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riflessioni teoriche sull'immagine e il cinema
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Jurij M. Lotman - Yuri Tsivian “Dialogo con lo schermo”
Trad. e cura di Silvia Burini e Alessandro Niero.
Bergamo, Moretti&Vitali, 2001, pp. 332, L. 35.000.

Come semiologo Jurij Lotman fu attento, per tutta una carriera e una vita fatta di ricerche, alle strutture formali, alle tipologie e ai meccanismi del racconto; ma essendo anche "semiologo della cultura" ha saputo avere uno sguardo privilegiato alle dinamiche che, partendo dalle varie soggettività, conducono alle interpretazioni più personali dei fatti comunicativi. Tale è, almeno, l’impressione che si ricava dall’anomalo libro scritto in collaborazione con Yuri Tsivian, studioso di linguaggio cinematografico e allievo della Scuola di Tartu dove tanta parte ebbe Lotman stesso. Il testo che — avvertono i curatori, approfondisce fra l’altro la precedente Introduzione alla semiotica del cinema — si propone di fornire i materiali per un approccio al testo filmico anche al lettore che non conosca le strutture e gli elementi fondamentali del linguaggio del cinema, ma prima di addentrarsi nella "grammatica" fornisce alcune indicazioni di base, concetti ritenuti preliminari e ineludibili. E qui cominciano le sorprese, perché tali concetti — come si evince dai titoli stessi dei sottocapitoli — sono tutt’altro che organici e la loro disposizione non è all’apparenza sistematica: nelle prime cinquanta pagine si inanellano infatti, fra gli altri, i discorsi su "cinema e vita"; "spazio immaginario"; "montaggio"; "cinema e disegno". Segue, a questo punto, un capitolo dedicato alla preistoria del cinema. In questa primo terzo del volume l’operazione ricorda quella che alcuni professori di filosofia praticavano nei licei, iniziando il primo anno di corso non con i "presocratici" ma con Aristotele, al fine di dotare gli allievi di quel lessico minimo con il quale si poteva avviare qualsiasi discussione in materia.

Senonché anche il capitolo centrale, dedicato agli "Elementi di linguaggio cinematografico", sfugge all’impostazione di molta manualistica del settore e, anziché strutturarsi secondo la casistica dei vari tipi di inquadratura, dei movimenti di macchina, dei vari tipi di montaggio, si incardina sulla nozione di "punto di vista", a partire dalla quale prende le mosse un discorso abbastanza personale e non didascalico; insomma, un’idea di cinema. Riprendendo un discorso anticipato nel capitolo introduttivo sulla "natura altra" della realtà filmica, sull’artificio ma anche, potremmo dire, sul carattere di "manufatto" del film, Lotman e Tsivian approfondiscono la loro visione nel capitolo centrale trattando l’articolazione del testo filmico in découpage: chiarito che si è affermata nell’epoca del muto una scansione regolata dai principi della regolarità e della "struttura consueta" (così definiscono una "combinazione di inquadrature che non contraddice l’immagine dello spazio fuori campo venutasi a creare nella coscienza dello spettatore", p. 157; e più avanti si ribadisce l’idea parlando di "montaggio trasparente"), l’interessante è ciò che accade quando la volontà dell’autore sia di andare oltre a questi schemi, per proporre punti di vista diversi, soluzioni alternative: l’intento nei primi anni del cinema era quello di stupire (Méliès), ed esso si affinerà man mano che, in opposizione diretta, anche lo spettatore "oppone una resistenza attiva al nuovo modello del mondo proposto".

Ma le regole di questo gioco si complicano ancora: la prossimità fotografica dell’immagine filmica alla realtà eccede sempre e comunque una qualsiasi tassonomia, in quanto "la grammatica non norma la realtà, bensì la lingua" (p. 248). E ancora: "L’elaborazione degli strumenti della narrazione cinematografica reca in sé il marchio di questo conflitto, le tracce della trasformazione delle immagini visibili e materiali in segni di categorie grammaticali". Non solo il film è una diversa realtà (viene in mente il titolo di un libro di Edoardo Bruno di tanti anni fa, Film altro reale, ed. Il Formichiere), ma esso sconta anche la "resistenza" che la realtà vera oppone alla codificazione linguistica. In questo spazio, in questo luogo di resistenza si situa allora il terzo polo: oltre alla realtà, oltre alla sua riproduzione secondo le coordinate della grammatica filmica (e aldilà anche del "senso ottuso" di Barthes, scaturisce il pensiero, scaturisce un’idea del mondo, che si giova della combinazione tra i primi due elementi; dalla capacità, da parte del regista, di disporre gli elementi della scena, della scansione e dal suo montaggio in maniera non automatica, ma in ragione di precise scelte portatrici d’informazione (p. 34) discende la possibilità di attivare il circuito comunicativo con lo spettatore.

Alberto Corsani