Gli Spostati - Libri e cinema

Ethan Coen, I cancelli dell'Eden,
Einaudi, Torino 1999. Pp.234, £.24.000

"I cancelli dell'Eden" è il libro d'esordio di Ethan Coen: quattordici lavori brevi sono raccolti in un volume che mutua il titolo da uno di essi.

I punti di riferimento principali sono il noir e l'hard-boiled: su quattordici racconti, nove trattano di omicidio o quantomeno lo annoverano tra gli eventi narrati, altri due di intimidazioni ecc.; i protagonisti sono quelli classici della galleria della letteratura nera: detectives privati, dark ladies, gangsters, boxeurs falliti, assassini a contratto; parimenti standard sono le situazioni drammatiche: indagini, riscossioni, vendette, eredità. Ma, come accade nei film scritti con il fratello Joel (il regista del duo, mentre Ethan è cosceneggiatore e produttore), la crime fiction viene stemperata con l'ironia e il senso e il gusto dell'assurdo - giocando col surreale, non disdegnando il regno del bizzaro. Così Victor Strang, investigatore privato cui l'assalitore ha strappato di netto un orecchio prima di ricevere la pallottola definitiva, rimasto sordo per lo shock, decide di specializzarsi in clienti portatori di handicap fino a quando non gli torni l'udito all'unico orecchio rimasto. Il primo incarico gli viene da un cieco, il dialogo (cfr. oltre) si svolge attraverso una macchina da scrivere.

Ethan Coen padroneggia bene gli stili del genere di riferimento: l'incipit in medias res del racconto appena citato ("Quando ce l'hai nel sangue") è pura "scuola dei duri", puro Spillane ö anche se Hammer non avrebbe certo commesso l'errore di mollare un pugno al mento dell'uomo che gli tiene tra i denti un orecchio. La passione per il nero percorre l'intera raccolta, emerge in eco di Chandler Hammet Goodis, ed è esplicitamente dichiarata nel racconto d'apertura, "Il destino": l'ambiente della boxe, il ring, il pugile senza talento che tenta un'altra carriera, i gangsters che lo assoldano, debiti corna e lezioni di vita, il tutto orchestrato in "peggioramenti a cascata" che intrappolano il protagonista e rendono bene quella cappa opprimente che rappresenta il Destino nel noir sulla pagina e nel fotogramma. La scrittura è energica, diretta, piena e spoglia al contempo, rapida.

Coen vuole che la materia sbalzi dalla pagina e per ottenerlo insiste sulla "parola parlata", sul dialogo diretto. Ma a questo senso della battuta già forte nella letteratura hard-boiled, Coen sovrappone quello più recente di derivazione black-comedy fatto non di frasi taglienti ma di lunghi brani tendenti al monologo, carichi e debordanti, ritmati dalla ripetizione e dalla ripresa, alleggeriti con iniezioni di comicità. Questo lavoro sul "parlato" è il tratto che con più evidenza collega i racconti. In alcuni casi, Coen adotta griglie essenziali e limitanti, riduce gli strumenti e i possibili percorsi a sua disposizione al minimo. Il parodistico "Hector Berlioz, investigatore privato", è un vero e proprio "radiodramma"; non ci sono altre indicazioni se non quelle rumoristiche, musicali, e i dialoghi tra voci di personaggi. Molto dettagliato a livello audio (indica anche gli stacchi musicali); distingue, per lo stesso personaggio, tra "voce-da-protagonista" e "voce-narrante"; riporta indicazioni interpretative parentetiche; e, come una vera trasmissione radiofonica, si conclude con la voce dell'annunciatore: ""Sintonizzatevi su questa rete la prossima settimana per ÎBedrich Smetana, odontoiatra'." Colpo di gong. Fine." L'esperimento rasenta l'esercizio; riesce a scansarlo, oltre all'ironia, anche grazie alla "correttezza filologica" ö l'appartenenza della formula radiodramma al periodo della letteratura di riferimento. Simile nella cura degli "effetti-audio" e analogo nella proposizione della "parola come azione", ma senza riproporre il gioco esplicito della scrittura radiofonica, è "Vecchi compagni": storia di servizi segreti, coincidenze, omicidi, padri e figli.

