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Behemoth
Anno: 2015
Regista: Zhao Liang;
Autore Recensione: Roberto Matteucci
Provenienza: Cina; Francia;
Data inserimento nel database: 20-10-2015


“Piango sulla terra distrutta.” La Mongolia Interna è una provincia cinese situata sotto della Repubblica della Mongolia, con una forte minoranza mongola. In questo distretto c’è Ordos, la città dei molti palazzi. Realizzata per ricevere milioni di persone dalle campagne, le costruzioni sono finite ma la gente non è arrivata. Ci sono case, edifici imponenti, tutto è funzionante. Non ci sono i tre milioni d’individui previsti siamo di fronte a una città fantasma. È il finale del bellissimo documentario Behemoth del cinese Zhao Liang. L’autore ci presenta un documentario diviso in tre parti. La struttura è un richiamo alla Divina Commedia di Dante: “Ordos means palaces, referring to those in Heaven, paradise. I used the redness seen in the ironworks to represent “Inferno” (Hell), the grayness created by the dust after a running truck to represent Purgatorio (Purgatori), and the surreal blue of the sky in the ghost city of Ordos to represent Paradiso (Heaven).” Zhao Liang segue alla perfezione questa logica letteraria, unendo al documentario una visione fra il fantasioso e il poetico, utilizzando dell’immagini ideali a unire la struttura. La Mongolia Interna ha molte miniere di carbone. Sono un vero inferno, con una popolazione costretta a lavorare in condizioni terribili. Una natura ripresa a campo lungo, mista con verde e le montagne scombinate dalle esplosioni. A terra un uomo nudo appare spaventato, incastrato dalla realtà confusionaria. Ci sono tanta attività, confusione, camion, gente che lavora e poco distante c’è una ger di pastori mongoli. Sono nomadi, sono allevatori, si sono fermati perché c’è dell’erba per gli animali. Sono indifferenti dell’inferno intorno a loro. La natura non ha vita propria. La natura ha senso se convive con delle persone. Oltre ai nomadi rassegnati, ci sono i miserabili sporchi neri minatori. Scendono nelle viscere della terra. Il richiamo a Dante è evidente e inequivocabile. La parte dell’inferno è gestita dall’autore in fondo scuro con pochi spiragli di luce. Le immagini continuano ad agitarci. Tante rappresentazioni impeccabili, colori ricercati, voce fuori campo, riflessi poetici. Stupende sono le file di camion, stanno sventrando la montagna, portano la terra dall’interno delle miniere. L’inquadratura è perfetta: una montagna non naturale, solo terra, sul ciglio si susseguono tir a scaricare terreno. Sotto l’altura c’è una pianura con dell’erba. Dei pastori fermi stanno guardando attoniti l’avanzare lento ma inflessibile e minaccioso della montagna. Dietro di loro la loro tenda. Di fianco le pecore. Sono allibiti, saranno obbligati a spostarsi. Ma l’immagine ci porta a un pensiero: riusciranno a resistere oppure la terra trasportata ingloberà anche a loro? Il mostro si sta avvicinando, la polvere si alza e il rumore è assordante, in contrasto con le silenziose pecore. La scena si sposta nelle acciaierie della zona. Predomina il fumo, la polvere, il grigiore, il greyness raccontato Zhao Liang nella sua intervista. Il paradiso dell’autore è surreale. La Cina ha, nonostante il recente rallentamento, sviluppi economici elevati. D’altronde, con una popolazione stimata a luglio di quest’anno in 1.367.485.388 , crescite inferiori creerebbero un peggioramento sociale notevole. È innegabile, ci sono delle vittime e tante. Il regista ci denuncia alcuni aspetti. La pneumoconiosi provoca molti decessi fra i minatori. La reazione è una pacifica e timida denuncia dei parenti dei morti di fronte a un ufficio governativo. In mano hanno le foto degli scomparsi. Dal ventre cupo e dannoso delle miniere siamo arrivati a Ordos. Gli edifici sono vuoti, ma le strade sono pulitissime. In realtà, come ci racconta in un reportage il Magazine del New York Times, Ordos non è disabitata. Dovrebbe avere circa centomila abitanti (“… estimate that about 100,000 currently live in the city”). Io sono di una città con meno di centomila persone, e già mi appare una megalopoli, ma per gli standard cinesi gli abitanti sono un numero misero. Rispetto ai lavoratori visti in precedenza è un eden: “Il paradiso il lavoro è rilassante perfino un po’ noioso.” “For the newly arrived visitor, the most shocking thing about Ordos may be its cleanliness.” “ … the first human beings spotted on a taxi ride from the airport into the center of Ordos weren’t pedestrians — there were few of those — but municipal cleaning crews, tidying the sidewalks and broad, multilane thoroughfares.” Quello descritto dal giornalista del NYT coincide con l’immagine del regista. Le prime immagini della città sono delle strade vuote, senza gente ma pulite. I primi esseri umani intravisti sono degli spazzini mentre stanno lavorando. Il film è un lavoro paziente, ricercato, artistico. Con immagini precise, il concetto del rapporto difficile fra uomini e natura è sconvolgente. I poveri mongoli aspettano l’arrivo della montagna artificiale come una disgrazia della natura. C’è qualcosa di abnorme, di diabolico: “The film’s title Behemoth symbolizes the growth of an enormous evil energy” l’autore ci porta l’energia infernale.