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reportage da festival ed eventi, interviste e incontri
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Taormina Film Festival
Taormina, 29 giugno - 7 luglio 2001
Le conferenze stampa

Conferenza stampa presentazione libro su Luigi Comecini - "Luigi Comencini - Un tributo del Taorminafilmfest" a cura di Lorenza Micarelli e Francesca Nigro, edizioni Di Nicolò, Messina.
Con Sauro Borelli, Cristina, Eleonora, Francesca Comencini, Alberto Sordi, Felice Laudadio, in sala Francesco Maselli

Laudadio: il profilo critico di Comencini (a Sauro Borelli)
Sauro Borelli: Ci sono dei critici francesi che dicevano che un movimento di macchina è un atto morale, questo rigore enfatico, queste fumisterie non andavano a genio a Comencini. Una seconda caratteristica di Comencini autore sottovalutato è la alterità rispetto agli ambienti in cui ha lavorato. A Roma era conosciuto per la sua milanesità, a Milano era noto per la sua diversità. Questo carattere così rigido, rigoroso, si trasmette nei suoi film, come in Una vita difficile, Lo scopone scientificio, La ragazza di Bube. C'è questa attitudine di Comencini di avere un approccio col mondo dell'infanzia assolutamente vero. E questo ha generato una sorta di equivoco di Comencini regista per bambini; era invece il regista della naturalità, era incredibile come riuscisse a mettersi sulla lunghezza d'onda di qualsiasi bambino, di quelli piè nervosi come i piè tranquilli, una sorta di atteggiamento sacro come nei confronti degli animali. Questa è la grande sapienza di Comencini e il senso di aver svelato il mondo dell'infanzia. Per finire vorrei ricordare due aneddoti. Negli anni sessanta ero un giovanissimo giornalista ho assistito alla selezione del casting delle ragazze per il film La ragazza di Bube, scrissi proprio del casting e della grande gentilezza con cui Comencini faceva la selezione. Mi arrivò una lettera di Comencini che mi ringraziava. Poi quando ero critico a tutti gli effetti, feci una recensione de L'ingorgo, un po' drastica, urtava la mia sensibilità, anche allora arrivò una lettera di Comencini un po' preoccupata, io fui molto dispiaciuto di questa cosa.

Laudadio: Voi sorelle avete sempre respirato cinema, in che misura i film di Luigi hanno influenzato il vostro cinema?
Cristina Comencini: Credo che influenzi moltissimo attraverso il rapporto padre figlio, era un mondo che vedevamo dall'interno piè con gli sceneggiatori e con alcuni attori, e non proprio un rapporto col set dove non andavo. Poi io sono arrivata al cinema molto dopo essermi laureata in economia. Per lui era un problema la scrittura del film, si vedeva tanta energia che scaturiva dagli incontri, uno scambio vitalissimo di idee, pensieri per realizzare qualche cosa di collettivo. Il cinema di mio padre mi ha insegnato anche come analizzare a fondo i personaggi, il senso della persona grande soltanto per ciò che è.

Laudadio: vorrei chiedere a Francesca la stessa cosa
Francesca Comencini: Vorrei però difendere quanto aveva detto Borelli, sui critici francesi che hanno senz'altro rivalutato il cinema di mio padre. E poi sottolineare il senso morale del fare cinema, vale a dire rivolgersi al pubblico con assoluta serietà, non considerandolo come una sorta di gregge, di numero. Insomma una grande capacità di narrare le storie attraverso il cinema e credo che i film di mio padre abbiano saputo formare un pubblico ed anche dei cittadini, vicino a una concezione del cinema come cultura. Mio padre per esempio non ha fatto mai distinzione tra il cinema e la televisione, e questo era importante perché quei film di rigore erano seguiti da milioni di spettatori. Lui non ha fatto mai distinzioni tra cultura popolare e non popolare. Mancano molto in Italia le persone che sappiano comunicare con grandi capacità poetiche, che comunicano a tutti. Ciò che mi colpisce del suo cinema è il grande rigore morale.

