Nella scena della morte di Willy, che si accascia al suolo proprio di fronte alla casa di Edgar Allan Poe, il cane immagina di trasformarsi in una mosca e così può seguire il suo padrone sull'autoambulanza, fino alla camera dell'ospedale, dove assiste, non visto, all'ipotetico colloquio tra Willy e l'insegnante. Mr Bones non è solo un cane, ma come l'immagine di copertina - tratta da una fotografia di Ann Giordano elaborata al computer e messa in pagina da Maria Perosino, art director dell'Ufficio grafico Einaudi - è "qualcosa" in bilico tra un movimento centrifugo e uno centripeto; è l'incarnazione dello sguardo dell'autore che ha deciso di guardare dal basso all'alto il mondo degli umani, senza per questo rinunciare a uno sguardo umano: umano troppo umano. La testa dimezzata del cane sul bordo della pagina bianca non solo dà la sensazione che ci stia guardando (quell'occhio ci fissa), provoca anche una dilatazione dello spazio: la copertina sembra molto più grande. É una legge della Gestalt: tutte le figure disposte al centro del quadro o del foglio fanno convergere la direzione dello sguardo verso quel centro. Mr Bones è molto più di un cane, o meglio: in quanto cane è un essere "minore", sperso nel mondo degli umani, alla loro completa mercé, e proprio per questo è un di-più: possiede uno sguardo estraniante che aiuta a rivelare il senso delle cose. [...] La maggior dote di scrittore di Auster consiste nella capacità di mobilitare, attraverso una scrittura continuamente mossa e screziata, una serie di attese nel lettore, che non rimandano solo alla trama, quanto piuttosto ai suoi significati reconditi, sempre evocati ma mai esibiti: il bisogno di amore che alberga in ogni essere umano, la necessaria follia dell'arte, la domanda di unità e armonia, il bisogno di illuminare di una luce "altra" ogni esistenza. Mr Bones è Paul Auster, ed è anche il suo lettore [...] Della fotografia di copertina colpisce l'orecchio del cane, che si legge come una punta, una direzione, una forza - direbbero i percettologi -, un arco, un corno che tende verso l'appuntito ed entra nello spazio bianco rendendolo ancora più bianco, cioè insieme vuoto e pieno. Mr Bones a tratti confonde il sogno con la veglia, si sposta nel tempo e nello spazio, e sembra accarezzare, come la scrittura di Auster, la condizione di "prigionieri delle circostanze" che è il vero stigma della condizione umana. Tutto si compie per adempiere a un destino superiore, per cui ai cani, come agli uomini, è concesso un tempo limitato, che solo l'abilità, oltre che la loro buona stella, può trasformare in qualcosa di significativo. (Marco Belpoliti, Orecchio di cane occhio di Auster, Alias, 10 luglio 1999, pag.19) -le OPZIONI LINGUISTICHE di Auster sono tutte moderne: il tempo del racconto è circolare, e funziona come nel CARLITO depalmiano, cui si riferisce pure per il fatto di sangue (più complessa, in CARLITO, la gestione del primo piano di Pacino: come magistralmente fa notare Gianni Canova, "il movimento rotatorio della macchina da presa di De Palma trasforma in un primo piano oggettivo quella che sembrava solamente una soggettiva del personaggio"); l'uso saltuario del piano-sequenza supporta adeguatamente l'impianto ideologico del film (M.Sorvino scarta il CD di Izzy, tempo reale dell'azione) -mi sembra particolarmente interessante il lavoro sull'INTRECCIO DI PREDESTINAZIONE (il codice narrativo che fornisce, nei primi minuti del film, le informazioni essenziali che riguardano l'intero svolgimento della vicenda): in particolare ritengo utile il confronto con un film recente che ha una struttura simile, I SOLITI SOSPETTI. LULU è costruito sulla prolessi, l'altro sull'analessi, ma quello che conta è il loro rapporto col materiale narrativo: QUESTE STORIE SI NARRANO DA SE'. L'Autore Implicito costruisce le storie a partire da elementi interni al racconto; notate poi come entrambi i registi cerchino di concretizzare l'operazione creativa partendo da un oggetto reale (la lavagna nell'ufficio di Chazz Palminteri, la bacheca con le foto davanti a Izzy che piscia); insomma, c'è un uomo che inventa una storia, per sopravvivere a se stesso, e compie questa operazione a partire da ciò che vede (le immagini si nutrono di immagini). -preferisco concentrarmi su questo elemento e tralasciare tutto ciò che di buono offre LULU ad una lettura di taglio psicanalitico: secondo me i film citati mettono in luce un'acquisita consapevolezza dei modi d'uso del testo, e mi spiego al volo. Bellour, in uno dei suoi scritti più lucidi, quello sul testo "introvabile" del film, dice che il rapporto tra il cinema e la critica è di sostanziale identità, perchè entrambi costruiscono un testo. Io dico che LULU e I SOLITI SOSPETTI sono testi che includono l'analisi, che si autoanalizzano nello svolgimento; non analizzano il linguaggio in generale, ma il proprio testo, che è unico e singolare. -ultima riflessione: la differenza tra LULU e I SOLITI SOSPETTI (ovviamente mi limito all'ambito d'indagine definito) sta nella potenza sprigionata dai due narratori. Auster-Izzy è un'interprete del pensiero debole, a-sistematico, dichiaratamente postmoderno, e la sua narrazione propende per la creazione di piccoli segmenti poco consistenti. Synger-Kaiser Soze è un'interprete del pensiero forte o di ciò che ne rimane, crea universi plausibili che hanno l'evidenza della realtà (mentre in LULU, non lo si può negare, aleggia sempre il sospetto del sogno, manca sempre qualcosa alla solidità dell'immagine, alla sua Verità, e questa fragilità è proprio l'effetto del concatenamento di quei segmenti); I SOLITI SOSPETTI intrattiene un rapporto di dominazione con lo Spettatore Implicito, mentre in LULU c'è il costante riferimento ad una sorta di "inconscio condiviso" da autore-personaggio-spettatore, che è sede del dubbio. Dubbio che riguarda la verità delle immagini, e la possibilità per un autore occidentale di concepire ancora narrazioni forti. -conclusione: LULU è un film della transizione, cioè un film che possiamo tenerci stretto e che produce un'etica dell'immagine con cui attraversare tranquilli questa fase del linguaggio; I SOLITI SOSPETTI è il cinema che guarda indietro alla potenza del racconto, e pur constatandone l'impossibilità, sostanzia le aspettative di una rinascita. Luca Bandirali