Il telefono è un altro strumento tipico dell'armamentario noir che, essendo dipendente dalla parola, Coen recupera, isola, ingigantisce, utilizzandolo come struttura portante di un racconto, "Johnnie Ga-Botz". Il dialogo è sovrano: un rimbalzare di botta e risposta via-cavo senza soluzione, e un palleggiarsi telefonate in cui il racconto si risolve. L'azione attorno a cui tutto ruota è un omicidio-per-vendetta, su commissione. Ed è un'azione che "c'è ma non si vede": la si desume e ricostruisce dalle conversazioni che la precedono (progetto) e che immediatamente la seguono (resoconto). In linea c'è il mandante, c'è l'esecutore, c'è un avvocato, ci sono due mogli· e c'è la polizia: non si sente, non si vede, ma c'è. Le telefonate si intercettano, le voci si registrano, queste sono le trascrizioni.

Ancora, prove specifiche sul dialogo risultano altri due racconti: "Sei mai stato all'Electric Ladyland?" e "Come il vecchio marinaio": il primo è la torrenziale denuncia verbale di un produttore discografico a un poliziotto; il secondo è il racconto-al-bar di un omicidio passionale. In entrambi i casi, la formula pare la stessa: al dialogo Coen sottrae tutta la parte relativa ad uno dei due personaggi; resta dunque un monologo che suggerisce la presenza di un interlocutore i cui interventi sono minimi, e sono ripresi o fatti intuire dalle interruzioni e deviazioni del flusso del discorso. Si vengono così a creare dei personaggi logorroici, le cui parole, ignorando il destinatario, tendono al soliloquio. Anche qui Coen utilizza la comicità come valvola di alleggerimento; non sempre il meccanismo funziona, a tratti annoia: non si tratta di soluzioni leggere se, come accade, la materia e la logica del racconto impongono una certa lunghezza al brano. Mentre il primo tratta di una storia di amore e morte, il produttore discografico prende lo spunto dalla denuncia al poliziotto di un'intimidazione per illustrare in maniera più che colorata e vivida il suo ambiente di lavoro, una piscina piena di pescecani. Show-business e vetriolo.

Infine, da non dimenticare il citato giochetto del "dialogo" sordo-cieco con la macchina da scrivere (in "Quando ce l'hai nel sangue"), in cui il protagonista rispetto al suo interlocutore si trova nella condizione del lettore rispetto al mondo della storia: non può udire la parola "parlata" direttamente, ma solo leggerla quando sia stata ridotta sulla carta.

Oltre al genere e allo studio sistematico della parola-parlata, tre elementi tematici ricorrenti possono rappresentare chiavi d'accesso alla raccolta: la famiglia, l'infanzia, la solitudine.

Famiglia e infanzia sono strettamente correlati in "Madrepatria", il primo dei tre racconti non-crime.

Un bambino ebreo, i suoi ricordi d'infanzia - legati e slegati, come un rigurgito: il compagno di scuola scatenato che viene piegato dalla famiglia, la notte e il buio come minaccia, gli incubi, le lezioni di piano, adulti misteriosi, la Guerra dei sei giorni, e una famiglia fredda, come congelata da una paura che il bambino sente anche dentro di sè. Un lavoro intimistico, in odore (vero o simulato) di autobiografismo, che stacca nettamente dal taglio e dagli argomenti degli altri racconti. Se non per il fatto che ancora una volta si tratta di qualcuno che, ricordando, si racconta. "Zio Morty" è un altro racconto non-crime: è molto bello, forse il migliore della raccolta. La visita di un vecchio zio a casa del nipote e della fidanzata, in città: si ferma per un periodo da loro, per lavoro. Sostanzialmente non succede nulla, fuorché l'"esserci" dello zio in casa dei giovani amanti: una presenza indipendente e silenziosa, che Coen, con un'inedita vena minimal(-carveriana?), riesce a schizzare nel suo divenire invadente, o meglio inquietante. Qui non si parla di omicidio, ma la morte aleggia intorno a zio Morty più che attorno ai tanti killer descritti, e non c'è riga che non ci si aspetti che il vecchietto vada in cucina a prendere un coltellaccio quando tutti dormono. Un'altra famiglia in bilico: la coppia si scioglie.

