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Carne tremula
Anno: 1997
Regista: Pedro Almodovar;
Autore Recensione: Adriano Boano
Provenienza: Francia; Spagna;
Data inserimento nel database: 27-01-1998


Come avviene in tutti i film di Almodovar le situazioni si trasformano repentinamente, seguendo i canoni del melodramma, che permettono variazioni di scenario infinite sull'orlo del plausibile attraverso un repertorio di malintesi, volti a condurre sulla scena della catarsi finale senza tergiversare attardandosi con espedienti che diluirebbero il brodo.

Però non è più sostenibile continuare a seguire i problemi dei soliti poliziotti frustrati (risalgono a Pepi, Luci Bom y Otras chicas del monton!!!) o l'amour fou (sublimato in La ley del deseo e in Matador), che termina con il reciproco omicidio degli amanti deuteragonisti. Persino le pratiche sessuali si ripetono ossessive (quante volte Victoria Abril si è appesa a qualche rastrelliera per godere maggiormente del movimento lubrico del partner, secondo i canoni del fumetto erotico? O quante posizioni plastiche Marina Serna ha assunte nei film della movida, quasi patinate per calendari?), almeno quanto le inquadrature sugli occhi del bel tenebroso (sfigatissimo per prassi), cercando di carpire l'intensità di uno sguardo che faccia presagire l'abisso di oscure passioni pronte a esplodere. Il regista giunge addirittura a enunciare il proprio processo creativo: colloca i personaggi "nel posto sbagliato per puro caso" e poi sta a vedere cosa capita nello sviluppo del racconto che è diventato maniera.

Quello che nei primi film era trasgressione nei modi di proporre la rivisitazione del melodramma, restituita come effervescenza anche politica grazie alla forma scanzonata con cui si riempivano i passaggi verso la catarsi finale, cadenzati da infinite trovate, si è andato affievolendo fino a proporre una fiacca adesione allo status quo ("Da tanto tempo non abbiamo più paura in Spagna"), apprezzabile perché c'è gente in giro, in contrapposizione al periodo franchista di vaga ascendenza metafisica, usato per documentare la nascita di Victor nel 1970, durante il corpifuoco; questa forma originale per documentare la stessa tristezza di Que echo yo para mercer esto? dura solo fino ai titoli di testa, con un ultima alzata di ingegno, la ricostruzione in bianco e nero dei servizi giornalistici sulla nascita in autobus (che nella poetica di Almodovar hanno preso il posto dei folli taxi, aggiungendo normalizzazione e sottraendo carica eversiva). Si crea così una sorta di cornice, una ciclicità forzata che appare quasi giustapposta per nobilitare un film privo della legittimazione politica ed estetica dei film precedenti. Ma la pezza è peggio dell'assenza, perché diventa adeguamento allo squallore del presente. Gli anni novanta hanno integrato anche Almodovar!

Rimangono brevi testimonianze della passata visionarietà del regista mancheco, ma sono sporadici montaggi ad effetto, come lo sparo che fora il vetro della finestra di Helena e colpisce una delle vittime del barbablu di Estasi di un delitto (Enlayo de un crimen) di Buñuel, colto in uno dei suoi passaggi televisivi, ma è un istante che riesce solo ad evocare ben altri fasti (gli spot realizzati ad hoc in Mujeres al borde de un ataque de nervios).

Altrettanto interessante è l'idea di mascherare da lupo Victor, quando compare nell'asilo in cui lavora Helena, ma il fatto che lasci cadere le possibilità di sviluppo successivo la dicono lunga sulla perdita di mordente delle sceneggiature pensate dal faro della passata movida. Bella la scena madre dalla quale nasce l'intreccio: c'è il sospetto di una sorta di moralismo nella punizione del poliziotto, che rimane paralizzato forse perché si scopava la moglie del suo compagno, tuttavia la sequenza possiede guizzi di inquadrature e tensione, che si perdono un po' nel resto del film, probabilmente per la scarsa vitalità di Francesca Neri, che non riesce neanche a spiegare l'evoluzione del suo personaggio da tossica incallita a donna che scarica i sensi di colpa nel volontariato. Più intensa è la figura di Clara, la moglie di Sancho, il poliziotto alcolizzato e geloso, che viene usata da tutti e poi abbandonata e infine uccisa dall'insana passione possessiva del marito. Attraverso il suo stato si produce l'unica denuncia politicamente forte: "Sono espropriata e distrutta come questo quartiere" è una delle frasi non solo ad effetto, che hanno uno spessore d'intervento sulla realtà ben diverso dal prono consenso al sistema offerto dal resto della pellicola. Purtroppo pare che rimanga maggiormente impressa invece la battuta di Helena/Francesca Neri, che agli approcci del marito paraplegico si nega: "Mi fa male perché ho scopato tutta la notte", ma al di là della pruderie dei maschietti presenti in sala, per i quali è inaccettabile una confessione così sincera, la provocazione non scalfisce le barriere di perbenismo del nuovo millennio. Proprio per questo si fa strada l'impressione che il cinema di Almodovar sia relegato ai fasti di un decennio fa.