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Viol@
Anno: 1998
Regista: Donatella Maiorca;
Autore Recensione: Adriano Boano
Provenienza: Italia;
Data inserimento nel database: 15-09-1998


Viol di Donatella Maiorca
Regia:Donatella Maiorca
Soggetto: Claudio Antonini
Sceneggiatura: Fabrizio Bettelli
Fotografia: Marcello Montarsi
Montaggio: Patrizio Marone
Suono: Glauco Puletti
Interpreti: Stefania Rocca, Rossana Mortara,
Elio Pistolesi, Aisha Cerami, Rolando Ravello

Distribuzione: Medusa
Formato: 35 mm.
Durata: 92 min.
Provenienza: Italia
Anno: 1998


Un film pornografico. Non per lo splendido corpo di Stefania Rocca e per l'uso che ne fa con il muratore, ma perché banalizza, involgarendole, le relazioni di quel corpo con i sogni, prima, e poi con il virtuale, dunque con la negazione della sua fisicità prorompente (¨90 60 90¨ è il primo messaggio in rete con Mittler). L'opera è il risultato di una bella intuizione di partenza, ma delude per la ridda di luoghi comuni sulle potenzialità della rete, che riesce a scatenare, per la prevedibilità delle scelte esposte senza ritegno al pubblico ludibrio. Ad esempio Le Affinità Elettive di Goethe sono scontate in questo contesto e oltremodo saccheggiate da miliardi di altri testi filmici con la stessa presunzione; ed è questa esposizione oscena a rendere il testo pornografico, non le beltà, più che godibili e anche troppo caste, della brava Rocca. La spettacolarizzazione della zona a metà tra virtuale e reale non riesce ad andare al di là del solito invasivo condizionamento di una chat line sui più intimi e reconditi piaceri (ma quanto comuni! come risulta dalle interviste statistiche raccolte da Marta Bruni).

In Hello Denise l'ossessiva presenza di un media (seppur freddo ...) era veicolo di conoscenza e frequentazione dell'altro da sé, qui il ricorso al sito hard di Internet è liberazione delle proprie libido represse e/o in formazione ...Ma l'educazione erotica, una volta svelato il retro-video, risulta un po' peccaminosa. Mai mettere a nudo le proprie "Affinità elettive" insegnava Goethe, pena la rimozione delle proprie mani furtive intente a regalar piacere.

Paola Tarino



L'idea, che poteva essere la chiave di volta per un capolavoro, stava nell'individuare gradualmente nella sfera sessuale il mezzo per scardinare la corazza della giovane ("Esiste qualcosa che ti faccia effetto?", chiede il datore di lavoro, che incarna una figura così stereotipata da risultare evanescente); come si è soliti dire, la materia trattata è tale che si poteva correre il rischio di scivolare nel ridicolo: qui si è soltanto caduti nella noia del prevedibile, compreso il ragazzino, che si rivela come l'interlocutore.

Il ribaltamento dei ruoli tra bambini perversi e adescatori adulti in rete poteva diventare materia di scherno verso certi Soloni, ignoranti del media di cui parlano: realizzato in quella risaputa cameretta (poster dei Beatles alle pareti!) pre-adolescenziale, non è nemmeno evocativo di una tana primordiale delle fantasie più scatenate e spontanee, perché la sequela di "perversioni" messe in scena sono da educande: una masturbazione eterodiretta (quindi non può autoerotico, a cui assistemmo già in 9 settimane e mezzo) in una vasca da bagno collocata temporaneamente (e inopinatamente) a fianco del computer, una serie di foto-tasselli di un corpo-puzzle, che (lo capisce persino il bambino) dovrebbero scatenare la libido su ogni singola parte (in modo feticista) e poi ricreare l'unità da godere a pieno, da penetrare (o far penetrare, non avendone i mezzi) per conseguire un'unione virtuale (e totale) di corpi, la trasgressione (udite, udite!) di un abbozzato rapporto anale rifiutato nel momento buono. Un po' pochino persino per Ken Starr. Un'ampollina di sperma fatta trovare in ascensore: suvvia, nulla a confronto con i vestiti custoditi da Lewinsky! Che dire poi della imbarazzante sequenza in cui l'attrice di Nirvana si spoglia nel solito capannone post-industriale molto umido, fingendo di umiliarsi di fronte ad una presenza evocata dalla ovvia ripresa circolare e vorticosa, avvertita solo da lei (senza neanche un pizzico della tensione di All'improvviso uno sconosciuto), o peggio ancora dell'adescamento di repertorio nel camerino di prova dei vestiti di un negozio?

Ciò che manca è la fantasia: sessuale, virtuale, onirica. Alla inibizione della fantasia sessuale a cavallo tra virtuale e fisico, ben distinti comunque dall'improvvida regia, fa da compendio il rapporto con il video, quasi un confessore morboso o una proiezione all'esterno delle proprie voglie, attribuite ad altri per non rischiare di svelarsi o di sporcarsi. D'altronde si direbbe che la consegna sia di non spingere mai la morbosità al di là di quello che è consentito dal prime time di RaiUno.

Affiorano qui e là alcuni spunti pregevoli: il dialogo in chat line, che si propone come uno spot di un detersivo o come una descrizione di un lavaggio in lavatrice (mezzo meccanico che scatena fantasie erotiche in un catalogo alla McLuhan?) ma che si sviluppa attraverso doppi sensi degni dei cinquecentisti, non è ascrivibile a merito degli autori, perché si rivela (nei titoli di coda) essere desunto integralmente da un racconto letterario. La porzione di film che funziona meglio si direbbe quella iniziale, sulle fantasie oniriche: l'assunto, che manda in crisi Marta, è che si possono incasellare persino i sogni nei risultati di una statistica, ma non si riescono a catalogare le pulsioni sessuali. Peccato che gli episodi del film non facciano nulla per confermarlo, anzi.