Il terzo racconto non-crime racconta delle faticose vacanze in campeggio di un padre coi due figli. Anche qui, come in "Madrepatria", l'infanzia è tutt'altro che serena, è problematica: i due bambini hanno, in misura diversa, incubi e comportamenti ossessivi. Durante la vacanza il padre se ne rende conto, si sente esausto, inadeguato, solo, e rasenta l'odio per i figli: analogamente a "Zio Morty", anche qui nel quotidiano s'insinua un'ombra e si crea un effetto di suspense, di imminenza di tragedia.

Exploit di violenza cui la cronaca ci ha abituati che, al contrario, si verifica in altre famiglie fotografate da Coen: quella di "Ho ucciso Phil Shapiro", in cui un figlio uccide il padre e si confessa al lettore - ma rimandando sempre la rievocazione specifica con divagazioni, riandando a un'infanzia anche qui poco limpida, e ritornando a sogni che, come nei film dei Coen, sono anche visione-miraggio-premonizione. Famiglia-con-uxoricidio in "Neurodeliri": un assassino ci racconta del suo matrimonio in crisi, dell'omosessualità del figlio, del proprio blocco sessuale nei confronti della moglie, delle umiliazioni, dell'odio subito-e-covato negli anni; alla fine ci ha dato un taglio. In questi ultimi due racconti Coen è forse vicino a Jim Thompson: uomini senza scelta, schiacciati, a confronto col "killer dentro di loro".

Alla mancanza della famiglia e alla solitudine, Joe Gendreau supplisce con il lavoro ne "I cancelli dell'Eden": altro capitolo equilibrato, solido, divertente e malinconico. Il noir duro appare nell'incipit, nei modi spicci e brutali che Gendreau (del ÎDipartimento pesi e misure dello Stato della California') applica per fare rispettare i diritti del consumatore: "Il consumatore medio non sa che l'unica barriera tra lui e il caos sono io. Sono le unità di misura a renderci una società civile. Chi dice che nove etti fanno un chilo va tolto di mezzo." Un mondo di cifre e misure che si scioglie appena entra a contatto con il microcosmo geometrico, ordinato e pulito della signorina Ohara, una orientale che lo seduce in uno splendido giardino giapponese. Quando Gendreau si risveglia nell'ex-Eden scopre di essere stato incastrato: uno sporco gioco che gli fa perdere il lavoro.

Ora è completamente solo.

Come lo sono tutti i personaggi della raccolta: la solitudine che deriva dall'eliminazione fisica dell'altro, l'omicidio come gesto solitario, la solitudine dei bambini nella notte o di zio Morty, la solitudine insita nel concetto di monologo e soliloquio, la solitudine cronica del detective, la solitudine del criminale· e la solitudine di chi avrebbe voluto essere un boss ma è nato col corpo e la faccia sbagliati: accade in "Camorra minneapolitana" in cui si apre in chiave gangster-comedy, si passa attraverso il grottesco, e si chiude malinconicamente sulla solitudine del gangster fallito, nel suo negozio da barbiere.

La raccolta termina con il citato "Neurodeliri", l'episodio più impregnato di realtà e disperazione; il finale è affidato al vagare del patetico assassino nei boschi, con la testa della moglie in mano, tenuta per i capelli. "Oh Gesù mio, mi sento così solo" sono le parole che sigillano il libro.

luca aimeri.

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 I CANCELLI DELL'EDEN