Laudadio: Di fronte a una crescente barbarie culturale, un'intera generazione di registi autori sceneggiatori, ha raccontato la storia del paese e adesso la nuova generazione deve battersi contro l'inaccettabilità dei palinsesti televisivi di oggi. é un problema di uomini, di formazione culturale ed ecco che torniamo a Comencini a proposito di formazione culturale.
Francesca Comencini: Lui diceva che quando trovava i suoi libri strappati era contento perché vedeva che noi li leggevamo.
Borelli: ancora sulla critica francese non dico che è innegabile la rivalutazione tuttavia ci sono delle "sacche", per esempio Liberation, Le Figaro e Le Monde scrivevano delle sciocchezze assolute. Ricordo invece a proposito di Casanova la recensione entusiasta di Ugo Casiraghi

Laudadio: Come ha reagito Luigi quando ha saputo che organizzavamo questo omaggioè
Cristina Comencini: No, non lo sa, in questo momento è molto difficile spiegarglielo per le sue condizioni

Laudadio: Alberto·
Alberto Sordi : Il mio rapporto con Comencini si basava sempre sulla stima reciproca: in Proibito rubare ricordo che mi scartò per Adolfo Celi, fu questo il primo rapporto con lui. Poi il secondo incontro con Tutti a casa. Non ho mai parlato con lui molto, per esempio non cenava fuori casa. Non l'ho mai frequentato. Ricordo che portava le figlie in proiezione ed ascoltava il loro parere benché fossero molto piccole. Mi piaceva la sua concretezza. Arrivava sempre nero, pensieroso, ed io l'ho prendevo un po' in giro chiedendo che gli fosse successo. Avevamo un panorama di avvenimenti tra la farsa ed il tragico come l'otto settembre e l'episodio dell'armistizio è stato una grande tragedia e nel film Tutti a casa abbiamo sottolineato questo aspetto. Il mio rapporto è sempre stato pertinente al lavoro che facevamo, al personaggio che interpretavo. C'è un altro aneddoto che volevo raccontare a proposito di Il commissario anche questo un film sottovalutato. Mentre giravamo a un passaggio al livello arriva un ragazzo che diceva che la moglie aveva avuto un incidente, lui reagì in maniera repentina, stava svenendo, lo accompagnai all'ospedale, qui erano tutte donne tutte figlie tutte sorelle della moglie ed io urlavo, cercando di farmi sentire, "qui c'è il marito". Non era successo niente, io gli chiesi "ma tutte queste donneè" "sono tutte della mia famiglia", rispose.
Francesco Maselli: Con Comencini facevano della bottega di Franco Cristaldi, c'erano diverse fasi lui faceva La ragazza di Bube io Gli indifferenti. La difficoltà tra di noi consisteva nel fatto che io non gli perdonavo Pane amore e fantasia. Ebbene sbagliavo perché si trattava di grandi film democratici come La domenica di agosto di Emmer. La prima cosa che lui mi raccontò era una questione economica, facemmo una riunione da Cristaldi per come aiutarlo a farlo uscire da quella crisi e poi l'emozione nel vedere la reazione alla sua presenza, alla frontiera Italia-Grecia a Delfi: andammo insieme, nel mondo burocratico degli agenti di frontiera ci fu un improvviso silenzio, lo frecero entrare e poi arrivarono i giornalisti e dei francesi; ebbi la sensazione emozionante del riconoscimento che gli stavano tributando.


Incontro su Massimo Troisi con Felice Laudadio, Nino Saltalamacchia, Giulio Baffi, Ettore Scola e presentazione del volume
"La favola del postino", edizioni del Centro Studi, Lipari, Centro Studi e Ricerche di Storia e Problemi Eoliani

