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AntZ
Anno: 1998
Regista: Tim Johnson; Eric Darnell;
Autore Recensione: Adriano Boano
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 20-01-1999


AntZ
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Woody Allen ... Z-4195
Sharon Stone ... la principessa Bala
Sylvester Stallone...Weaver
Gene Hackman...il Generale Mandible
Christopher Walken...il colonello Cutter
Danny Glover... el guerrero Barbados
Dan Aykroyd... il Fuco Chip
Jane Curtin... l'ape Muffy
Anne Bancroft...la regina formica
Jennifer Lopez...la operaia Azteca
John Mahoney... la formica Scout
Grant Shaud...Foreman
Paul Mazursky... lo psicanalista di Z
Regia: Eric Darnell, Tim Johnson
Sceneggiatura: Todd Alcott, Paul & Chris Weitz
Artisti: John Bell, Don Weigner, Konrad Dunton
Scenografia: Kendal Cronkhite
Produttori: Aron Warner, Brad Lewis, Patty Wotton
Produzione: Dreamworks
Distribuzione: Uip
Formato: 35 mm.
Provenienza: USA
Anno: 1998
Durata: 83'
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Z la fantasia al potere. Anche se ideologicamente valgono tutte le riserve che accompagnarono Metropolis, il film di riferimento dell'intero canovaccio, che viene ricalcato pedissequamente in alcune suggestioni, come la sequenza finale ripresa dall'alto sulla disposizione circolare delle formiche sballottate dalle acque, proprio come nell'immaginario del capolavoro espressionista. Le perplessità sorgono di fronte alla semplificazione dei rapporti di potere, alla unione delle forze della conservazione in un abbraccio generale imbarazzante quanto la concertazione del finale nel film di Lang/Riefenstahl.

Al di là del discutibile lieto fine, ci si trova di fronte ad un'operazione che rasenta la perfezione nella tecnologia applicata: gli accorgimenti sono maniacali al punto che si indovinano dai movimenti labiali le parole inglesi pronunciate e di fronte ad uno sbadiglio non ci si può trattenere dal rispondere, la riproduzione dell'acqua che inonda le gallerie è precisa, i riferimenti puntuali ed evidenti: Pulp Fiction durante la cucaracha o il faccione di Sly, Gene Hackman scolpito nella prosopopea del generale o le armate che fischiettano marce militari e il silenzio di distruzione del campo di battaglia dopo lo scontro non evocano un solo episodio filmico, ma alludono a tutto l'universo cinefilo. E questo potrebbe diventare una pecca: poiché l'apologo che vorrebbe documentare la vera condizione umana, l'ingiustizia reale del destino, che impone dalla nascita i ruoli - splendida la sequenza in cui si assegnano i compiti alle larve -, le tangibili relazioni sociali di conflitto tra le classi (strano come in questo periodo al cinema divenga così impellente la rilettura marxiana del sistema, inversamente proporzionale ai successi del neoliberismo più spietato nella realtà del Fondo Monetario Internazionale) viene viziato dal dubbio che l'autentico riferimento sia esclusivamente filmico e solo lì si voglia isolare la possibilità di creare una comunità collettivistica fondata sulla collaborazione che insorga dal sollevamento popolare contro una dittatura militare, mentre nella realtà Woody Allen si permette di appoggiare pubblicamente il crimine dei bombardamenti su Baghdad e il film stesso dimentica nel finale i cartelli ("Rest once, work twice") di protesta, più incisivi del mellifluo Think Pink dei manifesti degni delle sconcezze retaggio della truffa sulla Qualità Totale che ancor campeggiano nelle officine Fiat evocate nelle gallerie di lavoro del film.

