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Shady Grove
Anno: 1999
Regista: Aoyama Shinji;
Autore Recensione: adriano boano
Provenienza: Giappone;
Data inserimento nel database: 23-11-1999


Shady Grove

SHADY GROVE


Regia e sceneggiatura: Aoyama Shinji
Soggetto: Aoyama Shinji, Sato Kumi
Fotografia: Tamura Masaki
Montaggio: Myata Sansei
Scenografia: Shimizu Takeshi
Musica: Yamada Isao
Interpreti: Awata Urara, Arata, Sekiguchi Tomohiro, Nakano Wakaba
Produttore: Sato Kumi.
Produzione e vendita all'estero:Bitters End Inc., 101, 10-5 Sakuragaoka-cho, Shibuya-ku, Tokyo 150-0031, Japan, e-mail bittendjb3.so-net.ne.jp
Provenienza: Giappone
Anno: 1999
Durata: 1 hr. 39 min.



Aoyama è una cambiale fissa che il Festival torinese deve pagare. Ed ogni anno il giudizio sulle intenzioni è lusinghiero; molto meno quello sui risultati. Il tratto comune è la genetica inibizione alla comunicazione della gioventù nipponica, talvolta questa deficienza si manifesta con violenza (negli anni scorsi la vena punk era più spiccata), in quest'ultimo caso il registro adottato è quello del melodramma romantico con un lieto fine dulcamaro. Al di là delle banalità dei ribaltamenti delle accuse all'interno del triangolo di giovani che popolano la pellicola con i loro struggimenti amorosi, cercando di rintracciare qualche elemento pregevole, si possono isolare alcune sequenze che maggiormente esprimono quella carenza comunicativa che è la peggior sofferenza della società giapponese secondo il regista di Kitakyushu City.
Abbandonata da Seiichi Ono, giovane in carriera inespressivo, Fujio Rika, una deliziosa ragazza di Osaka (stereotipo con frangetta della giovane giapponese) si ubriaca con il vino comprato per la serata con lui (e con quello che costa il vino nell'arcipelago del sol levante si definisce la classe di provenienza); dopodiché digita al buio serie di numeri di telefono per raccontare con voce impastata e con le stesse parole la sua disavventura ai malcapitati che come ovvio reagiscono con scarsa solidarietà, tranne Shingo Kono, un giovane con altrettanti problemi di relazione e che avevamo lasciato invece maldisposto, mentre apostrofava alcuni avventori di un locale chiedendo loro di smettere le loro chiacchiere, prontamente picchiato (forma di comunicazione liberatoria per una società chiusa nell'intimità dei loculi di cui ci viene dato un saggio con il monolocale abitato da Kono), torna a casa con l'animo predisposto alle dimissioni da tempo meditate dall'agenzia pubblicitaria presso cui lavora in un'atmosfera da anni '80, che offre il destro al regista per dare luogo l'ennesimo saggio dei meccanismi atroci messi in atto nel mondo del lavoro. Solo lui si dispone all'ascolto delle paturnie del cuore infranto ed il pubblico rimarrà in attesa di scoprire perché mai quel giovane abbia dato retta ad una sconosciuta che lo importuna nel cuore della notte con le sue pene. La sequenza è preparata con un bel montaggio parallelo delle due storie, concludendosi con la suadente voce di Kono che tranquillizza la ragazza, la quale finalmente ci risparmia altre petulanti mutrie.

Il resto dell'intreccio si dipana in una noia soporifera cadenzata dai cartelli che avvertono del passaggio dei giorni per accentuare il senso di trascorrere inutile anche del nostro tempo, saltuariamente vivacizzata da episodi di violenti rifiuti (la brutale, poco credibile, risaputa, squallida e mal recitata sequenza dei fiori respinti al mittente direttamente sul muso della povera ragazza, magari un po' noiosa ma immeritevole di tanta acredine) e insistenti intrusioni della ragazza nella vita di Ono, in questo senso si accoglie la figura dell'investigatore privato come un elemento vivacizzante; solo in un secondo tempo la mente obnubilata dal sonno indotto dal ritmo si accorge che la voce over, che saltuariamente fa capolino nell'assenza di eventi, è attribuibile al private eye. E nel finale si ha conferma di questo sospetto di aperta banalità, esagerata dal tentativo di ammantare di un'aura filosofica (forse desunta da Postman Blues, altro film nipponico, molto più innovativo) la figura dell'investigatore, ben compendiata dal sorvegliante notturno, che si spinge a decretare: "Da quando è morta mia moglie non sono sicuro di essere umano. Chi non prova angoscia può tradire se stesso senza rimorso". Una sequenza di frasi utili per dare uno spessore al personaggio e per introdurre al tradimento perpetrato da Ono a scopi di carriera che quando saranno rintuzzati finalmente capirà quanto gli è davvero indispensabile avere accanto la giovane Rika. Un film di buoni sentimenti e consolatorio a tutti gli effetti.
Un'altra ingenuità, così spudorata da risultare persino piacevole nella sua esecuzione kitsch è il sogno che promana dall'insistenza su una fotografia di cui esiste una lunga spiegazione verbosissima e che sarà introduzione per la scena clou del sogno in cui lei si presenta in uno sgargiante vestito giallo, offrendosi al solitario Kono. Complessato al punto da dare luogo ad un altra scena madre che ulteriormente rivela, se ce ne fosse stato bisogno, il tema dell'impossibilità di comunicare sentimenti (non l'incomuncabilità di antonioni: in questo caso è l'impossibilità di rapportarsi con gli altri guardandoli negli occhi): Kono racconta il risvolto rivelatore del film in auto, di notte, guidando a caso, senza guardare la ragazza, perché ella si trova sdraiata e silente sul sedile posteriore, una delle poche buone intuizioni del film: ad accentuare l'imbarazzo del giovane a rivelare i suoi più intimi sentimenti sono le riprese che si soffermano sul volto nascosto dalla oscurità della ragazza, senza mai mostrare il ragazzo che si sta confessando.
Altra sequenza pregevole è la rivelazione di Kono, non tanto del suo amore per la ragazza, quanto del motivo per cui la stette ad ascoltare in una società dall'aspetto granitico: come accennato in precedenza egli era gemello di una sorella nata morta e si è sempre sentito "privato di una metà di sé" (queste le testuali risibili parole in traduzione) e nel momento in cui si disponeva a scrivere le sue dimissioni la sua telefonata risultava un improvviso contatto con quella entità perduta.


visto al © 1999 Torino Film Festival No rights reserved