Truman Show8. Conclusione: per una teoria come “opera aperta”

 

L'immagine cinematografica è vera solo in quanto capace di fare sentire la fatica del vero...

L'immagine digitale mostra tutti i suoi possibili riposizionamenti ma non del tutto la storia percettiva dello sguardo che l’ha prodotta.
La ricostruzione di quella potrebbe rappresentare l'impegno iniziale di un’e(ste)tica, ma sarebbe proprio ricalcare le orme di qualsiasi avanguardia: il ripensamento sulle forme della percezione che (ri)producono l'arte in corso d'opera.

Se il problema è quello della visione subita, per cui al riguardante non è concessa la percezione dell'immagine digitale nel suo farsi, allora quando questa produzione delle immagini avrà raggiunto la diffusione necessaria fino ad informare di sé lo sguardo dell'homo videns, si avrà la desiderata consapevolezza del processo produttivo. Se il problema è quello della storia intrinseca dell'immagine, della sua qualità documentaria e del suo rapporto col mondo, è evidente che l'immagine di sintesi non documenta altro che se stessa; in questo caso essa segue la linea evolutiva che porta alla "immagine di niente". Debray ricorda che immagine, in ebraico si dice "selem", e viene dal "salmu" accadico, che significa statua, effigie. Il tragitto dell'immagine dalla Logosfera alla Videosfera ha comportato uno slittamento importante della visuale dello sguardo: prima "attraverso" l'immagine, poi "solo" l'immagine.
Si può pensare ad uno stato delle cose ancora indecifrabile. E ad una teoria aperta, ancora da pensare.

Truman Show