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Bus in viaggio Anno: 1996 Regista: Spike Lee; Autore Recensione: l.a. Provenienza: Usa; Data inserimento nel database: 07-05-1998
Bus in Viaggio (Get On the Bus), di Spike Lee
Bus in Viaggio (Get On the Bus), di Spike Lee. Sceneggiatura,
Reggie Rock Bytherwood. Con Charles S. Dutton, Richard Belzer,
Joie Lee, Gabriel Casseus, Thomas Jefferson Byrd, Ossie Davis.
Usa, 1996.
...è un road-movie che racconta del viaggio in bus di una
ventina di uomini di colore, da Los Angeles a Washington, per
partecipare alla Marcia del Milione di Uomini (Million Man
March) del 16 ottobre 1995, voluta ed organizzata dal leader
della Nation of Islam, il pastore Louis Farrakhan. Il gruppo
di viaggiatori, eteregeneo per età, motivazioni, status
sociale, mettendo a diretto confronto diverse ideologie, approcci,
concezioni della militanza, e costituendo un campionario di atteggiamenti
e pensieri politici, permette a Spike Lee di fornire uno spaccato
della comunità afro-americana contemporanea. L'obiettivo
del regista è quello di fare emergere separazioni e contraddizioni
che stanno dietro l'apparente unità del gruppo, di criticarne
estremismi, razzismi, maschilismo, omofobia, vittimismo, esibizionismo;
auspicando infine una maggiore maturità e coscienza senza
le quali le marce di un milione di uomini non restano che grandiose
parate. Lee torna alla produzione indipendente (il film è
stato finanziato da personalità di colore dello show-business
quali Wesley Snipes, William Smith, Crispin Glover... oltre che
dallo stesso regista e dallo sceneggiatore), al low-budget (se
2 milioni e mezzo di dollari possono considerarsi effettivamente
tali) e ai tempi stretti (tre settimane di riprese); abbandona
i 35mm, optando per i 16mm, e tenta di recuperare lo stile semi-documentaristico
proprio degli esordi - per contestualizzarlo sfrutta la videocamera
del personaggio che rappresenta il suo alter-ego nella finzione
(un giovane film-maker che, armato di handycam, documenta l'intero
viaggio ed intervista i compagni sulle motivazioni della propria
partecipazione alla marcia); ma l'incisività, la freschezza,
l'essenzialità sembrano essere ormai irreparabilmente compromessi
dalla vena retorica di cui il regista ha dato segni sempre più
evidenti nei lavori seguenti a "Fa' la cosa giusta".
Gli intenti edificanti sono tediosamente palesi, e la tesi di
Lee non riesce ad articolarsi appesantita com'è da uno
schematismo dilagante che tutto ingloba, dai dialoghi alla caratterizzazione
dei personaggi, dagli eventi narrativi alla organizzazione degli
stessi nell'ormai consueto percorso di formazione con finale drammatico
edulcorato dalla presa di coscienza dei protagonisti. Inizia ad
assumere i contorni precisi di una certezza il dubbio che Lee
sia un regista decisamente sopravvalutato; di film in film, la
domanda "come ha fatto a realizzare un film così mediocre
dopo lavori significativi come Fa' la Cosa Giusta e Lola
Darling?" si sta invertendo in una più calzante,
ovvero "come ha fatto a realizzare film significativi come
Fa' la Cosa Giusta e Lola Darling questo regista?".
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