2.. - Il maestro Mombelli si fa largo tra le macchiette che si accalcano alla porta.
Sordi si svegliò, accese la luce del piccolo abat-jour e cercò il suo orologio sul tavolino da notte. L'orologio segnava le tre, ma era fermo. Sordi si rese conto che aveva perso la nozione del tempo. Pensò di suonare il campanello ma ci rinunciò perché proprio in quel momento sentì bussare alla porta.
Posso entrare, signor Sordi?, chiese una voce. Sordi disse avanti e entrò un uomo. Si soffermò sulla porta, ma Sordi, senza gli occhiali e nella penombra della camera, non lo riconobbe.
Lei chi è?, domandò Sordi.
Sono il maestro Mombelli di Vigevano, rispose l'uomo, ho saputo che era in ospedale e mi sono permesso di venirle a fare visita.
Mi racconti, disse Sordi.
Mi sono sempre chiesto come mai si calò nei panni di un maestro così lontano dalle sue macchiette stantie, dai suoi birignao dozzinali per dare volto a un povero maestro vessato dalla moglie e dal direttore; in fondo Mastronardi, da comunista (lo sapeva? o Petri, altro comunista, glielo nascose?), fa un ritratto atroce della ferocia provinciale, della meschinità arrivista e rapace, una critica così radicale non fu mai nelle corde dei suoi personaggi. Infatti mi sono sempre chiesto se Mastronardi avrebbe subito quella persecuzione se il ritratto del maestro che lei ha forgiato su di me fosse stato più credibile, meno inficiato dai volti di maschere da lei evocate.
Ma a me avevano detto che si perseguiva l'evasione e poi subire il volere di una moglie determinata e patire l'autorità del direttore erano irrinunciabili motivi di continuità. Non mi sono accorto di interpretare un apologo comunista.