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L'occhio che uccide - Peeping Tom
Anno: 1960
Regista: Michael Powell;
Autore Recensione: Mario Bucci
Provenienza: Gran Bretagna;
Data inserimento nel database: 04-12-2003


La grande guerra

L’occhio che uccide. Michael Powell. 1960. GB.

Attori: Carl Bohem, Moira Shearer, Anna Massey, Maxine Audley, Brenda Bruce

Durata: 109’

Titolo originale: Peeping Tom

 

 

Una prostituta è uccisa in casa sua mentre è ripresa da una cinepresa. L’assassino rivede il filmato dell’omicidio. Mark Lewis lavora nel retro bottega di una rivendita di giornali nella quale si sviluppano fotografie osé. Mark Lewis è l’assassino della prostituta. Di ritorno a casa, dove i svolge la festa di compleanno della coinquilina Elen, conosce meglio questa e la invita ad osservare uno dei film che egli colleziona. Figlio di un medico geniale quanto malsano, Lewis gli mostra i filmati che per tutta la sua infanzia, il padre ha girato su di lui. Il giorno dopo, è sul set di un film, nel quale svolge il lavoro di operatore. Invitata la controfigura femminile Vivian a fare delle riprese di nascosto dalla produzione, uccide anche questa con una lama che spunta da una delle gambe del treppiede che usa per riprenderla. La relazione con Elen continua e questa gli domanda aiuto per scattare fotografie per un libro di fiabe per fanciulli. L’indomani, scoperto il cadavere di Vivian, l’ispettore Gregg incomincia ad indagare sul set e su tutti i suoi partecipanti. La sera, tornato da un appuntamento con Elen, trova la madre di questa, cieca e con un particolare istinto, nell’ombra della sua camera di proiezione che cerca di scoprire quale tipo di filmati Mark ogni sera rivede sullo schermo. Colto dalla voglia di riprendere il terrore dell’anziana donna, decide ugualmente di risparmiarla per amore della figlia. L’indomani, sul set cinematografico, l’ispettore decide di far pedinare alcuni membri e tra questi è scelto anche Mark. Giunto di nuovo nel retrobottega, Mark uccide la bionda ragazza che si faceva ritrarre nelle foto osé ma, scoperto anche questo cadavere, è immediatamente sospettato degli omicidi. Nel frattempo Elen, entrata in camera di Mark per fargli leggere il libro di favole per bambini, scopre un macabro filmato e così Mark, con la polizia sotto casa, decide di suicidarsi riprendendosi e guardandosi nello stesso specchio dove costringeva le vittime a riconoscere il volto della paura.

Michael Powell mette in scena un vero capolavoro del cinema teorico, indagando in quel buio spazio che è il limite tra scopofilia (bisogno di guardare, voyeurismo) e cinema (il primo omicidio, girato in soggettiva, precede i titoli di testa, sulle stesse immagini dell’omicidio, ma proiettate su uno schermo). Fortemente sentito (l’abbigliamento di Mark è stato spesso quello dello stesso regista e che, tra l’altro, si vede per pochi istanti come il padre di Mark, il folle teorico che studiava la paura e le sue reazioni sul sistema nervoso, sottoponendo suo figlio agli esperimenti), il regista propone una filosofia dello sguardo non originale (Hitchcock e la Finestra sul cortile del 1954) ma sicuramente più moderna e cinica (“Tutto quello che riprendo, per me è perduto…” dice Mark ad Elen; quando questa lo bacia, lui sostituisce le sue labbra al freddo vetro dell’obiettivo della sua cinepresa). Il cinema nel cinema, così, non è più solo un pretesto per aumentare il numero di scatole cinesi del linguaggio visivo, è lo sguardo stesso, che nelle mani di Mark si trasforma in osservazione maniacale di ciò che non dovrebbe essere visto, come il set di un film, coppie che si baciano, interrogatori della polizia, nudi femminili e volti deformati, mostrandosi necrofilo e volendo quindi guardare, riprendere e possedere la morte. L’estetica della sceneggiatura viene incontro ad una sottile carenza dell’estetica visiva del film vero e proprio, ed i giochi di sguardi nella rivendita di libri, quando entra l’anziano signore che vuole acquistare fotografie proibite, sintetizzano il rapporto che s’istaura tra regista, macchina da presa e spettatore (come la scena in cui Elen guarda per la prima volta i filmati di Mark mentre lui guarda lei, una scena che è riproposta nella stessa formula durante i preliminari del secondo omicidio, Mark che dice a Vivian “Riprendo te che riprendi me”) nel quale il regista decide di prendersi gioco proprio dello spettatore, non facendogli vedere il cadavere ritrovato di Vivian o il filmato che spaventa Elen nella scena finale. Mostrare, non mostrare, mostrarsi e guardare, non guardare, guardarsi. La paura dello sguardo, è soprattutto paura di guardarsi. Snobbato dalla critica, ha guadagnato fama e consenso con la definitiva affermazione della televisione (massificazione dello sguardo) pur partendo da un punto di vista più alto (il cinema appunto) fino ad essere stato rivalutato come un capolavoro.

Il titolo inglese (Peeping Tom corrisponde a guardone) viene da un personaggio della leggenda di Lady Godiva (da Il Morandini 2003 – Dizionario dei film).

 

Bucci Mario

[email protected]