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reportage da festival ed eventi, interviste e incontri
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XXXVII Mostra Internazionale del Nuovo Cinema
Pesaro, 22-30 giugno 2001

Iniziamo subito con il dire che, partendo da Torino in mattinata, sarete costretti a prendervi un EUROSTAR, il treno che ha un rapporto inversamente proporzionale tra costo e comodità: è infatti carissimo e scomodissimo. Ma, a parte questa parentesi, arrivati a Pesaro, troverete un piccolo festival a misura (più che) d’uomo, in cui il prezzo del biglietto è inesistente!!

Le visioni, per quel che ci riguarda, iniziano lunedì pomeriggio-25/06/01- con Jam Session, the official Bootleg of Kikujiro, specie di making of de L’estate di Kikujiro che già da un po’ circola su TELE+. Diretto da Shinozaki Makoto, già autore dell’interessantissimo Wasurerarenu-Hitobito presentato al festival di Torino l’anno scorso, è un documentario girato durante le riprese del film e ci mostra un altro frammento di quel grande autore guascone che è Kitano.

A seguire, i film della serata sono Ikinai di Shimizu Hiroshi e Timeless Melody di Okuhara Hiroshi. Il primo, peraltro già presentato al festival di Locarno di 3 anni fa, narra le vicende di un gruppo di aspiranti suicidi che si riuniscono per un viaggio in pulmann verso Okinawa. Il tutto perché nella zona suddetta "lo stato si prende le sue responsabilità", visto il crescente numero di incidenti, e quindi l’assicurazione pagherà sicuramente, ‘salvando’ i nostri dai loro personali problemi economici. Tutto dovrebbe andare liscio ma, perché c’è sempre un ma quando determinate situazioni vengono studiate a tavolino, il problema viene a crearsi quando al gruppo si aggiunge una ragazza, all’oscuro del loro piano, che ha ricevuto la tessera del club dallo zio impossibilitato a partecipare (è ricoverato in manicomio). La vitalità della giovane contagerà tutti i partecipanti, facendo sorgere non pochi dubbi sulla missione da compiere. Questa, a grandi linee, la trama del film. A questo punto, in sala, si è creata una pseudo-diatriba tra chi sosteneva che era troppo "kitanesco" (dato di fatto, visto che il regista fa parte del gruppo di Beat Takeshi dai tempi di Sonatine), che aveva un finale tirato per i capelli (ma d’altronde, Shimizu avrà avuto il suo bel da pensare per non farlo troppo scontato); e chi invece se l’è goduta un sacco, come il sottoscritto, per la serie di gag e situazioni alla Kitano, per quella neo sporca dozzina di ‘sfigati’ e perfino per la musica tipicamente peruviana, nettamente contrastante per questo mortale road movie nipponico. Diversamente, ho trovato veramente infinito (pur durando solo 95 minuti) il successivo film. Sarà magari il fatto che la seconda proiezione al teatro sperimentale di Pesaro inizia alle 23,30, sarà che storia e dialoghi in Timeless Melody sono ridotti all’(in)essenziale, sarà questa corrente neo nouvelle vague che fa del vuoto lo spazio fisico del proprio agire, sarà...ma a me non è assolutamente piaciuto.

Le proiezioni nipponiche di Martedì s’iniziano, per quel che ci riguarda, alle ore 17,00 con il film di Ichikawa Jun, Zawazawa Shimokitazawa. L’analisi del quartiere di Tokyo di Shimokitazawa, avviene attraverso una costruzione quasi favolistica che lega i tantissimi personaggi per mezzo di una specie di talismano portafortuna raffigurante uno spiritello dal naso lungo. I molti protagonisti rendono la storia corale quasi una "altmaniata", che si mescola (pur con le dovute distanze) al Friends del caffè Central Perk che qui è sostituito dal Karass, che esplode quasi liberatoriamente in un geyser che si apre nel centro del quartiere. Il film risulta decisamente piacevole e interessante poiché, come ha spiegato il regista Ichikawa presente in sala, è distribuito dal Cinema Shimokitazawa, un cinema d’essai che gli artisti hanno deciso di fondare attraverso una specie di autotassazione. Che sia questa la nuova frontiera "indie"?

Il film della serata è poi il più complesso visto finora. Tutto ciò risulta chiaro dalle chiacchiere sul film che si protraggono per ore anche dopo la proiezione. L’imputato è Distance, film di Kore’Eda Hirokazu, che ci mostra il punto di vista di vittime un po’ particolari. Sono infatti i parenti dei membri di una setta che ha avvelenato e intossicato migliaia di innocenti, all’interno di una strategia di annientamento apocalittico. I protagonisti della vicenda — un fioraio, un salaryman, una maestra e un giovane — si ritrovano annualmente per raggiungere la sede del Tempio della Verità in cui si sono suicidati i loro cari. L’atmosfera inquietante del lago viene elevata a potenza quando fa la sua comparsa anche un ex affiliato della setta ma, soprattutto, quando i nostri scoprono che i loro mezzi di locomozione sono scomparsi, lasciandoli così nel bel mezzo del nulla. La convivenza notturna nella casupola in cui vivevano i membri della setta sarà il mezzo per cercare di capire che cosa era la setta, cosa facevano i propri cari, che cosa possono aver ‘sbagliato’. Fin qui tutto bene, come direbbero ne L’odio di Kassowitz, ma Kore’Eda ha in serbo un asso nella manica: il fioraio non è chi dice di essere. Lo veniamo a sapere dal sopravvissuto, il quale sostiene che la presunta sorella del fioraio non aveva fratelli. E poi anche l’anziano signore a cui portava i fiori in ospedale, non era suo padre. Insomma, ci aspetteremmo tutti che il nostro smetta di zoppicare e salga su una jaguar guidata dall’avvocato Kobayashi ma, dato che non è Kaiser Sose, il film si chiude con l’incendio del piccolo pontile sul lago che ci lascia così turbati e conturbati.

