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Limbo
Anno: 1999
Regista: John Sayles;
Autore Recensione: Giampiero Frasca
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 02-09-1999


John Sayles, tra analisi e osservazione delle esistenze

Il Limbo della coscienza e del cinema

Limbo (idem); regia, sceneggiatura e montaggio di John Sayles; fotografia di Haskell Wexler; interpreti: David Strathairn (Joe Gastineau), Mary Elizabeth Mastrantonio (Donna de Angelo), Vanessa Martinez (Noelle), Kris Kristofferson (Johannson);

Usa 1999; durata 2h e 6'.

´Limbo descrive una comunità e alcuni individui in evoluzione. Molte persone sono bloccate nel limbo e non fanno altro che aspettare. Non è il paradiso. Non è l'inferno. Non è il purgatorio, dove si ha la speranza di poter entrare in paradiso. ” un luogo dove non si sa cosa accadràª. Con queste parole il regista e sceneggiatore (e montatore) del film, John Sayles ha spiegato sia il titolo sia il tema della pellicola. Limbo, in effetti, è uno sguardo accurato e meticoloso su comportamenti umani sofferti a causa di coscienze che non si pacificano e non si riconciliano anche a distanza di anni. Sayles osserva con l'occhio distaccato di chi si premura esclusivamente di registrare una condizione esistenziale, senza apportare alle inquadrature nessun giudizio di merito, senza modificare emotivamente quello che la nuda immagine già fornisce con la sua evidenza iconografica. Iconografia che nel corso della narrazione si arricchisce del contesto ambientale, il quale diventa una sovradeterminazione significante, un'estrinsecazione dei caratteri individuali dei personaggi, un mezzo semplicissimo per evidenziare e stimolare le singole prese di coscienza. Ancora una volta per Sayles (dopo Stella solitaria e Angeli armati) la frontiera americana non riveste il senso di continua avanzata 'darwiniana' che ha sempre rappresentato nell'immaginario collettivo americano (e non è qui il caso di citare la sterminata letteratura che riflette questo pensiero, da Teddy Roosevelt - do you remember 'the big stick'? - a Frederick Jackson Turner), bensì assume il preciso significato di limite naturale, al confine del quale l'uomo si confronta con il suo io, con la sua stessa natura per scoprire la sua effettiva valenza psicologica e caratteriale, la sua reale indole. L'Alaska di Limbo, sospesa crepuscolarmente tra una pallida estate ed un rigido inverno, è il milieu in cui tre personaggi con un passato fatto di traumi si ritrovano per fare i conti con se stessi (Joe Gastineau ha abbandonato per un incidente al ginocchio una promettentissima carriera di giocatore di basket, dopodiché si è dimostrato un ottimo pescatore fino a quando si è reso responsabile della morte di due membri del suo equipaggio; Donna de Angelo è una cantante frustrata che passa la vita in locali di pessimo rango e trasbordando da un letto all'altro, da una relazione superficiale all'altra; Noelle, l'adolescente figlia di Donna, incapace di esprimere apertamente sia i suoi sentimenti sia la sua spiccata sensibilità, vive con profonda sofferenza l'immaturità sentimentale della madre). L'ambiente diventa quindi la superficie riflettente in cui viene mostrata la propria vera natura; la frontiera intesa come limite di un percorso di formazione che si conclude sempre con un'impietosa presa di coscienza dopo una altrettanto spietata disanima della condizione umana. Lo sguardo di Sayles non è quello dell'entomologo, il regista non scruta i suoi personaggi perché non intende restituirli per come appaiono a tutta prima: Sayles li svela a poco a poco, li concede al pubblico un po' per volta, parziale rivelazione dopo parziale rivelazione, sensazione dopo sensazione, piano di reazione dopo piano di reazione, uno sguardo perso nel vuoto in coda ad una sequenza dopo l'altro. 'Limbo' non è solo il titolo di questo film di Sayles, 'limbo', metaforicamente e metacinematograficamente, è tutto il cinema di Sayles inteso nella sua logica concettuale e narrativa: il racconto procede secondo un criterio di sospensione, dove l'essenza dei personaggi diventa enigmatica perché non espressa compiutamente nelle fasi iniziali della pellicola, ed in cui l'ambiente circoscrive e stimola via via, anche se in modo discreto, le poche azioni e le notevoli sensazioni delle figure che si muovono in esso. Sayles frammenta i punti di vista ed il sapere all'interno del suo racconto: sono molteplici i personaggi che focalizzano la spirale del sapere nelle sue narrazioni, solo la sommatoria delle varie prospettive può conferire un soddisfacente panorama globale. Ad un sapere che moltiplica le sue fonti interne al testo filmico, non corrisponde quindi un sapere completo e subitaneo dello spettatore, il quale è condotto per mano in una rigida focalizzazione esterna (ossia la condizione per la quale il sapere del personaggio è maggiore di quello dello spettatore) che si completa a mano a mano nel corso del film. In questo risiede la sospensione, il limbo narrativo di John Sayles, in questa sua capacità estrema di mostrare immagini in modo oggettivo, completamente aderenti alla realtà dei fatti e, al contempo, celare porzioni cognitive determinanti in modo da generare nello spettatore un interesse di tipo morboso, che si crea a poco a poco in modo surrettizio, così come avviene all'interno dello stesso Limbo (il film, non la condizione esistenziale o la concezione narrativa), quando Noelle interrompe la (falsa) lettura del diario ritrovato nell'isola per evitare di svelare tutto subito e causare una diminuzione nell'interesse degli uditori. Sospensione che si realizza compiutamente, ed inevitabilmente, anche alla conclusione del film, quando lo sguardo pieno di speranza e paura del trio, verso l'aeroplano che potrebbe portare la salvezza o la morte, rimane congelato in un fuori campo che pian piano svanisce in una lenta dissolvenza che lascia posto ad un quadro completamente bianco. Non il nero, abituale indice di una conclusione o di una semplice interruzione cinematografica, ma il bianco, il nulla, l'inconsueto e quindi l'angoscioso, il non risolto. Joe, Donna e Noelle, dopo tanto soffrire, dopo il loro impervio percorso esistenziale, si salveranno? Questo non è dato sapere ed anche il tentativo di dare una risposta a tutti i costi esprime uno stato d'animo prettamente hollywoodiano che poco si confà a John Sayles. Cosa importa che il terzetto si salvi o meno? La fine di Limbo non può assolutamente essere diversa: l'attenzione deve necessariamente traslare dalla nuda storia al suo significato, dalla semplice logica della messa in serie delle immagini alla sublimazione del senso ad esse applicato. Limbo non si conclude, non può concludersi, fedele com'è all'assunto tematico che si impossessa della stessa struttura narrativa, ma, a ben guardare, il 'limbo' cinematografico di Sayles ultimamente si è concluso ben poche volte con una saturazione del racconto: Stella solitaria vedeva i due protagonisti, impossibilitati all'amore da un fato beffardo, guardare lo schermo bianco di un drive in abbandonato senza chiarire quali fossero le loro reali intenzioni di coppia; in Angeli armati una ragazza guardava piena di speranza il picco di una montagna con l'intenzione di scorgere un nuovo Eldorado, ma il suo sguardo sorridente si perdeva senza chiarimenti nella lontananza del punto di vista. Sayles non riconcilia e non fornisce false speranze: il mondo è questo, lo si può solo osservare, capirlo forse sarebbe troppo.