Laudadio: Il libro racconta un po' la vicenda umana e artistica di Massimo Troisi. Scola ha avuto la possibilità di dirigere Massimo. Il suo ultimo film, Il postino, rivela davvero la fatica del set. Era anche un film sul quale la produzione non spingeva come tempi. Troisi è morto come Molière in scena. Ricordo che il film fu girato a Salina e distribuito dalla Miramax e anche per questo ottenne l'Oscar, anche se lui come attore non fu premiato. Un film quasi di Massimo Troisi·
Nino Saltalamacchia(presidenteCentro Studi e Ricerche di Storia e Problemi Eoliani): Ringrazio tutti per la realizzazione di questo libro
Laudadio: vorrei chiederti innanzi tutto i tuoi rapporti con Massimo Troisi (a Giulio Baffi)
Giulio Baffi: Sono innanzitutto soddisfatto del premio che Scola ha ricevuto per Concorrenza sleale al festival di Mosca, facendo io parte della commissione ministeriale che sceglie i film di interesse culturale, commissione di cui si parla spesso male. E il progetto di Scola è senz'altro un progetto che si distingue nettamente. Insomma per noi il film di Scola è quasi una bandiera.
Ritorno alla favola del Postino. Ho lavorato con piacere alla realizzazione del libro. Ho avuto moltissime idee sul percorso da seguire. Il mio rapporto con Troisi è nato a teatro. Ero critico di teatro, mi imbattei nel gruppo "0RH positivo" erano quattro giovani e lo spettacolo si chiamava "Crocifissioni d'oggi". Da qui Troisi iniziò a parlare con me, ho visto crescere alcuni di loro nel mondo dello spettacolo, altri allontanarsi dallo spettacolo. Nel cinema Massimo ci ha regalato cose bellissime. I suoi primi film sono il segno di quanto un attore può creare, con una grande originalità, mi chiedo sempre quanta novità avrebbe dato Troisi all'attore di oggi. Ho lavorato cercando di raccogliere la memoria, ma ne veniva fuori un libro interminabile, così ho deciso di fermarmi alla favola del postino. Ho cercato di raccogliere una parte cospicua sulla produzione del postino, come la rassegna stampa che contiene sia i commenti negativi sia quelli positivi. Anche le critiche credo ci diano la forza per continuare a parlarne in futuro. Son partito dalle immagini che mi sembravano bellissime. Per farle parlare ho scelto i ricordi dei protagonisti che attingessero alla fatica di realizzazione del film. Qui abbiamo così tante testimonianze da Radford alla Bonaiuto. Naturalmente non potevo tralasciare le riflessioni sulla scrittura.
Ettore Scola: Temo di avere dimezzato Troisi, lui era un regista avviato, si era fermato alla trilogia però l'idea di parlare di un cinema che sparisce in Splendor, e non avevo fatto i conti con la sua naturale pigrizia, una vera e propria saggezza filosofica del riposo, del silenzio, stava preparando il suo quarto film, e poi in Che ora èè e Il viaggio di Capitan Fracassa, così il suo film non partiva mai ritardava il lavoro, se non c'ero io lui avrebbe fatto sicuramente altri film, magari contro i pregiudizi nei confronti del sud. Il sud, lui diceva, paga le sue colpe, il sud non esiste, esistono uomini piè o meno giusti. Sono quindi dispiaciuto per aver rallentato il suo percorso di regia. La sua regia, ingenua, da teatrino, serviva al discorso che lui voleva fare. Ho un certo disagio a parlare di chi non c'è piè. Si accumulano tutti questi volumi su attori e registi scomparsi. Anche questo è bellissimo, pesa alcuni chili, Non è una letteratura che però mi affascina. Nessuno di loro ha avuto biografie leggendarie come i grandi romanzieri tipo Stevenson o Conrad. Massimo aveva una sua grandezza direi algebrica col segno meno sotto, aveva questa voglia di sottrazione, stava lì due ore a studiare le battute poi bofonchiava delle cose ed incredibilmente aveva detto tutto quello che era scritto· Lui tendeva all'essenziale, per la sua natura di estrema pigrizia, così faceva delle belle soste, dei bei riposini. Tutto faceva parte della sua filosofia, era quasi tombale, l'opposto di certa esuberanza tipica napoletana. Aneddoti non ne ho da raccontare, sono colpito da quelli che ne raccontano, così perfetti con inizio fine e risate, ricordi semmai, senza memoria l'uomo non vive, la memoria che può raccontare, verificare e tuttavia nel racconto qualcosa si perde. Credo che i ricordi debbano nutrire la persona che li ha, sono importanti solo per la persona che li ha vissuti. I miei ricordi forse non avranno importanza per voi. Ho una baracca sul mare vicino Fregene sul mare, per scrivere; stavo scrivendo Capitan Fracassa, Troisi mi chiamò chiedendomi di venire. Venne e stette lì una settimana. Credo che fu per lui una settimana felicissima perché non aveva nulla da fare. Non leggeva né guardava la televisione. Io gli passavo qualche foglio che stavo scrivendo.


