Tre ragazzi immaginari
[TUTTA LA VERITA’ SU]
THE BLAIR WITCH PROJECT

THE BLAIR WITCH PROJECT è o non è un film?

Io credo che non lo sia, se non ragionando in termini meramente fenomenologici. [L'home-movie è un film? Le riprese casalinghe sono film?]

 

TBWP esiste in funzione di ciò che gli sta intorno. (Dell'aura che s'è creato, del suo sito internet etc.) Ma nello stesso tempo è sbagliato dire che come oggetto filmico a sé stante non ha ragion d'essere, dal momento che presenta delle pregevolezze di rara genialità: per un'ora e venti noi più che vedere ascoltiamo. Come del resto finora abbiamo solo sentito parlare del film, ora continuiamo a sentir parlare. L'immagine si sottrae, ed è ciò che fa più paura. La nostra condizione e' simile a quella di Mike, che nel finale e' costretto faccia al muro nell'angoletto ad UDIRE le grida della compagna mentre viene (presumibilmente) uccisa. Le cose più brutte avvengono fuori campo, o al buio. SE avvengono. Certo, di qui a dire che i due ragazzi hanno reinventato un genere ce ne passa, ma mi pare abbiano dimostrato di avere un bel talento, e non solo nel vendersi. (Federica)

 

Sono convinto che il film sia tutto integralmente fuori campo. Quello che può muovere qualche interesse nello spettatore annoiato è risalire a quella occulta regia che non ci viene mai rivelata, neanche nel finale, dovendo forzatamente far coincidere lo sguardo dei testimoni della burla con quello dei mezzi di riproduzione, nel momento in cui si svela ai loro occhi tutta la costruzione sotterranea, noi rimaniamo tagliati fuori. Perciò penso che se, come è stato rilevato da più parti, il film non esiste, questo è dovuto al fatto che è confluito tutto nel fuori campo, che mi piace immaginare compreso in quella fascia nera che divide il quadrato del 16 dal bordo del 35: il film è nella pellicola maggiore e si compone di tutto l’immaginario degli autori che si è mostrato molto di più in internet, mentre in quello spazio espone soltanto la manipolazione dei materiali visivi e sonori, dozzinali, ma nemmeno sempre (l’accenno alla memoria scolpita sulla pietra tombale del cimitero di partenza è sia prolessi minacciosa del destino dei "personaggi" - non degli attori, se non si tratta di uno snuff movie - , sia indicazione di un altro supporto ben più persistente che custodisce la leggenda). (Adriano)

 



[L'immagine qui sopra mostra una delle creazioni trovate sui siti internet che ruotano intorno al film. In questo caso, è stato prodotto un trailer con i PlayMobil come protagonisti; quello che si vede qui sopra è il "modello Heather" completo di abbigliamento...]

Forse The Blair Witch Project è davvero un film fuori campo: non si svolge sullo schermo del cinema ma esiste solo nei racconti delle centinaia di ragazzini che si passano parola. Un film che vuol essere un’esperienza reale, e non un simulacro, scompare cinematograficamente: seguendo lo stesso destino dei tre videoamatori che si perdono nel bosco di Burkittsville. Cattivi attori? Cineasti improvvisati? Sicuramente personaggi reali, che si materializzano in un privatissimo (e insieme collettivo) Altrove: nelle pagine dei diari scolastici, nei siti internet, nei messaggi dei cellulari…[Il dvd del film, estremamente ben fatto, oltre al film contiene spezzoni di finti notiziari televisivi in cui si denunciava la scomparsa dei tre e una finta trasmissione stile "Chi l'ha visto?" dove si intervistavano parenti, amici, e chi l'aveva visti per ultimi, e come erano vestiti]

Come il video girato in settimana bianca o al campeggio, The Blair Witch Project esiste soltanto per uno spettatore al singolare, si offre ad uno sguardo che non guarda: e nella sua pretesa di riprodurre la realtà, è un nocumentario.

Ma TBWP non nasce forse da un'intenzione precisa, autoriale (e narrativa)?

