3. Il gioco: le icone e l’entertainment

 

La tecnologia digitale trasforma ogni operazione in svago e diventa essa stessa un giocattolo, in cui anche le operazioni più noiose sono allietate da mille animazioni e icone allegre che spostano sul piano dell'intrattenimento qualsiasi occupazione umana.
(Giulietta Fara, Vita da pixel)

 

Il vizio apologetico mina alla base qualunque riflessione teorica sul mezzo tecnologico: ancor prima di delineare un ruolo specifico del mezzo nel linguaggio, ci si sofferma a cantare il potere (an)estetizzante del mezzo stesso.
Forse è il caso di tornare alle origini per scoprire che l'intento originario delle icone è principalmente comunicativo: racchiudere in un gesto unico comandi complessi, rendere immediato ciò che era lineare e talvolta tortuoso.

Da seguace di E. Bruno ribadisco il fascino dell'idea di «film-altro reale», intessuto di realtà vecchia (preesistente), con qualcosa di meno e qualcosa di più; cioè il risultato di una serie di atti arbitrari: che cosa riprendere e come; a che cosa rinunciare; quali dettagli devono essere manipolati ai fini della leggibilità dell'immagine (il classico palo della luce che spunta sempre dal cranio di uno dei gitanti fotografati in gruppo, a meno che non gli spunti anche un bel par di corni); quali si possono lasciare senza che siano considerati disturbo, rumore di fondo; e lo stesso vale, per esempio, per il sonoro in presa diretta: fino a che punto si accetta il disturbo? fino a che punto, addirittura lo si ritiene significante? In una parola: tutto sta nella gerarchia di pertinenze che il patto tra realizzazione e fruizione riesce a stabilire. Ed in questo Straub è maestro.