Conferenza con Ettora Scola e Giancarlo Giannini

Quali sono i film che hanno piè stimolato la sua creatività?
Scola: Come il cibo ogni giorno abbiamo necessità di mangiare, nutrimento che per il cinema può essere per me il ritorno a certi film del Neorealismo; sono legato alla memoria di De Sica o meglio a quello che De Sica può portare alla memoria, ai grandi come Duvivier e il cinema francese del Fronte nazionale, Orson Welles.

Un commento sul premio che ha ricevuto al festival di Mosca
Scola: un premio non si commenta, a volte si pensa che il premio era meglio darlo ad altri. Mi è capitato con le cerimonie degli Oscar con La famiglia, ero contento di aver perso per Fanny e Alexander; invece quando vinse Madame Rosa (La vie devant soi) di Moshe Mizrahi ed io partecipavo con Una giornata particolare, quello secondo me era solo un film furbo. Per Ballando ballando non fui deluso, il premio andò a Il Pranzo di Babette. Non so che film c'erano a Mosca e quindi non vi so dire se ho meritato oppure no.

"Concorrenza sleale" è un film sentimentale, i sentimenti servono a parlare della Storia?
Scola: I sentimenti servono sempre, anche la propria storia individuale ognuno la legge attraverso i sentimenti. Per esempio alcune figure storiche piacciono piè di altre. Il sentimento privato interviene sui fatti storici. In Concorrenza sleale ci stimola il confronto tra il regime del Ventennio ed oggi. é passatoè é passata anche la mentalità fascistaè Purtroppo credo che la mentalità fascista faccia parte dell'uomo, non è stata inventata da Mussolini, ed anche oggi ci sono degli elementi che perdurano, non si mandano piè persone al confino o le donne sono trattate diversamente, ma una certa predominanza ed intolleranza del maschio e poi il razzismo sono ancora molto forti. Hitler si figura sotto altre spoglie. Anche nei confronti di chi ci lava i vetri nelle strade scatta la nostra intolleranza.

Lei pensa che un regista debba essere fedele ai propri fantasmi o che debba cambiare
Scola: Credo che sbaglierebbe in tutti i due sensi, credo che faccia comodo seguire il proprio stile e ciò gli garantisce forse meno fatica.

In "Concorrenza sleale" una delle scene piè interessanti è quella della risata tra Castellitto e Abatantuono. Ci sono differenze tra la scrittura della scena e la sua realizzazione?
Scola: é una scena che ha dentro un senso che è partecipato dal pubblico. Di fronte alla inspiegabilità di quello che sta accadendo la risata rappresenta una piccola vendetta contro il potere. Come nel '68 venne il detto "una risata vi seppellirà" che diventa un meccanismo di giusta emozione. é difficile dire la differenza tra come la scena è stata scritta e poi realizzata.

Il personaggio di Abatantuono è un personaggio di adesso?
Scola: Spero che sia un personaggio di adesso, ma soprattutto indichi quel sentimento piè grave dell'indifferenza, sentimento che riduce, minimizza. Quindi il personaggio che parte da un sentimento ottuso, e però capirà, mentre il fratello che ha studiato rimane ottuso e non farà mai nulla. Il personaggio arriva a dire a un commissario: "ma perché, chi rompe una vetrina non è un mascalzoneè" Che è un piccolo atto eroico contro una autorità forte che era quella del commissario.

Qual è il film che lei reputa come il suo migliore?
Scola: No, è una domanda che non mi pongo , non faccio bilanci, ci sono anche film fatti che non sono mai usciti, veramente è un compito che non spetta a me ma ai critici o ai giornalisti.

Un raffronto tra lei ed un giovane che inizia oggi
Scola: Non credo di avere avuto piè difficoltà io allora ragazzino a diciassette anni, non c'era molta gente che voleva fare cinema. Dopo la scuola correvo da Fellini, Age, Scarpelli, Metz e Marchesi, volevo fare piè che altro il disegnatore. Acchiapparono me come schiavetto ed io portavo qualche gag, e poi fui cineasta per sempre, cominciai a firmare, tante difficoltà non ho avute. Oggi è piè difficile, si parla piè delle sirene del mercato, non si parlava allora di diritti, di globalizzazione o di concorrenza. Nessuno voleva fare il cinema. Eravamo Bernardino Zapponi, Lina Wertmuller ed io. Oggi tutti vogliono fare il cinema. Certo allora non esistevano le televisioni, i grossi accentramenti di potere.
Non si parlava né di sceneggiatori, Mattoli non era che citato con disprezzo nelle gazzette, oggi anche il debuttante viene letteralmente coperto da un flusso mediatico. A parte questo le difficoltà in fondo sono sempre le stesse.

