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Il Senatore - Bulworth
Anno: 1998
Regista: Warren Beatty;
Autore Recensione: adriano boano
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 24-06-1999


Bulworth
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Bulworth


Regia: Warren Beatty
Sceneggiatura: Warren Beatty, Jeremy Pikser
Fotografia: Vittorio Storaro
Montaggio: Robert C. Jones, Billy Weber
Musica: Dr.Dre, Public Enemy, Ice Cube, Ennio Morricone
Costumi: Milena Canonero
Designer: Dean Tavoularis
Produzione: Warren Beatty
Distribuzione: 20th Century Fox.
Formato: 35 mm.
Provenienza: USA
Anno: 1998
Durata: 1 hr. 47 min.

Warren Beatty ... Jay Bulworth
Halle Berry ... Nina
Oliver Platt...Murphy, l'operatore politico
Joshua Malina...Feldman, l'assistente
Jack Warden...Davers, l'avvocato
Christine Baranski...Constance, la moglie
Paul Sorvino...Crockett, l'assicuratore lobbista
Richard Sarafian...Vinnie, l'intermediario del killer
Don Cheadle...L.D., leader delle gang di South Central
Isaiah Washington...Darnell, il fratello di Nina
Amiri Baraka...l'homeless angelo custode di Bulworth

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La foto di Malcolm X è il primo segno significativo che emette il film: risulta ancor più significativo perché immersa in una cascata di spot elettorali evanescenti, insinuanti, al contrario di quella foto potente per il contrasto insito nella figura massimalista del leader dei musulmani neri: la proposta intransigente di quella icona salta subito all'occhio. Poi quella figura rimane sempre vigile, ma un po' defilata, perché il radical Beatty comincia sotto gli occhi vigili della telecamera onnipresente


(il pubblico è incarnato dalla imperturbabile addetta tecnica nel camion e nei suoi commenti si riconosce, uno degli stereotipi del cinema americano che rendono familiare il linguaggio di Beatty, non sperimentale sicuramente, nonostante i riferimenti al periodo rivoluzionario '70s: si riavvicina al periodo della blaxploitation senza adottarne filologicamente i canoni come invece avviene in Jackie Brown di Tarantino)

ad inanellare elementi utili alla costruzione di una rete di informazioni fornite per ottenere un'immagine un po' farsesca della società americana sullo sfondo della quale far scorrere la commedia tragica, un approccio ineluttabile avendo come presupposto l'indicazione di alcuni colpevoli delle storture di quella società, tanto adorata al di qua dell'Atlantico da volerne ereditare gli aspetti più atrocemente antisociali come lo strapotere delle assicurazioni, muse ispiratrici di Bonino e Pannella.

"Chi scuce i soldi poi vuole comandare"

E proprio la lobbie assicurativa è centrale in ogni snodo del film: l'accensione della polizza scatena l'affitto del proprio killer (come in Kaurismäki, ma senza il rovello esistenziale, che qui ha le fattezze del barbone con il suo tormentone: "Devi essere uno spirito non un fantasma"), però come un vendicatore nell'ombra emergono frammenti di quella che fu la rivolta nera in quantità maggiore e più minacciosa del killer: il film proiettato nel cinema è Superfly Blacula,

con l'allusione al film di Priest la blaxploitation prepara l'occupazione dello schermo da parte degli afroamericani, ottenuta completamente da metà film in poi, diventando parossistica dalla rivelazione delle conoscenze storico materialistiche di Nina, la bella ragazza nera, che godrà nel corso del film di un'evoluzione del suo ruolo ben tratteggiato: da casuale supporter a militante consapevole, da seducente e sinuosa ragazza di South Central a decisa controparte dei gangsta fino ad assurgere ad un ruolo attivo nella evoluzione del personaggio principale, di cui si seguono tutte le tappe e l'altrettanto dirompente crescita di una figura che esce dalla catalessi di giorni senza cibo e sonno con spirito rinnovato e risoluzioni inattese, cercando di evidenziare la schizofrenia delle situazioni per cui più uno è fuori di testa e maggiore è la sua audience, dove il comportamento apparentemente irrazionale è premiato dalla società mediatica, persino quando spara verità censurate, insolite per le primarie americane, e quindi anche in questo caso viene riproposto il rapporto con il moloch televisivo (Edtv, Pleasantville, Truman Show); la differenza è una superficiale presa di posizione nei confronti della tv (sbeffeggiata bonariamente dall'abbigliamento del protagonista che trascorre dalla cravatta rossa su completo scuro a berretto di lana occhialoni neri e pantaloni over-size)

