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Virtual Sexuality
Anno: 1999
Regista: Nick Hurran;
Autore Recensione: adriano boano
Provenienza: UK;
Data inserimento nel database: 01-12-1999


Virtual Sexuality

VIRTUAL SEXUALITY


Regia e soggetto: Nick Hurran
Soggetto: dal romanzo di Chloe Rayban
Sceneggiatura: Nick Fisher
Fotografia: Brian Tufanu
Montaggio: John Richards
Costumi: Joanna Freedman
Scenografia: Chris Edwards
Suono: John Miggley
Musica: Rupert Gregson-Williams
Interpreti: Laura Fraser, Rupert Penry-Jones, Luke de Lacey, Kieran O'Brien, Marcelle Duprey, Natasha Bell
Produttore: Christopher Figg.
Produzione:The Bridge
Vendita all'estero:Columbia Tristar Films Italia, Via Cantalupo in Sabina 29, 00191 Roma, Italia, tel 39-06-330841
Provenienza: UK
Anno: 1999
Durata: 1 hr. 32 min.



È sbagliato dare indicazioni di successo al botteghino riguardo a prodotti tanto spudoratamente commerciali, perciò non vi consiglio di assistere alla proiezione neanche dei primi venti minuti di Virtual sexuality e poi abbandonare la sala; questo è comunque l’unico modo per mantenere il proprio equilibrio mentale integro, altrimenti si produce l’effetto azzeramento provocato da un film svuotato di ogni contenuto dall’esagerata attenzione al pubblico teen-ager e contemporaneamente arricchito proprio da quella propensione. Infatti la pregevolezza di quei primi minuti si trova negli interventi in postproduzione, che esaltano i codici a barre dei prodotti di fantasia inventati e consumati da Justine senza che siano mai esistiti se non nella loro pura forma di bramosa cupidigia, ironizzando (blandamente, ma forse è il modo migliore per additare comportamenti ineducati al consumo consapevole) sulle irrefrenabili pulsioni all’acquisto dei sogni. O alla loro fabbricazione sotto forma di bricolage... Uno dei pretesti moraleggianti è proprio questo intento autocratico di improvvisarsi demiurghi, stigmatizzato blandamente. Più scanzonato è l'approccio sessuale per una volta colto dal punto di vista femminile, ma purtroppo scritto da maschietti e quindi terminata la presentazione della giovane vergine (i famosi primi minuti affascinanti) si vira nei soliti luoghi comuni della frustrazione adolescenziale maschile.



Dunque se qualche amico vi costringe alla proiezione di questo film, l’avvertenza è di spegnere i sensi o uscire dal momento in cui avviene la trasformazione. In precedenza potrete assistere a immagini patinate, contaminate da una raffica di frasi sparate a velocità supersoniche per introdurre la figura della protagonista e soprattutto del suo mondo, completamente fittizio e reso ancora più falso da alcune ambientazioni ‘arcadiche’ (l’orizzonte della macchina che clona l’uomo dei sogni è laccatissimo neomanierismo dotato di colonne corinzie virtuali), alternate a quelle più tipicamente televisive, curate nel montaggio che rende la corsa del connazionale Trainspotting un reperto di archeologico immobilismo; in particolare le scritte, con segni grafici che riprendono scritte manuali, frecce: tutti tratti vergati repentinamente allo scopo di accelerare così ulteriormente il ritmo della messa in scena, non della vicenda. Tanto in quei primi minuti sono sintetizzati genialmente tutti i temi e i repertori, basti vedere l'elenco di ragazzi dei sogni che sono poi il fondamento della creazione: se non fosse per il registro desunto dalle sit-com ci sarebbe stato molto materiale per approfondire la coscienza femminile insinuata nel corpo statuario del biondo Jake, invece si punta maggiormente a dare risalto al nerd Chas, che finalmente perderà la sua verginità insieme a quella di Justine.

I momenti di contrapposizione tra i due mondi (nei primi anni '70 dagli oratorî alle autocoscienze si chiamavano incontri sui rapporti tra ragazzi e ragazze) furono con ben maggior tensione documentate da Kids, che si intreccia al lavoro di Hurran per i temi, ma non per le soluzioni tecniche e nemmeno per lo scavo nei caratteri; diventa poi addirittura risibile la sequenza del rapimento e dello scontro con i tecnici privi di scrupoli che avevano reso possibile la trasformazione.

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Rimane una buona intuizione di nuovi cinestesimi composti da scenografia improbabile (e per questo postmoderna, nel senso decorativo e più deleterio del termine) e segni grafici elettronici che si camuffano come vergati da mani umane, ribaltando le caratteristiche reali e sottese all'intento ipertecnologico dell'impresa, espresso benissimo durante la visita al salone di meraviglie digitali, nelle quali trova spazio anche un omaggio alla gara del'ultimo Star Wars, dimostrando l'abisso che si frappone tra la tecnica senza anima degli aerei ripresi dalle tigri volanti della seconda guerra mondiale e la fantasia su cui viaggiava Darth Vater da giovane. Peccato per l'immaginario sprecato in una riedizione maschile della Kelly le Brock evocata dai due studenti di Weird Science: stesso livello infimo di due film malamente rivolti ai teen agers.


visto al Torino Film Festival No rights reserved © 1999