C'è un regista tra quelli giovani che lei segue?
Scola: Mi pare che ce ne siano tanti, Incerti, Tavarelli, sono tanti i giovani che vanno seguiti perché si vede che volevano dire qualcosa coi loro film e non vincere i nastri d'argento. Direi che fare nomi non serve. Così come quando si parlava della crisi, il buio nero del cinema italiano, anche allora c'era qualcuno.

Quanto un clima politico influenza il cinema?
Scola: Avrei fatto a meno di questo aiuto alla mia ispirazione e del resto c'è la battuta di Eduardo De Filippo per Rossellini, lui diceva che non c'èra bisogno di perdere un'altra guerra per fare un buon film. Forse non è tanto importante come il cinema viva la politica, non vedo molti collegamenti, spero che i giovani registi non si facciano condizionare, perché quel mercato di cui si parlava è determinante, chi non lo rispetta spesso è fuori, come in America Michael Cimino che è entrato in una sorta di lista di proscrizione. Consiglierei di non seguire la via più facile, non dare rilievo alle facce storte e poi il mercato se li considererà non dimentichino gli incassi piccolissimi di "Accattone" e di tanti altri film poi considerati universalmente capolavori.

Giancarlo Giannini: Non ho niente da aggiungere, mi hai sempre letto nel pensiero (si rivolge a Ettore Scola), forse poco fa non hai risposto, credo che il cinema sia un'opera di fantasia, è faticoso farlo come attore e come regista. Non credo che ci siano influenze politiche, io sono stato una specie di anarchico o all'opposizione che credo sia in qualche modo sempre propositiva, partendo sempre da un mio istinto morale giusto quindi non vedo nessun condizionamento sul futuro.

Un commento su Hannibal, crede sia un film sul cervello o sulla pancia, cosa ha aggiunto di suo o ha detto "obbedisco" a Scott.
Giannini: Un protagonista, se vedi i suoi momenti in un film, la sua faccia, si tratta sempre di pochi minuti. Non sta a me giudicare l'operazione commerciale che era il sequel di Il silenzio degli innocenti. Non credo che si possa parlare di attori per un regista, ci sono attori per tutti. Ho cercato sempre di diversificare i miei impegni non essendo un attore tipo. Io ho sempre cercato di inventare tante facce. Il personaggio di Hannibal ho cercato di farlo nel modo piè divertente possibile. Lo stesso Scott mi diceva che avevo dato un lato piè simpatico ad un personaggio chiaramente antipatico. Pazzi decide di essere un "demonio" solo per il denaro, in qualche modo è piè diabolico di Hannibal che in fondo è malato.

Lei ha iniziato come attore scespiriano, perché non ha fatto piè Shakespeare magari al cinema
Giannini: Ho smesso di fare teatro, dopo averlo fatto monacalmente per tredici anni. Mi piacerebbe portare Shakespeare al cinema, volevo tentare tanti anni fa di formare una compagnia di teatranti, un laboratorio in cui le parti si scambiassero tra gli attori. Certo non mi propongono di fare Shakespeare al cinema. Amleto lo puoi fare ogni sera in modo diverso. Farò un film come regista. é una storia molto complicata che si svolge nel 1937 in Italia ed in Africa di un ragazzino di dieci anni che diventa un grande fotografo, e l'incontro con un Ras, un capo della resistenza che è arrestato in Etiopia dal regime italiano di Mussolini imprigionato e portato nel Veneto; il produttore è Grimaldi.

Cosa pensa dell'ironia, forse manca ai giovani comici di oggi?
Giannini: L'ironia è fondamentale, per me è imprescindibile, non credo che riuscirei ad affrontare la vita, non mi prendo mai sul serio non ho il fuoco sacro, mi prendo sempre in giro, non voglio soffrire voglio divertirmi, per questo i miei personaggi sono sempre ironici. Non credo che un comico debba essere per forza una persona colta. Non amo gli attori che mi dicono "io amo veramente quello che faccio", l'importante è che l'attore sia il segno per portare una storia a tutti quanti, al pubblico. Dipende dallo stile se tu decidi di fare Mimì metallurgico è chiaro che ti diverti ad esagerare, l'attore è sempre un ponte, colui che fa in modo che il pubblico reciti attraverso lui.


