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Attacco al potere
Anno: 1998
Regista: Edward Zwick;
Autore Recensione: luca aimeri
Provenienza: Usa;
Data inserimento nel database: 25-02-1999


Siege, The (1998/I)

Attacco al potere

Tit. or.: The Siege; regia: Edward Zwick; sceneggiatura: Lawrence Wright e Menno Meyjes & Edward Zwick; prodotto da: L. Obst, E. Zwick; musica: G. Revell; fotografia: R. Deakins; montaggio: S. Rosenblum; cast: Denzel Washington (Anthony 'Hub' Hubbard), Annette Bening (Elise Kraft/Sharon Bridger), Bruce Willis (General William Devereaux), T. Shalhoub, S. Bouajila, A.B. Larby; produzione: Bedford Falls, 20th Century Fox; eff. spec.: Full Scale Effects Inc., Moving Target; Usa, 1998; durata: 1h e 55’.

Il 26 febbraio 1996 esplode una bomba nei sotterranei del World Trade Center. L’incubo terrorismo contagia gli Stati Uniti, li colpisce al cuore. Si dice che quel giorno l’America abbia perso la sua innocenza. La fiction di "Attacco al potere" assume quella condizione come situazione drammatica e la amplifica, moltiplica: una emergenza terrorismo islamico è scattata nella città di New York - svariati attentati e il panico nella popolazione. Le indagini sono affidate all’Fbi, Denzel Washington è l’incaricato. La detection subisce rallentamenti: è entrata nella partita anche la Cia, con la femme fatale Annette Bening – dalla doppia identità/personalità d’obbligo. La concatenazione di eventi e conseguenze è giocata sulla crescita esponenziale; infine viene proclamata la legge marziale: l’esercito occupa la città, vengono rastrellati e concentrati in un campo di prigionia tutti gli arabi della Grande Mela per individuare l’ultima "cellula" terroristica. Il conflitto ora è a tre unità (secondo una delle "regole d’oro" di sceneggiatura statunitensi): Fbi, Cia e Esercito (il generale nazistoide interpretato da Bruce-Willis-senza-canottiera-ma-con-tupè). Thriller-fantapolitico, con aperture action, riuscito nella sua prima metà, ma confuso e raffazzonato, nei suoi sviluppi e esiti, con l’approssimarsi del finale. Incipit teso, avvio dell’azione nervoso, intreccio che rapidamente si infittisce e trascina con sé lo spettatore tingendosi di incognite e dramma; anche visivamente è un lavoro ben orchestrato, senza lampi ma funzionante; la regia insiste sul movimento, sulla crescita dell’effetto velocità visivo e non solo narrativo, giocando anche su un taglio televisivo per conferire un sapore di realismo/di cui, d’altro canto, si sbarazza senza esitazioni per passare agli effetti amplificanti del ralenti. Un pastiche, senza eccessi. Alcune situazioni vibrano di autentica suspense, si dilatano per poi virare e chiudersi in una (ormai) inattesa svolta shock, come accade nella sequenza di negoziazione con i terroristi asserragliati in un autobus con ostaggi e esplosivo. Da ricordare, una ritmatissima e trascinante sequenza di inseguimento a-piedi.

Si dice a Hollywood che l’ottanta per cento di un film stia nel suo ultimo quarto d’ora: se il finale è "brutto", deludente, insoddisfacente a livello emozionale, incongruente rispetto all’intreccio, frettoloso e sottotono, oscura, e può cancellare, anche tutto ciò che l’ha preceduta per quanto di buon livello… Il finale è l’apice della storia, è il momento clou del racconto: non deve essere sprecato o liquidato, deve lasciare qualcosa allo spettatore in cambio del biglietto. Il finale di "Attacco al potere" lascia allo spettatore una bella porzione di "confusione e aria fritta" in rancida salsa d’Apocalisse-e-melò. Forte, a livello di sceneggiatura, la seconda svolta portante del racconto, la dichiarazione della legge marziale e la militarizzazione della città; apocalittico l’ulteriore sviluppo, la creazione dei campi di detenzione per arabi e la perdita di controllo della macchina militare. Melò la ricerca del figlio nel campo di concentramento da parte del collega arabo di Washington; melò l’epilogo con il riscatto della Bening attraverso la morte. Si perde la direzione dello sviluppo narrativo: non si capisce più chi stia cercando chi – un bel problema per lo spettatore che a questo punto dovrebbe aver più che mai chiaro con-chi-empatizzare-e-perché. La buona tessitura si sfilaccia a mano a mano che si avvicina alle ultime battute: perde il ritmo, non è ben delineata, è prevedibile e fredda (nonostante azzardi anche uno strappalacrima in extremis). Non solo i dieci minuti conclusivi, decisivi per l’impatto sul pubblico, vengono sprecati: in realtà l’impianto inizia a non funzionare già poco dopo la metà film, si fa ingenuo e poi sconnesso. La regia non aiuta: quello che sulla carta doveva essere grandioso nella sua terribilità, come un monito a sintesi – militarizzazione, rastrellamenti, reti di metallo e filo spinato – è liquidato un po’ sciattamente, con sequenze-a-montaggio cliché: le immagini non riescono a azzerare il caos e gli interrogativi. Irrisolto, deludente.

 

filmografia di

EDWARD ZWICK

 

1998 The Siege (Attacco al potere)

1996 Courage Under Fire (Il coraggio della verità)

1994 "My So-Called Life" (serie TV)

1994 Legends of the Fall (Vento di passioni)

1992 Leaving Normal (Fuga per un sogno)

1989 Glory (Glory – Uomini di gloria)

1986 About Last Night... (A proposito della notte scorsa)

1983 Special Bulletin (TV)

1982 Having It All (TV)

1982 Paper Dolls (TV)