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Flores de otro mundo
Anno: 1999
Regista: Iciar Bollain;
Autore Recensione: adriano boano
Provenienza: Spagna;
Data inserimento nel database: 08-03-2000


Flores de otro mundo

Flores de Otro Mundo

di Iciar Bollain, Spagna, 1999, 106´

Festival di Montreal, Festival di Cannes (Semaine de la critique)

7° Festival Internazionale

Cinema delle Donne
Torino marzo 2000

 

Non sveliamo certamente nulla dicendo come le tre possibili storie d’amore che si configurano nella squallida Spagna profonda - la campagna attorno a Guadalajara fa da sfondo alla scelta di donne sula base di foto che di anno in anno selezionano le partecipanti alla festa del celibato - sono destinate a naufragare nei due casi in cui lo stato di necessità non è così costrittivo da rivelare dedizione laddove sembra ci sia solo inganno e sentimento nascosto sotto freddezza e gelosie. Allo stesso modo non diamo una notizia clamorosa se prendiamo atto dell’ennesima opera pleonastica, ritratto neorealista di un pueblo fotografato senza voler aggiungere nulla alla noiosa disamina di personaggi dalle insignificanti vite, più angosciose di quanto fosse nelle intenzioni delle autrici, perché la fattura stessa induce tristezza, sperabilmente senza premeditazione

Inserito nel programma del festival delle donne per denunciare una sorta di mercato delle speranze femminili, che arrivano in pullman all’inizio del film con la banda per le stradine di Santa Eulalia a fare da giocosa cornice (unico momento apparentemente spensierato in un ricercato contraltare con il resto del racconto), il film finisce per evidenziare le infinite solitudini, le insoddisfazioni insanabili sia dei maschi - violenti sciovinisti o succubi dei ruoli prestabiliti e delle loro abitudini -, sia delle femmine, incapaci a loro volta di uscire dagli schemi e abbandonarsi ai sogni di quarantenni, distanti dalla passione coltivata nel sud quanto lontane dalla quotidianità di Bilbao, o di lasciarsi andare completamente alla voglia di avventure, se ventenni. Poco emozionante anche la vicenda centrale destinata al lieto fine, nonostante si fosse tentato di infarcirla di tutti gli elementi più ruffiani: la povera dominicana con figli piccoli, abbandonata dal padre dei piccoli, delinquente che non poteva mancare a scatenare il melodramma finale in una delle meno convinte scene di ricatto della storia del cinema, l’uomo con gli occhi mansueti e buoni che accoglie anche i suoi figli, la suocera scontrosa ma in fondo buona; Patricia cerca un riscatto e lo trova nella festa organizzata ogni anno con lo scopo spudorato di mettere insieme uomini soli e senza grossi problemi finanziari di una comunità rurale e donne in cerca di un’occasione di vita migliore. Un "brav’uomo", come suo padre, morto (e non manca la breve – per fortuna – sequenza al cimitero con la suocera cerbero che si scioglie inopinatamente), l’accoglie in casa, allo stesso tempo il sindaco intreccia una relazione con un’infermiera basca, soddisfacente, ma senza un approfondimento che vada oltre all’ovvia descrizione della scelta di … non fare alcuna scelta, perché si tratta solamente di una storia a latere di quella principale e quindi non "deve" ottenere maggiore attenzione di quella con maggiori opportunità di emozionare, sulla carta. Tentativo inutile nel momento in cui appare svogliata persino la ragazzina cubana, che non proveniva dalla triste carovana dell’amore, ma caduta nella medesima condizione di oggetto, che però non viene esplicitata a dovere.

Il titolo fa pensare che l’aspetto più interessante dovesse inquadrarsi nello scontro-incontro tra uomini di una regione chiusa con donne di provenienze diversissime: in realtà risulta carente nella descrizione di quelle abitudini che sono causa di attrito e debole pure nel rappresentare le autentiche sensibilità diverse tra i protagonisti, decisamente tristanzuoli anche nelle occasioni di festa.

Tanti temi: clandestinità, sciovinismo, razzismo, arretratezza di campagne desertificate (addirittura durante una passeggiata didattica col sindaco-amante sembra che le bicocche abbandonate abbiano subito un bombardamento) mescolati a sentimenti che sembrano provenire da cliché che rendono le problematiche altrettanto stereotipate, mentre si perdono per strada anche i personaggi introdotti talvolta senza motivo diverso da quello mirato a creare omogeneo senso di comunità senza riuscirvi e quindi dannosi per la coesione del film, già in pericolo per la struttura affidata a tre storie parallele, benché unite dal luogo dell’azione, il paesino talvolta tristemente inquadrato nella sua globalità, privilegiando la campagna e quindi riducendo ancora la sua appetibilità: sarebbe stato sufficiente il totale buio sul quadro di insieme del paese per far fuggire la povera Marirosi verso la civile Bilbao, senza aggiungere stiracchiate cene, lunghi discorsi e lacrime aggiunte alle tante già versate nelle stazioni degli autobus, cinematograficamente più struggenti.