La fantasia al potere emerge nella sequenza in cui l'immaginario degli autori si libera dal canovaccio del film espressionista, esce nel sole e insegue il sogno di Insectopia a partire dalla rivendicazione dell'operaio rivolto alla principessa ("Ho un nome e qui non puoi darmi nessun ordine"): Campanella rivisitato in chiave hippies (i colori, lo svacco, i sogni sono quelli del pop '70s), dove la terra promessa al di là della pozzanghera-Mar Rosso è una discarica, paradiso per ogni tipo di insetti; non troppo solidali tra loro, perché l'indicazione che proviene dal film non è una demonizzazione della organizzazione degli sfruttati che prendono coscienza, pur tuttavia evidenziando la debolezza ed il condizionamento a cui sono sottoposti tutti i tentativi di insurrezione, che trovano linfa in un non precisato mito (Z non è chiaro chi sia, ma è l'emblema di un malessere). All'opposto la proposta del film è la rivolta dell'individuo, solita soluzione statunitense, che si contrappone al conformismo: quante volte viene ribadito l'invito a scegliere con la propria testa (la battuta finale è: "Stavolta l'ho scelto io"), per fortuna sempre accompagnato dalla ironia del personaggio di Woody Allen a rintuzzare la retorica. La ribellione non è mai radicale: Z non è un sovversivo. Semplicemente si accorge di storture e verbalizza i suoi disturbi: "Non mi sento adeguato a fare l'operaio" è una delle prime battute che si accompagna alla divertente quanto brutale rivelazione dello psicanalista: "Il sistema mi fa sentire insignificante", si accorge Z, e lo psicanalista-Mazursky di rimando: "Questo è un passo avanti. Infatti tu sei insignificante"; una reificazione che il fondamento radical della pellicola ribalta nel minuto di sovversione, dall'asserzione di un lavoratore ("Un operaio non può che lavorare") alla repentina presa di coscienza e alla diffusione della convinzione che la vita può essere diversa al termine della sequenza, il tutto dipanato in un climax che dà come avvenuta la rivoluzione: "Sono gli operai a controllare i mezzi di produzione". Ovviamente poi si stempera la carica rivoluzionaria, come in Metropolis, mostrando come si inneschino meccanismi demagogici, golpisti, un assemblearismo asfittico, machiavellismi; però, nonostante lo stereotipo, la figura del vecchio al bar che vede Insectopia con gli occhi dell'utopia rimane impressa molto più di Azteca, che completa il quadro di sfruttamento, dicendo: "A me piace il mio lavoro", subito stigmatizzata da Z come 'donna in carriera ossessionata dallo scavare'. Di tutt'altro tipo l'orgoglio della propria abilità professionale, esaltata con toni quasi da realismo socialista al momento di lanciare l'idea della 'scala': "Se abbiamo costruito questo, possiamo fare tutto"; e proprio a quella tradizione di ingegno, più che di sudore e muscoli, si possono attribuire due momenti visivamente spettacolari e geniali nella fattura: la creazione di un enorme maglio fatto dei corpi delle formiche lavoratrici e l'intera comunità che si trasforma in scala per salvarsi: sono due momenti in cui l'ideologia dell'individualismo deve lasciare il posto ad una solidale coralità di intenti commovente nel finale, come nel primo episodio si stemperava nel divertente fallimento del tentativo, a causa proprio di Z, che offriva l'aggancio per introdurre Mandible ed i suoi giudizi fascisti sui lavoratori.




I tanti momenti gustosi del film provengono da una tensione sociale e politica soffocata dal finale, risolti con soluzioni tecniche e ancora prima immaginifiche davvero eccezionali, che si avverte anche nei momenti dedicati al luna park o allo sfondo cromaticamente appagante delle rive del lago: persino tra le formiche, operose per antonomasia, alligna il bisogno di tempo liberato dal lavoro e la repulsione per la guerra e l'autoritarismo, sia contro i militari dopo la battaglia ("Non eseguire ordini tutta la vita: pensa con la tua testa" dice Barbados/Danny Glover), sia tra i civili tra i quali si annovera la odiosa (e quanto diffusa nelle officine) figura del capo stupido e ottusamente esecutore degli ordini, anche i più irrazionali.

Una nota particolare merita la sequenza in cui appare l'umano vero (non la sua metafora esopica): avrebbe potuto risolversi con la solita interazione tra uomo e bestie di cui abbiamo esperienza tutti, invece assistiamo ad una vicenda da seguirsi con il fiato sospeso, con Z aggrappato ai lacci delle scarpe come un novello Tarzan: un ottovolante che è delizia per gli occhi e divertimento e di cui l'uomo non si accorge; un'animazione eccezionale nella sua ideazione, almeno quanto è ineccepibile nel particolare delle molte gocce d'acqua che tracimano nella travolgente alluvione del finale.