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Il miglio verde
Anno: 2000
Regista: Frank Darabont;
Autore Recensione: Federica Arnolfo
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 10-03-2000


Untitled Document

Il miglio verde
Di Frank Darabont
Con David Morse (Brutus "Brutal" Howell), Tom Hanks (Paul Edgecomb), William Sadler (Klaus Detterick), Sam Rockwell (William "Wild Bill" Wharton), James Cromwell (Warden Hal Moores), Harry Dean Stanton (Toot-Toot), Graham Greene (Arlen Bitterbuck)

Portare sullo schermo una storia di Stephen King è sempre stato, per qualsiasi regista, una vera e propria arma a doppio taglio.
Da una parte sì, il nome di King nei credits è già garanzia di probabile successo al botteghino. Dall'altra, non è mai stato semplice per nessuno riuscire a fare di una storia di King un bel film: perché proprio al contrario di quanto inciso sull'arco di pietra del camino del 249B della Trentacinquesima Est non è la storia, ma colui che la racconta. Diciamocelo, i film davvero belli tratti da una storia di King non arrivano a riempire le dita delle mani. E se poi oltre a quelli belli si vuol citare anche quelli fedeli beh... forse è anche troppo una sola mano.
Darabont ha già portato al cinema una storia di King. Un racconto di ambientazione carceraria, un po' proprio come "Il miglio verde": "Rita Hayworth e la redenzione di Shawshank", ottenendo degli ottimi risultati. Il suo "Il miglio verde" è tra i film "kinghiani" più fedeli alla storia dalla quale sono tratti. "Il miglio verde" è un romanzo strano, che King ha giocosamente fatto uscire a puntate, creando nei fedelissimi un clima di piacevolissima aspettativa tra una puntata e l'altra. Piacevolissima, perché la storia e' sì avvincente ma riflessiva allo stesso tempo, e l'attesa tra una puntata e l'altra era occasione per discutere, e per pensare. Il tema porta a farlo, del resto.

La trama

Paul Edgecomb è a capo del braccio carcerario di un penitenziario. Del braccio della morte di un penitenziario. Siamo nel 1935 (tre anni più tardi rispetto al romanzo, piccolo slittamento che è servito al regista per inserire nel film alcune sequenze di un vecchio musical con Fred Astair e Ginger Rogers), le esecuzioni vengono eseguite ancora con la sedia elettrica, ormai bandita, e senza alcun escamotage che possa evitare di capire quale secondino abbia abbassato la fatale leva. Edgecomb convive dunque con il male per buona parte della sua giornata, male che proviene da più parti, non solo dalle celle: dal suo corpo (è afflitto da una fastidiosa infezione alle vie urinarie), dai suoi collaboratori (uno, in particolare). Ma anche nel braccio della morte di un penitenziario, in un ultimo miglio ("verde" per il colore del linoleum di cui è rivestito) è possibile fare incontri con uomini straordinari. E cambiare totalmente, grazie ad essi, la propria vita.

Il romanzo interseca continuamente passato e presente (l'Edgecomb dei giorni nostri è un simpatico vecchietto che fa strane passeggiate nei boschi attorno al suo pensionato). Darabont sceglie di non seguire questa strada, limitando il presente all'apertura ed alla fine del film, incorniciando così la storia tra l'inizio e la fine in forma di racconto (scelta molto felice, sicuramente non originalissima ma più efficace su grande schermo), evitando peraltro imbarazzanti morphing (l'attore che interpreta Paul da vecchio non è, infatti, lo stesso Tom Hanks invecchiato ad arte). Un racconto potente, lento ed inesorabile, che prende le distanze da qualsiasi contaminazione di carattere politico, come peraltro già fece l'ancorché democratico Stephen King, per riflettere, e farci riflettere, ancora una volta (è sicuramente il topos principale di tutta la narrativa kinghiana), sul Bene e sul Male.

Difficile rimproverare qualcosa a Darabont, se non forse proprio l'eccessiva fedeltà, che in qualche momento rischia di diventare maniera, e spesso odora di timore reverenziale mai del tutto risolto. Anche se certamente meno riuscito di quanto non lo fosse "Le ali della libertà" (ma molto era dovuto anche alla grandissima prova recitativa dei due intepreti, Tim Robbins in particolare, mentre qui Tom Hanks sembra meno ispirato del solito, e i chili in eccesso gli giovano assai meno di quanto non giovino a John Travolta), "Il miglio verde" è un film profondo e commovente, di buona fattura e di forte tenuta (le tre ore e passa pesano assai meno di quanto non si sarebbe portati a credere), capace di segnare nel profondo chi ama e conosce King da sempre, chi non lo ha mai sentito nominare e - soprattutto - chi lo liquida frettolosamente come "uno scribacchino che sforna robaccia horror in continuazione solo per far soldi".