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Double Team - Gioco di squadra Anno: 1997 Regista: Tsui Hark; Autore Recensione: l.a. Provenienza: Usa; Data inserimento nel database: 08-05-1998
Untitled
Double Team - Gioco di squadra Tit.
or.: Double Team. Regia:
Tsui Hark. Soggetto: Don Jakoby. Sceneggiatura:
Don Jakoby, Paul Mones. Fotografia: Peter Pau. Musica:
Gary Chang. Scenografia: Marek Dobrowolski. Costumi:
Magali Guidasci. Montaggio: Bill Pankow. Produzione:
Columbia Pictures Corporation/One Story Pictures/Mandalay Entertainment.
Cast: Jean-Claude Van Damme (Jack Quinn), Dennis Rodman
(Yaz), Mickey Rourke (Stavros), Paul Freeman (Goldsmythe), Natacha
Lindinger (Kath). Prodotto da: Moshe Diamant. Usa, 1997.
Durata: 1h e 30'.
TSUI HARK (goes to Hollywood):
è una delle personalità più variegate
e complete del panorama cinematografico hongkonghese degli ultimi
quindici anni: produttore, sceneggiatore, regista e attore, studia
cinema negli Stati Uniti (a Austin) per poi tornare a Hong Kong
ed iniziare a lavorare per la tv; dopo questa palestra passa alla
regia cinematografica, ma i suoi primi quattro lavori ondeggiano
tra l'insuccesso commerciale e la censura politica (l'orrorifico
We're Going to Eat You non verrà mai distribuito
per le pesanti allusioni alla scadenza del 1997 -, in cui Hong
Kong sarebbe/è tornata alla Cina; Dangerous Encounters
of the First Kind/Don't Play with Fire viene rimontato prima
della distribuzione e vengono introdotti segmenti estranei all'originale
- dei quali è protagonista la polizia, per controbilanciare
la carica tutta al negativo della storia ed ancora una volta per
ammorbidire i riferimenti alla vita politica, in questo caso i
tumulti filocomunisti del '67); in seguito arriva il successo
e Tsui Hark si rende indipendente creando una propria casa di
produzione, la Film Workshop Co., «una factory
di tipo cormaniano». Nel ruolo di produttore, lavora ai maggiori
successi di John Woo; in quello di regista, la sua fama è
legata al rinnovamento del wuxiapian (storie di cavalieri
erranti cinesi, avventure di cappa e spada) e all'inaugurazione
del filone leggendario-cavalleresco del costume-action-drama
(film chiave: Zu: Warriors from the Magic Mountain) e al
rilancio del gongfupian (film di kung-fu, di "combattimento
a mani nude"; operazione chiave, la serie Once Upon a
Time in China impostata sulla leggendaria figura di Wong Fei
Hong). Creatore di grandi successi, legato ad un'idea di cinema
come straordinaria macchina spettacolare (in cui tuttavia si annidano
acide venature politiche e ironiche), nell'86 fonda la Cinefex
Workshop, casa di produzione di effetti speciali che pare
essere la versione asiatica della Industrial Light & Magic
di George Lucas, calandosi quindi completamente nel ruolo vieppiù
attribuitogli, ovvero quello di "Spielberg asiatico".
Oggi Tsui Hark sbarca nuovamente negli Stati Uniti, e viene assorbito
da Hollywood come è accaduto a gran parte degli altri maggiori
talenti dell'industria cinematografica hongkonghese (da Ringo
Lam a John Woo, da Jackie Chan a Chow Yun Fat...) dopo il ritorno
di Hong Kong alla Cina nel '97: una vera e propria diaspora, e
la Hollywood d'Oriente si ricompatta in quella d'oltreoceano.
Come è accaduto per Woo (Hard Target-Senza tregua,
1993) e Lam (Maximum Risk, 1997), anche per Hark la prima
collaborazione, quasi dovuta, è con la star dell'action-made-in-Usa
Jean-Claude Van Damme - personificazione dell'incontro e fusione,
per qualcuno perfetta, tra cultura fisica occidentale e orientale,
attore che «in un certo senso sublima nelle sue performance
le due concezioni della fisicità e del corpo-in-scena».