Ciò non toglie che la simulazione dell'home-movie risulti tanto efficace da rientrare nell'apposita categoria estetica. Il modo di visione "privato", che è alla base dell'operazione home-movie, diventa in TBWP modo "finzionalizzante" e per certi versi "documentarizzante": ma credo non cambi la sostanza, ossia l'assenza di quei valori formali minimi che mi potrebbero consentire di rifiutare l'analogia fra questo film e, che ne so, i miei vecchi VHS di campeggiatore adolescente. (Luca)

 

L’intenzione narrativa è innegabile: a più livelli addirittura. Si può scegliere quale si preferisce: ci si può adeguare a seguire i fatti dal punto di vista del racconto di riprese per un documentario, che non si farà nei termini di ricerca topo-storica (diventando documento artefatto — ma fino a che punto? — della sparizione di tre giovani), propendere per l’attesa di eventi orrorifici e quindi

configurabili in un non riuscito film di suspense, prendere per valida l’intenzione di mostrare come si possa inventare una notizia (e quindi analizzare con gli autori le storture di un sistema di informazioni non verificabile: grande problema per la nostra volontà di dirimere ogni questione secondo il criterio di realtà e verità), rimanendo però con il dubbio che non si voglia puntare l’indice contro le notizie inventate. Il risultato è che ciascuno vede un film diverso (e il più delle volte non rimane soddisfatto di quanto ha — o non ha — visto, perché nessuno dei racconti risponde alle regole di nessuno dei diversi canovacci possibili. (Adriano)

 

La sostanza del film è l'impressione di realtà e attiva due identificazioni (in sovrimpressione, diciamo): anch'io spettatore sono un ragazzo che potrebbe finire ucciso nel bosco; anch'io spettatore ho una videocamera e potrei fare i soldi come questi tre cazzoni. (Luca)

 

Aggiungerei una terza identificazione, che ho avuto modo di identificare anche nei non-cinefili che pretendevano il rimborso del biglietto intorno a me: l’identificazione con i burlati. Infatti mi sembra che il non-film si configuri come uno scherzo perpetrato in prima istanza ai danni dei tre malcapitati, usandoli volta a volta — l’uno più informato degli altri (ma non sempre lo stesso) — per far funzionare lo scherzo. (Adriano)

 

L'impressione di realtà in BLAIR WITCH PROJECT non è solo un effetto-audio.

Faccio una domanda: si può dire che il film sia girato interamente in soggettiva? Io dico di no.

Perchè la soggettiva integrale contrasta con l'impressione di realtà al cinema.

Le soggettive incrociate del non-film in questione danno corpo ad uno sguardo semisoggettivo: il punto di accumulazione delle soggettive è il momento in cui la ragazza inquadra se stessa, piangente e smocciolante. Lo spettatore è associato alla visione mediante atti proiettivi

diversificati, alternati: puoi essere la ragazzetta sicura di sé, o il cacasotto ciccione, o lo scettico col 16mm. (Luca)

 

Ho il dubbio che l’effetto di realtà non sia quello ricercato, perché non si sarebbe sottolineato così tanto il media: una identificata con il video, l’altro detentore del 16, che però contiene in sé già in nuce l’intenzione di arrivare a questo lavoro finito. E questa tendenza mi sembra paradossalmente confermata dal montaggio dei due mirando alla confusione dei due, inserendo spezzoni dell’uno nell’altro rispettando il percorso spaziale e temporale all’interno del bosco.


Per questo concordo che non si tratta di soggettiva
: ho avvertito soltanto la forte presenza di una regia occultata sapientemente dal cartello iniziale, ma che interviene pesantemente sulla realizzazione. Non tanto quindi per l’impressione di realtà, che a mio avviso perde incidenza quando usa l’espediente delle riprese saltellanti, quanto la palpabile produzione a tavolino del panico, l’orchestrazione della (troppo ripetuta) unica situazione di devastazione della tenda e delle scarpinate. Forse l’impressione di realtà maggiore sta proprio nel fatto che non avviene niente, proprio come se andassimo nei boschi di Giaveno. (Adriano)

 

Il fatto importante è che ciascuno di loro viene messo in condizione di mostrare l'altro.

 

Per dirla con la teoria, "il rappresentato è dato come reale, ma la rappresentazione è polarizzata dallo sguardo di uno dei partecipanti" (Metz).

Ma il partecipante attraverso cui vediamo non è mai in campo e si sottrae nel momento del disvelamento, trasgredendo alla regola dell’horror che prevede almeno una parziale spiegazione nell’epilogo che qui manca e non permette nemmeno illazioni o interpretazioni: rimane un mistero aperto su un sequel miliardario che non aggiungerà nulla di nuovo (sempre che gli inferociti abitanti della cittadina dei boschi non rendano iperreale la fantasia della troupe). (Adriano)

 

Ho visto il film ad occhi aperti svogliati - né "wide" né "shut". Non c’era niente da vedere. (Luca)

[clicca il pulsante "Play" per ascoltare un suono...]

 

Sembra che manchi al film il principio della visione materiale di ciò che dovrebbe far paura.

