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Al mukharribun - I sabotatori
Anno: 1967
Regista: Kamal Al Sheikh;
Autore Recensione: adriano boano
Provenienza: Egitto;
Data inserimento nel database: 16-11-2001


Al mukharribun

Al mukharribun

regia di Kamal Al Sheikh

Egitto, 1967

L'inizio sembra aver ispirato Corrotto di Tahar Ben Jalloun (Bompiani, Milano 2000). E la storia di bustarelle rifiutate integerrimamente, di figlioletti ammirati di tanto padre e di atteggiamento didattico è sicuramente presente allo scrittore marocchino. Il film egiziano possiede in più il lieto fine degli anni sessanta, la costruzione avvincente per il gusto di ammassare molteplici generi: una caratteristica di quella cinematografia che tende a creare parecchi quadri eterogenei raccordati approssimativamente con l'intento di arrivare alla situazione che solletica il pubblico sensibile, sia essa una avventura sul fiume, un noir finale con scazzottata catartica contro il fedifrago (altro tropo egiziano: i due amici d'infanzia, l'uno corrotto, che fa carriera e mette nelle peste l'altro, integerrimo).

Ben Jalloun lo aveva sicuramente presente perché il film è costruito con un taglio attento al pubblico popolare e con intenti palesemente didattici, costellato di invenzioni spettacolari che mutano costantemente il registro di riferimento: possono essere racconti d'infanzia (splendida la fuga del bambino, sembra la pubblicità del carosello dello stesso periodo per una marca di budini italiani) e sequenze di parlatorio in carcere, scontri con la mafia e trappole lungo la strada per il mare; si tratta sempre di stereotipi narrativi, ma girati ogni volta con una maestria e una consapevolezza del linguaggio adottato per quella sequenza che lascia stupiti.

Ovviamente questo interesse va a detrimento dei raccordi: non sempre è chiaro come abbia fatto la polizia a trovare il fuggitivo, ma l'intento in quel caso è mettere in scena l'episodio del fuggitivo sui tetti e , non è chiaro come si ritrova catapultata la moglie alla ricerca di una macchina nel traffico caotico a Il Cairo, ma serve a quel punto trasmettere la sensazione di isolamento e di disperazione e la sequenza è forte quanto quelle di azione affidate al volitivo marito, in contrapposizione con l'amico fedifrago che è introdotto nei suoi maneggi dal rumore del crotalo, un espediente che denuncia il pubblico a cui ci si rivolge, ma anche l'arguzia degli autori nel tratteggiare i vari caratteri.

Nessun personaggio viene abbandonato: ciascuno ha una sua evoluzione, pure il bambino, del quale assistiamo alla petulanza, poi alla ribellione (in rapida successione la scazzottatura a scuola e poi la disillusione della verità), per arrivare alla scena finale liberatoria: "meno male: stavano solo girando un film", è la battuta affidata al bambino per ricondure il racconto nei canoni della fiction, ma la denuncia della corruzione rimane comunque non edulcorata, piuttosto resa consumabile da un pubblico in cerca di emozioni e di grande cinema avventuroso e romantico, dove poter parteggiare per il buono ingiustamente finito tra le maglie della giustizia, che però è in grado di individuare il vero colpevole, magari in ritardo.

Non solo un grande mestiere sorregge il film, ma anche una concezione popolare e di massa del cinema come evoluzione sociale, magari didattica, ma molto divertente e con un buon artigianato alle spalle.