DOUBLE TEAM, APPUNTI: è un action che parte da presupposti
piuttosto estremi, rigidi, di una violenza anche dura, per poi
smussarsi assumendo la fisionomia di una commedia d'azione in
odore, sempre più netto, di parodia dell'action-spy-story
alla 007 (con cui il regista si era già confrontato
avendo girato il terzo episodio della serie di film Aces Go
Places, moderne action-comedies, parodie delle avventure
di Bond, girate in location europee - e Double Team è
ambientato per gran parte a Roma). Premesse drammatiche:
quasi una costante del cinema hongkonghese: il personaggio viene
danneggiato nei suoi affetti più intimi (la famiglia) tanto
da ottenere l'immediata empatia del pubblico ed una forte motivazione
(volontà di vendetta) per intraprendere la battaglia. In
questo caso lo spettro sembra invertirsi: non è tanto l'eroe
a essere colpito (sebbene la moglie sia rapita, donna e primogenito
verranno salvati), quanto il contraltare negativo, l'antagonista
(il figlio e la presunta compagna di Rourke muoiono in un conflitto
a fuoco; il responsabile, più o meno diretto, è
Van Damme). La soluzione di sceneggiatura offriva lo spunto per
un approfondimento del rapporto tra i due personaggi in nome della
"colpevolezza" dell'eroe: ma Hollywwod non è
Hong Kong, e quell'apparato melodrammatico, quelle teorie di forti
sentimenti, che costituiscono di norma l'elemento portante delle
pellicole hongkonghesi viene a mancare, riducendo quindi il film
ad un inanellamento di situazioni pirotecniche e mirabolanti -
baracconi ipercinetici - con cui erroneamente si identificano,
liquidandole, quelle produzioni. La morte del figlio del terrorista
Rourke, la paternità in pericolo dell'agente Van Damme:
quasi dei topoi del cinema di Hong Kong che sarebbe interessante
investigare (neonati in costante pericolo, bimbi da proteggere
o da vendicare: non si può che ripensare all'Hard
Boiled di Woo vedendo lo scontro tra protagonista ed antagonista
nel reparto maternità). Dennis Rodman: svolge la
funzione di aiutante di Van Damme; presenza ingombrante quanto
motivata da ovvi scopi commerciali: star del basket, le sue doti
di cestista vengono piegate all'azione tanto che lo slittamento
verso la commedia al limite dello slapstick è principalmente
da imputare al suo palleggiare e lanciare i nemici in ogni buco
che possa funzionare da canestro. Rodman, poi, viene sfruttato,
a livello di sceneggiatura, come jolly tappabuchi: ogni situazione
senza uscita invece di essere giocata come prova per Van Damme
è risolta con l'ingresso in scena di Rodman, techno-deus-ex-machina
psichedelicamente-chic. Fastidiosamente simile al nostrano
"molleggiato". Tsui Hark: sembra latitare; non
pare instillare nella materia particolare vigore in quanto la
sceneggiatura è prevaricante nel suo tripudio esplosioni
e situazioni limite, nei suoi ritmi mozzafiato, nella sua ricerca
di effetti... come se non ci fosse spazio. Ma la mano del regista
è ben visibile in alcune soluzioni che sembrano entrare
in collisione con i ritmi dell'azione: rallentamenti, pause quasi
invisibili che si aprono come fratture-voragini nel tessuto; si
pensi alla sparatoria al luna park e alle "visioni periferiche";
ma anche, e soprattutto, alla sequenza kung-fu tra un cinese agile
come un gatto e Van Damme: Tsui Hark al meglio con poche "semplici"
pennellate che riescono a trasformare un confronto scontato in
un balletto - inserti rallenti che non hanno funzione drammatizzante,
né di sottolineatura enfatica né di amplificazione,
ma che soli trasfigurano due corpi in giocattoli-a-molla, pure
macchine che esauriscono la carica dopo una serie di rapidi scambi,
si ricaricano e ripartono fulminei come lame. Trovate interessanti:
l'isola-colonia che raccoglie gli agenti dati per dispersi: le
migliori menti anticrimine come una ultima linea di difesa (the
last line of defense, come l'Omega Sector per cui lavorava
Schwarzenegger in True Lies, altra spy-parodia). Cult:
l'allenamento del recluso Van Damme. Deliri: i cyber-cappuccini.
A briglia sciolte: ancora una volta, Hollywood che riflette
(su) se stessa in uno specchio made in Hong Kong. Debordante/Divertente.
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