Conferenza stampa su Franco Indovina con Lorenza Indovina, Giancarlo Dettori, Angelo Guglielmi, Roberto Andò, Gregorio Napoli, Ennio Morricone

Lorenza Indovina: Sono emozionata oggi ed ancora di piè ieri nel vedere Tre nel Mille, ringrazio Felice Laudadio che ha permesso il restauro, e ringrazio le persone che sono qui che possono raccontarmi mio padre che purtroppo non conoscevo, poiché avevo soltanto sei anni quando è morto

Angelo Guglielmi: Sono il vero produttore di questo film, era il '66 ed ero in RAI, la quale non si era ancora impegnata nella produzione di fiction tv. Decidemmo di fare una miniserie in sei puntate intitolata "Storie dell'anno Mille". Ero molto amico di Luigi Malerba e Tonino Guerra. Fu scritta la storia in sei puntate ciascuna di un'ora, con una comicità surreale. Fui costretto a superare qualche difficoltà, ero direttore delle trasmissioni culturali speciali. Poi però tutto si bloccò. Pensammo a Indovina, anzi fu proprio Tonino Guerra a pensare a Franco Indovina che allora era giovanissimo ed aveva già fatto l'assistente di Antonioni. Fare televisione era considerato qualcosa di minore, lui ebbe sempre l'obiettivo di fare un film, peraltro si pensò anche a Gassman come protagonista. Il film è il resumé di queste sei ore. Magari conserverà l'aspetto di questo collage di sei puntate. Il film costava 240 milioni che divennero 450 e fu l'inizio della disperazione e della decadenza del produttore Patara. Dettori che è qui può confermare· Organizzammo un cast mitico, Dettori per esempio odiava la televisione, negli attori rimase un atteggiamento di sufficienza nei confronti delle riprese televisive. Non impararono, per esempio, a memoria le battute. Fu una sorta di diretta e i tre attori si divertivano tra di loro trascurando il copione, si scambiavano parolacce, insulti. La costruzione dell'audio fu fatta con il doppiaggio ed allora tentammo di convincere Carmelo Bene a doppiarsi, cosa che per lui naturalmente era del tutto inconcepibile. é stata dunque un'impresa senz'altro in anticipo coi tempi, poi io nel '68 andai via· le puntate passarono su Rai due. Quando Tre nel Mille arrivò nelle sale non ebbe il successo che meritava.
Ricordo Indovina molto felice per la sua paternità portare la figlia sulle spalle a piazza del Popolo.

Giancarlo Dettori: L'unico rivoluzionario era Carmelo Bene il quale ogni mattina aveva già bevuto una decina di grappe, io invece , mi chiamavano il principe e giravo sempre col fucile, Franco che· non aveva un pelo, era considerato comunista, alcune cose non posso raccontarle perché· troppo piccanti. Vi racconto che una mattina Franco viene vestito di blu su un set terrificante, siamo anche svenuti nella scena della crocifissione, dicendo di voler andare da Claudio Gora a chiedergli se poteva fidanzarsi con sua moglie; per dire che Franco era abbastanza stravagante, era pieno di interessi, colto, raffinatissimo. Rivedendo il film ho avuto la sensazione del segno della maturità intellettuale di un uomo e i percorsi anche a vuoto che intraprende e del resto Bergman si era innamorato di questo film, sul testo. Il film doveva essere girato in inglese, ma Bene non sapeva la lingua. Durante la scena del granoturco si spezzò un dente. Credo che Franco avesse il desiderio di vedere non tre attori ma tre disegni, per questo ci lasciò andare, tre che si odiavano: il rivoluzionario il marxista ed io, un falso nobile; Franco voleva che venissero fuori i tic della loro fisicità. Riconosco che oggi rivedendo il film ho compreso appieno la creatività di Franco che allora mi sembrava solo strano e un po' incomprensibile. Franco sapeva anche controllare molto bene gli attori perché aveva lui stesso una matrice teatrale.

