Si presenta come una storia edificante da griot e a questa impressione concorrono le tante scritte in francese scolpite nel cielo che costellano il progredire dell'intreccio, con queste si raccordano gli episodi; ma ancora di più il racconto si radica nella tradizione soffocante, nelle facce terrigne dei notabili del paese che sono riprese in modo da venire in rilievo come se fossero temporaneamente staccate dalle pareti di terra del villaggio di cui sembrano fare parte e che hanno lo stesso colore bruno, e cerca di far emergere lo squallore dei riti che nascondono nell'ipocrisia, come ad ogni latitudine, il motore di tutto: il denaro. Il suo potere è a mala pena celato dietro le visite tradizionali ed il regista malignamente coglie repentini passaggi di soldi, che assumono un ruolo denotativo della vergogna di chi lo maneggia, come si evince dalle riprese ad esempio della visita notturna per la richiesta di matrimonio da parte del ricco El Hadji, il quale fonda il suo potere economico sul viaggio alla Mecca.

Il racconto ha cadenze classiche: viene introdotto prima il lavoratore Garba, fidanzato della bella Satou, mostrata senza veli al fiume collocata in una splendida armonia di natura e narrazione, ridondante nel canto levato da una barca che solca le acque a poca distanza, confermando il riferimento alla tradizione del racconto orale. Tra le due figure si colloca il ricco terzo incomodo, più anziano e sposato, presentato mentre arringa i vecchi del villaggio con le banalità religiose imparate nel pellegrinaggio. Egli obbligherà Satou a diventare la su aterza moglie (ma lei non gli si concede in una delle prime sequenze di ribellione femminile del cinema africano), ma quello che più importa è che proprio questa classicità di impianto portata all'estremo viene coinvolta per criticare con la società nigerina anche il suo recit e per fare questo è sufficiente la fase finale: "Ansi va la vie en Nigerie" ripete un probabile luogo retorico della narrazione orale e lo svelle dall'interno, stigmatizzando così il soppruso dei ricchi e l'oligarchia religiosa, che costringono all'emigrazione. Infatti Garba monterà su un camion che reca inciso sul cassone "Bon voyage, bon retour", mentre Satou fugge nella grande città.

Nessuna componente della società tribale rimane fuori da questa disamina impietosa: lo stregone a cui si rivolge la seconda moglie dell'ingordo possidente che trascorre la vita a negoziare rimarca più volte l'importanza del denaro da elargirgli nella buona riuscita del sortilegio; il risultato sarà un omicidio di gelosia con la colpevole nient'affatto pentita, sempre per motivi di cupidigia, la fuga dei giovani, persino la natura non è più armoniosa con il suo cielo plumbeo durante il funerale. Abbondano aspetti didattici che soffocano l'opera, la quale si apprezza tuttavia grazie alla sua brevità, godibile nonostante intenti didascalici, come l'esplicita asserzione di Abdou, il padre della ragazza che riassume il messaggio: "Andare alla Mecca non cambia il cuore di un uomo".

Come in Cabascabo il risentimento del regista la fa da padrone contro la società da cui fu sradicato dall'arruolamento obbligatorio nella guerra di Indocina e che al suo ritorno poté analizzare con nuovi occhi.

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Le Wazzou Polygame
Anno: 1971
Regista: Oumarou Ganda;
Autore Recensione: Adriano Boano
Provenienza: Niger;
Data inserimento nel database: 24-11-1998


Oumaru Ganda
Visto al

      Le Wazzou Polygame

Regia: Oumaru Ganda
Interpreti: Goumbokoye Issa, Souley Zalika, Dia Lam Ibrahima, Salamatou Joseph, Oumarou Ganda
Produzione: Argos Film e Ministère de la Coopération Français
Formato: 16 mm.
Provenienza: Niger
Anno: 1971 Durata: 50'