Principio pienamente rispettato storicamente giacché i mostri si sono sempre offerti allo sguardo anche quando si trattava di semplici fenomeni atmosferici come la nebbia di Carpenter (i fantasmi c'erano eccome). O, pensate a Romero, la notte dei morti viventi, che esteticamente potrebbe rientrare col suo bianco e nero e le sue angolazioni come citazione nel progetto della strega di Blair.

Non ci sono mostri, ma segni, conosciuti, come il bosco, qui semplice stereotipo del luogo in cui l'idea di perdersi è già terrorizzante, icone sconosciute (rami incrociati, cumuli di sassi), soli veicoli di angoscia. Troppo poco forse. (Andrea)

 

Ho ascoltato il film: doveva essere la traccia audio, con ogni evidenza, a sostituire l’immagine nella funzione di "scatola nera" della percezione. Non c’era niente neanche da sentire: parole ripetute come in una filastrocca ("Ci siamo persi!!"), e grida filtrate dalla distanza, attutite dalla noia. (Luca)

 

The Blair Witch Project accumula più che segni visivi segni sonori. Al punto che chiudendo gli occhi (e lo stratagemma si rivela interessante) cambia il punto di vista. Si annulla quello impossibile girato dai registi, che accumula immagini del tutto innocue (probabilmente considerano gli sballottamenti della mdp e la saturazione dell'inquadratura come elementi di per sé inquietanti) e trionfa il punto di vista dello spettatore che si trasforma in ascoltatore. Il fruscio delle foglie calpestate, le voci dei bambini i lamenti di Josh, le urla frequenti della parte finale, possono essere (ri)composti in una visione personale, nell'immaginario creativo individuale.

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Dunque The Blair Witch Project meglio su internet, ancora meglio alla radio. (Andrea)

 

Non esiste il film: infatti quello che vediamo sono soltanto bagliori e qualche frase concitata, che siamo orientati dai truffaldini autori a interpretare in modo soprannaturale — e questa è la parte emergente del lavoro cinematografico: dare ad intendere un’interpretazione, che qui è palesemente "incredibile" — mentre quello dovrebbe essere il film nelle intenzioni è sostituito da ballonzolanti e reticenti riprese in videocamera; l’evento starebbe tutto nel fuori campo, quello che noi continuiamo anche dopo i titoli di coda a ricercare, ovvero: cosa è realmente successo in quel bosco? Quali erano i meccanismi messi in atto dagli ideatori e quali le consegne dei singoli? E soprattutto quali erano nei diversi momenti i livelli di consapevolezza e i compiti assegnati ai protagonisti? Il trucco delle voci e la sparizione di Josh furono vissute come reali dagli altri? Cosa sapevano di chi li aveva contattati?

In fondo sono queste le uniche cose reali su cui si può dibattere. Ma è davvero questo l’aspetto appassionante del film? Credo piuttosto che sia invece il lato oscuro, quindi la componente soprannaturale, o meglio il nocumentary — in questo caso forse da intendersi come la promessa e non mantenuta partecipazione alle riprese — ciò che attrae e che non è dato, visto che "qualcuno" ha montato, cercando di occultare la propria presenza (e riuscendo benissimo nell'intento), il materiale in 16 mm., b/n (e pertanto evidentemente falso — oppure no? —) con quello della videocamera, più volte indicata come l’occhio della realtà nel presente dell’azione. Questo qualcuno si nasconde dietro ad un impersonale cartello iniziale che informa su una sparizione di giovani "mentre stavano girando un documentario", poi sparisce. Ed è questo il meccanismo che, ad andarlo a cercare, svela il sistema di coinvolgimento. (Adriano)

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The Blair Witch Project, girato da una "troupe" di tre persone in otto giorni con un budget di circa 35mila dollari, ha incassato, fino a oggi, 300 milioni di dollari. E se il successo americano è stato una sorpresa, in Europa le vecchie volpi del circuito distributivo (De Laurentiis) hanno "fabbricato" il cult ancora prima che uscisse nelle sale. E hanno avuto ragione. Allora i giudizi critici su The Blair Witch Project, oscillanti fra il gradimento di chi vede nel piccolo film girato in economia una nuova libertà d’azione per il cinema indipendente e invece la censura totale di chi trova l’operazione intera "pura e semplice spazzatura", praticamente si annullano: perché l’oggetto si sottrae all’analisi, e lo fa perché non esiste come fatto cinematografico, se non dal punto di vista fenomenologico. The Blair Witch Project è esattamente un non-film la cui lettura può risultare interessante solo se include ampi brani di letteratura scientifica, sulle tecniche di marketing e sulla psicologia dello spettatore. Alla luce di tutto ciò, non sembrerà meno bizzarro che ci si conceda un’ultima precisazione: sappiate che i tre ragazzi, poi, sono tornati a casa. Davvero. (Luca)