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riflessioni teoriche sull'immagine e il cinema
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Filmare le idee
Alcune riflessioni a partire da Kiarostami

Proseguendo nella riflessione sulla filmabilità delle idee, riprendo il discorso rifacendomi ad alcuni film di Kiarostami.
È indubbio infatti che una grande parte del fascino di queste opere stia nella capacità, da parte del regista, di filmare persone che parlano: scambiano idee (come nel 'Sapore della ciliegia' oppure, per forza di cose, basandosi il film su un'inchiesta e su un contraddittorio processuale, in 'Close-up'); ma più spesso raccontano di sé ('Sotto gli ulivi'); e anche in film in cui c'è più 'azione', più elementi narrativi ('Il viaggiatore', 'Dov'è la casa del mio amico') a più riprese i personaggi - soprattutto bambini - vengono interrogati, devono rendere conto delle proprie azioni, che noi le abbiamo viste o meno.

1. Così, di film in film, di personaggio in personaggio, abbiamo a che fare con: narrazioni di eventi, visioni del mondo, resoconti di fatti, interpretazioni dei fatti stessi.

2. Kiarostami è abilissimo, ovviamente, nell'intercalare rapidi, rapidissimi spostamenti dei suoi personaggi (quanti momenti in auto: 'Il sapore della ciliegia' ma anche 'E la vita continua') con le riflessioni dei personaggi stessi: ma il fascino dell'operazione sta tutto, secondo me, nella rispondenza (o per contrasto nella non-rispondenza) fra i fatti visti e/o evocati con i resoconti e le interpretazioni (si può citare quello che è forse il più illustre antecedente in 'Rashomon'?)
Caso limite, emblematico, è quello dell'amore non corrisposto fra il cameriere improvvisato attore e la ragazza attrice in 'Sotto gli ulivi', che non riesce a pronunciare le sue battute alla ragazza attrice, è sempre deficitario e perdente in uno di questi due aspetti: o riesce a spiegarsi il rifiuto da parte della ragazza, la cui famiglia lo reputa troppo povero (ma in questo caso egli, trovata la ragione, non riesce a farsene una ragione); oppure, di fronte a un fenomeno realissimo e ineludibile come il terremoto di Teheran, si inventa una ragione soggettiva all'evento, con un colpo d'ingegno e di poesia di Kiarostami. Il giovane spiega infatti che lo sconquasso di dolore provocato in lui dal diniego dell'amata, sfascio inesprimibile a parole, come abbia provocato la lacerazione della terra. Ci sono qui vari elementi interessanti: l'adesione dei personaggi di Kiarostami alla natura circostante; la tendenza, propria probabilmente di quella cultura, all'affabulazione; il ricorso del regista a un mezzo stilistico apparentemente semplice (in realtà ricco di potenzialità: basti pensare a Straub-Huillet) quale il personaggio che parla.

3. Ma più di tutto colpisce (e mi interessa per il discorso sulla filmabilità delle idee) la radicalità con cui i personaggi di Kiarostami muovono da un'idea (prendere il posto di Makhmalbaf in 'Close-up'; andare a vedere la partita della Nazionale a qualunque costo - un giorno toccherà anche a noi fare di questi sacrifici, sic stantibus rebus...- : ; spiegarsi o tentare di spiegarsi il rifiuto della ragazza come visto più sopra; compiere una scelta forse definitiva in 'Il sapore della ciliegia'; restituire il quaderno e salvare il compagno dalla punizione in 'Dov'è la casa...'). Successivamente, quegli stessi personaggi, di fronte alla necessità di spiegare il proprio comportamento consequenziale all'idea di partenza (o in contraddizione con la medesima), nello spiegare a un giudice, a un giornalista, all'autorità-maestro, all'autorità-regista, rivelano contemporaneamente potenza e limiti della parola. Potenza, perché, per esempio, le motivazioni addotte a spiegazione del terremoto si presentano come creative, poetiche, espressione di saggezza popolare o di inventiva geniale e quant'altro; ma al tempo stesso sappiamo che esse valgono solo per chi le pronuncia, hanno un carattere di autoconvincimento, autoformazione, sorta di via privata alla risoluzione dei conflitti interpersonali o sociali, anche se poi il 'gesto' del finto-Makhmalbaf è piuttosto velleitario.

4. Ecco, questi personaggi sperimentano su di sé lo scarto, lo iato, la distanza fra lo stare al mondo, il modo di starci, da un lato; e i modi di interpretare, e quindi di socializzare ad altri, questo loro stare al mondo. A ben pensarci, non è cosa da poco. Sono film che, mentre ci espongono fatti e vicende in apparenza semplici, storie minime (minime, non minimaliste, vivaddio), come quelle che vedono protagonisti i bambini, o anche ingenue (l'innamorato o il finto regista) ci danno al tempo stesso la loro spiegazione e ancora, sempre contestualmente, la dimostrazione che tale spiegazione è tanto fallace quanto indispensabile a chi la elabora. Per tirare avanti. Nonostante tutto.

5. In questo senso Kiarostami ha da dire qualcosa sulla filmabilità delle idee: non per via teorica (come, poniamo, Kluge), non nel racconto che di un'idea fanno i personaggi, non nel film tutto costruito meccanicamente su uno scopo dichiarato in partenza (mi viene in mente, per dirne uno, 'Taxi driver'), (alla rinfusa: la lunga diatriba filosofico-morale della 'Mia notte con Maud', molti, e affascinanti, film di Bergman, un po' troppo 'a tesi', e, in negativo, come ridondanza più volte esecrata la voce fuori campo della versione bastarda di 'Blade runner'). Kiarostami ci interroga sulla vicinanza-distanza fra le persone, su relazioni fisicamente fatte di prossimità e spiritualmente di estraneità; sulla compresenza di mondi diversi anche nello scambio di battute fra due persone che si conoscono fin troppo bene e che interagiscono in vari modi, senza mai giungere alla vera apertura reciproca. Hai detto niente. Forse anche per questo, oltre che per il rigore dello stile, Kiarostami deve qualcosa a Bresson. Come tutti noi. Ci fa aspettare un dialogo risolutore, in positivo o in negativo, fra il cameriere-attore e la ragazza, e invece ci congeda con la corsa del ragazzo per i prati, così come ci lascia in sospeso con immagini e rumori del paesaggio invece di dirci che cosa sceglie il protagonista del 'Sapore della ciliegia'. Veramente, come scrive Cremonini a proposito di Buster Keaton, 'nel cinema è vero solo ciò che si vede, momento per momento': ciò che era vero, o dato per vero, anche solo un fotogramma indietro, non conta più. Il film non come riproduzione del reale, ma come 'altro reale' (come intitola Edoardo Bruno un suo bel libro del 1978 - Il Formichiere -, bella indicazione su cui lavorare). Il mio essere non coincide con il mio interpretare, e ancor meno con quello degli altri; e tuttavia cerco gli altri.

Alberto Corsani