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Al posto del cuore
Anno: 1998
Regista: Robert Guédiguian;
Autore Recensione: Marcello Testi
Provenienza: Francia;
Data inserimento nel database: 02-09-1999


Al posto del cuore Al posto del cuore - A la place du coeur. Regia: Robert Guédiguian; sceneggiatura: Robert Guédiguian, Jean-Louis Milesi, da un romanzo di James Baldwin; direttore della fotografia: Bernard Cavalié; montaggio: Bernard Sasia; musica: Jacques Menichetti; produzione: Gilles Sandoz per Diaphana [fr], Le Studio Canal+ [fr], Agat Films & cie [fr], France 2 Cinéma (FR 2) [fr], La Sept Cinéma [fr]; interpreti, Ariane Ascaride, Véronique Balme, Pierre Banderet, Djamal Bouanane, Jacques Boudet,Christine Brucher, Jean-Pierre Darroussin, Gérard Meylan, Alexandre Ogou, Jacques Pieller, Laure Raoust; colore, 112'; Francia, 1998.

Non basta a questo film essere dalla parte dei deboli e di una città anomala come Marsiglia (in fondo, si può pensare all'opera anche come un omaggio accorato e un po' risentito a questa città). Ben presto Guédiguian si blocca e rimane sdraiato sui contenuti, dimenticandosi di dirigere, tranne alcune brevi e felici epifanie.

Lo spettatore - io - percepisce una suddivisione in fasi che forse non era nelle intenzioni del regista (è il finale aperto e lievemente declinante sull'happy end a dare quest'impressione di libertà ricercata e non trovata) e che finisce per dare un'idea di struttura un po' statica.
Nella prima parte, il fardello del film è la sua origine letteraria. Tutto quanto c'è di salvabile nella prima mezz'ora è ascrivibile a frasi ad effetto assolutamente staccate dai fotogrammi che scorrono pianamente, provocando un certo fastidio; si arriva in fretta ad avere in antipatia la descrizione fin troppo idilliaca degli amori filiali, fraterni ed interetnici che saturano la banda audio ma non sanno trovare sbocco nelle immagini, se non in qualche lampo di sguardo: tra questi, sicuramente c'è quello (rovinato in parte dall'enfasi di una voce off invadente) che dà il via al "viaggio" per il quale partono i due padri, rappresentanti di una classe lavoratrice sicuramente vilipesa e offesa dai tempi nostri, ma a cui la stessa voce narrante infligge una non desiderata (da noi) condanna riguardo alla virilità, come se il lavoro fosse veramente un valore ed un indice di mascolina responsabilità familiare.

Segue, poi, una stucchevole parentesi giudiziaria, che fa rimpiangere i filmoni (-acci?) sugli avvocati senza macchia made in USA. Durante questo segmento, davanti a noi non succede nulla e tutto si basa su resoconti che non hanno nemmeno il distacco di un verbale giudiziario, ma solo lo scopo di aprire con un po' di suspense l'episodio seguente, che è un po' la goccia che fa traboccare il vaso... Infatti, ci si sposta a Sarajevo, in cui la trama diventata esilissima serve solo come pretesto per una breve mostra di atrocità architettoniche (procurate da proiettili e granate). Anche qui, però, si registra l'abdicazione registica e tutto è lasciato all'intensità di alcuni primi piani. Ma non si può appoggiare tutto il peso di un film sugli attori, pur piuttosto bravi, che alla lunga finiscono per strafare e risultare "troppo".

Pare che Godard abbia detto di Guédiguian che non gli piace sentirsi obbligato ad essere d'accordo con lui. Questa sensazione è confermata da questo film: ci piacerebbe, sulla base di qualche comunanza nella percezione dei problemi, dare ragione a Guédiguian, ma non ci aiuta ciò che vediamo, un gioco troppo monotono e facile, inchiodato ai volti degli attori.