Ennio Morricone: Mi sono trovato benissimo con lui per la grande affabilità, una persona civile, ho lavorato in Tre nel Mille, Menage all'italiana e Giochi particolari. Egisto Macchi fece la colonna sonora per la televisione, mentre io mi occupai della versione cinematografica. Ma le due colonne furono mescolate. Egisto faceva delle musiche di avanguardia poi piè tonali. Ho sentito il canto di un grillo trattati elettricamente per tre minuti. é molto bello da parte di Indovina accettare questa linea. Io fui coraggioso, ma ero piè portato a seguire le influenze della musica medievale. Ieri sera, vedendo il film, ho scoperto che le musiche della versione cinematografica erano mescolate, quelle mie e di Egisto.

Gregorio Napoli: vorrei ricordare lo squillo di telefono in redazione e l'allora direttore del giornale di Sicilia Mario Pasta che mi chiese se conoscevo Franco Indovina. Ma vorrei ricordare quel bellissimo articolo di Sciascia che definisce la morte improvvisa e in particolare su un aereo, e che comparì sul giornale proprio il giorno successivo alla disgrazia. Tre nel Mille è stato un film totalmente anticipatore della visione del Medioevo, un Mestiere delle armi trent'anni prima.

Roberto Andò: ho dei ricordi molto nitidi di Franco, avevo tredici anni e lui veniva qui. Anche lui ha avuto lunghi apprendistati con Visconti, Rosi e De Sica. Ricordo una serata in cui Antonioni parlava molto di Franco. Per lui proprio il sodalizio con Antonioni fu molto forte. Tre nel Mille mi sembra il suo film piè forte, per me Franco è stato una specie di talismano, che mi ha accompagnato nel mestiere che ho scelto. Un altro ricordo è l'ultimo progetto di Franco, io avevo fatto alcune cose di cinema, mi chiamò un noto avvocato di Palermo, Nino Sorge, e mi diede il Consiglio d'Egitto di Sciascia ed effettivamente Franco stava lavorando su questo progetto di uno scritto di Leonardo Sciascia.


Presentazione volume su Placido Rizzotto di Pasquale Scimeca a cura di Sebastiano Gesù ed Elena Russo edito da Salarchi Immagini
Incontro con: Elena Russo, Sebastiano Gesè, Pasquale Scimeca, Felice Laudadio, Salvatore Schembri, Vincenzo Albanese

Felice Laudadio: Come stai vivendo la lunga distribuzione del film?
Pasquale Scimeca: Il film mi ha dato tantissime soddisfazioni, a parte questi problemi di distribuzione ed anche l'Istituto Luce non ha tante colpe, fa sicuramente tutto il possibile, magari sarebbe stato lo stesso con un'altra distribuzione. Il film comunque sta avendo una vita distributiva lunga. Anche i risultati economici non sono da buttar via, rivelazioni del Cinetel a parte, dati che naturalmente riguardano piè le sale d'essai, tanto è vero che l'85% degli incassi non sono stati rilevati dal Cinetel. Adesso è arrivata la fase della distribuzione all'estero, dall'Australia al Giappone; è bello questo fatto della vita di un film che non si esaurisce subito.

Felice Laudadio: Qualche informazione sulla cura del volume
Elena Russo: Il primo obiettivo è quello di mantenere viva la memoria, soprattutto a causa della chiave di lettura spesso effimera ed il libro è basato sulla sceneggiatura del film, ma è fruibile come opera letteraria. Il materiale fotografico è quanto mai consistente, sono foto che testimoniano i luoghi della Sicilia, poi le testimonianze dirette contenute nelle interviste che gettano luce sulla storia. Ed infine la scheda tecnica del film e gli atti del processo ed in particolare gli interrogatori degli assassini di Placido Rizzotto. Naturalmente si comprende che dietro il film c'è una storia molto complessa. Infine il volume contiene una lunga bibliografia con le critiche.

Felice Laudadio: Ho letto la recensione entusiasta di Roberto Silvestri. Mi pare che la critica non abbia usato piè questi termini dai tempi di Salvatore Giuliano.

Sebastiano Gesè: Abbiamo fortemente voluto nel libro la sceneggiatura originale, per sottolineare innanzitutto la capacità visionaria della scrittura. Per me e per alcuni di noi che stanno portando avanti questo processo di revisione critica storica questo libro diventa uno dei tanti tasselli importanti che contribuiscono a costruire quel rapporto tra letterati e registi siciliani.