Mercoledì 27 giugno. La mattinata si apre con la tavola rotonda organizzata dal festival. Intervengono, oltre ai registi Kore’Eda, Hara, Ichikawa, Sakamoto, Tajiri, anche i nostrani Roberta Novielli - che ha anche presentato la fondamentale Storia del cinema giapponese per quelli di Marsilio — e Dario Tomasi — curatore, insieme a Olaf Moller anch’egli presente, di Il cinema giapponese oggi, raccolta di saggi sullo stato della cinematografia nipponica edito da Lindau. Immancabile poi, l’onnipresente Spagnoletti, patron del festival.

Per quel che concerne invece le visioni vere e proprie, bisogna andare all’ultimo spettacolo della giornata con il film Blue, per la regia di Lee Song-Il. Devo fare il mea culpa poiché ho visto il film in evidente stato etilico ma il mediometraggio (dura infatti 54 minuti) mi è sembrato molto interessante, specie per l’argomento che tratta. La storia è infatti basata sulla comunità coreana in Giappone e su una specie di razzismo, o meglio, di non integrazione tra le due parti. Questo risulta chiaro in due momenti del film: 1-la cena a casa dei genitori della fidanzata per il neo fidanzato giapponese costretto a rimpinzarsi di riso suo malgrado, sotto il fuoco di battute caustiche della ‘suocera’;

2-la scritta PUTTANA sulla lavagna e riferita ad una ragazza che sembra se la intenda con i giapponesi

Il giorno dopo, Giovedì, è il mio ultimo giorno di permanenza pesarese. I film della giornata sono entrambi stupefacenti. Chinpira, di Mochizuki Rokuro, è una variante pink sul genere yakuza. Il film è infatti ‘inzeppato’ di scene di amplessi, sempre condotti dal figaccione protagonista Osamu (ribattezzato prontamente Osamu Bin Laden, il terrorista dell’amore), che commette il classico errore da gangster movie: si innamora di Keiko, la donna del capo. Il film scorre per le sue quasi 2 ore, e noi non ce ne accorgiamo neanche: il merito va sicuramente alla regia di Mochizuki ma anche alla sceneggiatura mutuata da un manga di Tachihara Ayumi. C’è infatti una costruzione dei personaggi molto fumettistica (ma non con un’accezione negativa): la bambina adulta e quasi voce della coscienza; la fidanzata che per pagare il suo debito anziché tagliarsi il mignolo, se lo recide con un morso; il vecchio capo yakuza impotente e caricatura del suo stesso potere che ricorda gli stolti ricchi di Boccaccio o della machiavelliana Mandragola; la coppia di poliziotti che sembra essere formata da Serpico e l’ispettore Clouseau; le gambe di Keiko, che sono così sode perchè il padre la costringeva a tenere la pipì (?!)....

Altro gran film, sebbene di genere molto diverso, è Bad Company, di Furuyama Tomoyuki. L’ambientazione scolastica, il gruppetto di amici ha di nuovo fatto gridare qualcuno: "AL KITANO", ma non mi sembra proprio questo il caso. Piuttosto, se veramente vogliamo forzare la mano, il referente che mi è venuto in mente è Qualcuno volò sul nido del cuculo. La rappresentazione che Furuyama ci dà della scuola è poco lontana dal manicomio inteso come struttura coercitiva, basata sulla spersonalizzazione e sulla tirannia che ci aveva proposto Forman. Il giovane Sadamoto, protagonista del film, è un po’ il Jack-McMurphy-Nicholson della situazione. Ė da lui che parte l’idea del furtarello nel negozio della vecchietta; è lui a dettare agli amici cosa scrivere nel diario (forma personale di scrittura per antonomasia) che viene letto quotidianamente dal severissimo insegnante; è sempre lui a dare l’idea di una artistica redenzione con il suo tema autocritico "io sono una cipolla". E poi, quando sembra che ce l’abbiano fatta, lanciando libertariamente i compiti giù dal ponte, ecco la tragedia: la vittima sacrificale, il più piccolo, il più emotivo, il più grassottello si butta dal ponte. La conclusione vera e propria ci viene data dalla voce fuori campo del protagonista in una sorta di come eravamo che, come sempre in questi casi, è (quasi) struggente. Un film che mi è piaciuto moltissimo e un nome, Furuyama, da tenere d’occhio.

In conclusione, un festival poco battuto ma interessante (anche se carente di grandi nomi come Kurosawa, Miike o Tsukamoto); con una piacevole posizione (nel senso: mi interessano i film?, bene. Non mi interessano? Bene lo stesso, vado al mare); con una vita notturna che, a quanto pare, si vivacizza da luglio in poi; con dei costi pressoché irrisori per le visioni; con una piazza attrezzata ‘alla Locarno’...un festival che speriamo ancora in crescita.

Fulvio Faggiani


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1999