pagare l´operazione necessaria alla moglie. Si scatena una lotta di sopravvivenza: sullo sfondo, sempre uguale e sempre diverso, la stessa piazza ma con diversi astanti, nell´alternarsi del sole e dei riflettori, l´uomo vive una coazione a ripetere, ogni giorno esaurendo le proprie forze. L´andamento della macchina da presa riproduce questa claustrofobica condizione: "La plastica del Ciclista lavora a un vero cine-occhio, concatenando una serie di Leitmotiv che mirano a circondare il personaggio e il suo spettatore in una forma sensibile del destino", un vero e proprio "fantasma scopico" (4). Non diversamente dal bambino cieco del Silenzio, sorta di demiurgo che traversando alla cieca le acque del lungo corridoio della forgia, ottiene alla fine, nell´assemblaggio di timbri e ritmi il proprio scopo: quanto utile? Poco all´atto pratico, ma che dà un senso all´esistenza. D´altra parte un´idea poco utile, destinata a degenerare nella perversione, muove un vecchio in caccia di voci d´uccelli al cimitero. Dalle sue registrazioni, in Tempo d´amare, verranno in superficie i tradimenti e il tragico triangolo lui-lei-l´altro. Anche in questo caso è l´elemento sonoro a venire incontro a una definizione dello spazio, in generale più astratta rispetto a quella dei film di Kiarostami: una concezione tutta mentale, fittizia, ricostruita a posteriori, dello stare nel mondo, un´idea pronta a espandersi nelle proprie pulsioni e pulsazioni dello schermo. Nel caso dell´uno come dell´altro regista, comunque, i densi elementi formali rimandano a un referente effettivo o si incarnano nella forma stessa del film, evitando una funzione simbolica e parlando così, a onta delle apparenze, un linguaggio universale.

Tempo d'amare

Note

(1) R. Escobar, Maestri senza via di fuga. "Il Sole — 24 ore", 26.9.2000.

(2) A. Costa, Campo totale. "Cinema & cinema" n. 47, dic. 1986, dossier "Lo spazio del film".

(3) S. Daney, L’exercice a été profitable, Monsieur. Paris, P.O.L., 1993 (ed. it. Il cinema e oltre, Il Castoro, 1998).

(4) L. Roth, La comparution. "Cahiers du cinéma" n. 499, febb. 1996.

Alberto Corsani