compensata da una potentissima rappresentazione dell'emarginazione in chiave parossistica e amara, potenziata dai riferimenti nostalgici ai soggetti di culto del Black Power: dagli atleti a pugno guantato sul podio di Città del Mexico '68 a Huey Newton, l'indimenticabile leader delle Black Panthers: in fondo il giovane capo della gang di ragazzini non fa che aggiornare le parole militanti dei rivoluzionari degli anni '60, ribaltando il rapporto con la droga che distrusse la rivolta dei giovani di Oakland e utilizzando lo spaccio come resistenza contro il sistema delle assicurazioni. Ma più che le asserzioni retoriche, utili alle molte sequenze di dibattito o conferenza, l'atmosfera di rivincita sognata e auspicata si coglie nel volto radioso del ragazzino nero che dice: "Tutta la vita ho aspettato questo momento", di fronte al poliziotto costretto a chiedere scusa della sua arroganza e violenza ed è l'altra faccia del volto di Leroi Jones, poeta del ghetto nero degli anni delle rivolte, magistralmente cooptato nel film per svolgere il ruolo della coscienza non più soffocabile del senatore. Tutte le icone dell'antico vento di rivolta compaiono su uno sfondo che tende a catalizzare l'attenzione, affiorando sempre più per bucare lo schermo definitivamente con la scelta di lasciare tristemente a Amiri Baraka-Leroi Jones l'ultima poetica sequenza

Un aspetto interessante del lavoro di Beatty sulla rappresentazione della realtà traspare se si interpreta la decisione di decretare la propria morte da se stessi mettendolo in relazione con il bisogno da parte dell'oligarchia di occupare tutti gli spazi in ogni settore, dunque anche il ruolo del proprio killer va fagocitato dai pochi che prendono decisioni, uno dei quali è Bulworth, ganglio essenziale del sistema autoritario oligarchico: infatti la decisione viene presa prima che si abbia sentore della svolta, che coinvolge anche il taglio narrativo, sempre più surreale (l'apoteosi dell'opera buffa è nell'episodio del cono gelato, ma fa capolino fin dai brani rap e non a caso si dipana lontano dalle telecamere), fino a rifluire nelle luci e nel taglio giornalistico dell'esecuzione finale, ma sfocando poi nell'acquerello del clochard che chiude il racconto, reclinandosi sul passato di tutti quei riferimenti rispolverati.

Solito appunto da sollevare riguardo allo sconcio che deriva dal voler doppiare perfino le performance di Beatty in veste di cantante rap, una inveterata prassi mai sufficientemente stigmatizzata che rende ridicole intere sequenze, le quali possederebbero probabilmente valenze tragiche e di denuncia, mentre così contengono solo gli estremi per una denuncia da parte dell'attore di Reds. Invece un po' sfruttata, ma efficace, risulta la figura dell'homeless in seguito all'incontro del quale il senatore completa la sua ribellione e a cui è affidata la chiusura della cornice che racchiude la vicenda assumendo così i toni dell'apologo, annacquando però lo "spirito" radical che a tratti perfora la patina di retorica spalmata a piene mani negli interventi direttamente in macchina come l'invito ad eliminare i bianchi, i neri, i gialli: "Scopiamoci a vicenda finché non saremo dello stesso colore"; una sequenza costruita bene, perché l'esordio viene lasciato in sospeso e pare un chiaro invito alla rivolta ("eliminiamo i bianchi" detto da un senatore bianco risveglia l'attenzione), per poi deviare verso il più pacifista percorso scelto.