Felice Laudadio: vorrei salutare Vincenzo Albanese, inoltre vorrei sottolineare il coraggio di queste operazioni editoriali così limitate in Italia rispetto ad altri paesi

Salvatore Schembri: Il coraggio me l'hanno dato Scimeca e Gesè, ringrazio innanzitutto loro, insomma il coraggio stesso di Placido Rizzotto. Sono un piccolo editore e già sono molto emozionato di essere qui a Taormina.

Durante la lavorazione del film quale è stata la reazione da parte degli eredi dei personaggi principali del film?
PasqualeScimeca: Durante le lavorazioni non abbiamo avuto nessun tipo di questo problema. Un tentativo un po' piè strano è avvenuto dopo quando il film era già nelle sale, qualcosa che ci ha meravigliato. Il film stava andando benissimo e poi abbiamo scoperto che era stato levato dalle sale e dopo due giorni è tornato nelle sale. Le spiegazioni date, tipo il rispetto dei contratti, era senz'altro debole, comunque non so che tipo di chiave di lettura dare a questo episodio, vale a dire le presunte pressioni mafiose, sono soltanto piccoli segnali, telefonate· ho seguito il film qui in Sicilia, tra i ragazzini soprattutto, mi ha colpito il fatto che il film scatenasse una reazione nervosa, a Palermo durante il film la gente applaudiva. Questo è avvenuto ovunque e con tutti, a Vittoria durante un incontro con studenti di scuole medie superiori, è arrivata un ragazzo dicendo che era stato rubato un motorino, che era inutile denunciarlo, eppure subito dopo il film qualcuno ha affermato l'assurdità di non denunciare il furto; tutto questo rilevava una chiara reazione alla consueta rassegnazione al crimine.

L'influenza letteraria ed in particolare di Vittorini
Pasquale Scimeca: Mi lega soprattutto oltre al verismo le metafore e soprattutto l'idea di Vittorini sulla crisi della scrittura, lui ha precorso i tempi, ha capito che la parola aveva sempre meno forza per raccontare, e quella frase presa dalla fine di "Conversazione in Sicilia" ha un valore politico.

Come continuerà nella ricerca antropologica, quella dei cantastorie?
Pasquale Scimeca: C'è per me un'evoluzione dello stile anche perché il mio rapporto col cinema è inziato da autodidatta, cercando di comprendere meglio il linguaggio dei film, spero che non ci sia una rottura, invece la discontinuità c'è nel mio rapporto con la Sicilia. Il mio prossimo film parlerà d'altro, anche se la Sicilia in qualche modo c'entra, è un film teologico ambientato alla fine del Quattrocento sul problema dello scontro tra le varie religioni che portano alle stragi. Per esempio i rapporti tra Ebraismo e Cristianesimo, le religioni in cui la figura centrale è la stessa, Gesè Cristo, e poi diventa altro, si trasforma e questa trasformazione determina anche le stragi come la Shoah.

Continuerà la tematica dei vinti e poi se pensa (a Schembri) che il libro potrà essere tradotto in altre lingue
Salvatore Schembri: I problemi di distribuzioni sono legati purtroppo alle capacità dell'editore, io poi faccio l'editore da due anni, cercheremo di farcela.

Pasquale Scimeca: tornerei a parlare sulla distribuzione del film in particolare a Mar de Plata in Argentina, ed in Brasile, il problema è che le loro offerte sono talmente basse per un nostro film che non riescono a coprire i costi del materiale per la distribuzione della pellicola. Loro offrono per esempio diecimila dollari che a noi non bastano neanche per le piccole spese, per esempio per stampare soltanto le copie necessarie.

Sebastiano Gesù: parlando per esempio della distribuzione dei film siciliani tra emigrati ho spesso scoperto che l'ambientazione siciliana non parlava agli emigrati ma a tutti quanti.

Come è cambiata la tua vita dopo questo film, tu non eri attore professionista·
Vincenzo Albanese: Anche io sono come Pasquale, un autodidatta, mi sono ispirato ad un ospite dell'ospedale psichiatrico dove lavoro, no la mia vita non è cambiata.

To end all wars di David L. Cunningham
Titolo fortemente propositivo, addirittura utopico, che parla di guerra