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Slaves to the underground
Anno: 1997
Regista: Christine Peterson;
Autore Recensione: Adriano Boano
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 18-04-1998


Slaves to the underground

Slaves to the underground

Regia: Christine Peterson
Formato: 35 mm.
Durata: 92´
Provenienza: USA
Anno: 1997

visto al 13° Festival Internazionale
di Film con Tematiche Omosessuali
di Torino


In questa a tratti ben congegnata stigmatizzazione delle esistenze "riottose" a Seattle, statica, piovosa e provinciale citta', ci sono alcuni elementi poco convincenti: la scarsa propensione, eppure ripetutamente proposta, a conferire ritmo alla documentazione delle esibizioni canore del gruppo; lo sfilacciamento di alcuni personaggi, che anziche' ricreare l'idea di comunita', fanno convergere l'attenzione sui tre protagonisti, relegando sullo sfondo il contesto di punk, fanzine e negozietti di tendenza; la verbosita' delle dichiarazioni femministe; la banalita' della scelta della maglietta di Jimmy (il poster di Harry, a portrait of a serial killer, tanto vituperato da Moretti), trattandosi di una situazione che prende spunto da uno stupro, come anche il manierismo della citazione filmica: e' una forzatura inutile porre a confronto il film della coppia etero, Ghost, con la Biancaneve delle due lesbiche e non aggiunge nulla al film lo scherzo di chiamare Alan Parker il deputato al congresso agganciato da Susy nel finale; la sensazione che il ribellismo messo in scena sia superficiale, a partire dall'intrusione nella radio della banda di militanti per la causa, proposta con toni tanto caricaturali da restituire l'episodio in senso quasi di biasimo da parte dell'autrice, che affida all'ultima "confessione" di Shelley la definitiva trasgressione, ma solo ormai come pura volizione: una fantasia, retaggio dell'atteggiamento ribelle del periodo del gruppo, concluso con la partenza della compagna per Washington e con la conversione da solista ad un repertorio acustico, conciliante, rassicurante; in contrapposizione ai tre aggettivi scodellati dal discografico per etichettare il livello di grunge raggiunto della musica delle ragazze: "caustico, spigoloso, pericoloso".
Una scelta non da poco visto che in una discussione, ripresa con steady per strada allo scopo di conferire maggiore veridicita' alla rivelazione, la militante Susy rivela che per lei la musica e' solo un mezzo, mentre Shelley avanza il dubbio che per lei la musica sia la causa.

Di contro linguisticamente e' un film molto ben costruito. Splendidi i siparietti, affidati ora all'uno e ora all'altro protagonista al culmine della loro presenza all'interno di una sequenza (o, ancor meglio, durante una loro prolungata assenza, che ne richiede il rientro in scena): in essi si producono in estemporanei monologhi su argomenti a loro appropriati, che spesso esulano dal contesto, ma approfondiscono le loro caratteristiche, ripresi sapientemente incollando inquadrature sull'asse, ma con lievi variazioni di angolazione e vicinanza al soggetto, che movimentano questi brevi inserti. Ne risulta una sorta di interviste rivelatrici proposte con un ritmo ubriacante e un effetto quasi rotatorio attorno al soggetto che si svela, come se in questo modo (anch'esso grossolano dal punto di vista dello stile, ma efficace lessicalmente e adatto all'intreccio) cadessero tutte le difese.
Interesanti anche i raccordi contenutistici tra situazioni diverse: ad esempio lo stupro, a monte della scelta di Shelley, viene discusso al bar dalle ragazze dopo il pestaggio e l'allontanamento del colpevole, ed e' materia radiofonica che correla il rapporto tra le ragazze in branco (questa volta si invertono i ruoli), coalizzate contro i maschietti e l'episodio dell'irruzione nella radio. Altrettanto studiato e mediato dai primi Godard e' la sequenza in cui la macchina da presa oscilla senza soluzione di continuita' tra i due ragazzi,quando Shelley decide nuovamente il rientro nel gruppo: si ottiene proprio la sensazione di andare all'inseguimento delle ragioni di uno o dell'altro contendente, fino a interoompere il movimento sulle parole: "La mia musica e' importante".
Gesto piu' militante di altri e' l'umiliazione inferta in modo scanzonato e davvero provocatorio a Jimmy, costretto per amore a masturbarsi da Shelley: una bella rivalsa nei confronti del potere del cazzo e della sicurezza di poter arrecare piacere che accompagna tutti i maschietti. E fa il paio con la tortura dell'ultima notte in cui lei si appropria dell'oggetto-corpo di Jimmy, scopandoselo ("Enjoy it", gli dice, ribaltando proprio l'atteggiamento maschile di presunzione di trasmissione di piacere)
Notevoli inoltre i dettagli scelti per documentare le riprese di sesso, volte a dare risalto alle sinuose fattezze muliebri nel rapporto omosessuale, mentre per le scopate eterosessuali la regista preferisce un altro espediente registico utilizzato piu' volte: alternare vorticosamente brevi spezzoni di una trentina di fotogrammi l'uno; essi riassumono una situazione nella somma del loro montaggio, che rifiuta ogni criterio cronologico, esponendo ad esempio il momento in cui i due amanti si spogliano, frammezzato dal loro ormai avanzato coito, che segue il raggiungimento dell'orgasmo per poi tornare agli approcci iniziali in un martellamento circuitante che unisce l'intera sequenza facendone una marmellata di sensazioni e immagini affidate alla ricostruzione nella mente dello spettatore. Una tecnica gia' vista in Gravesend di Salvatore Stabile, proposto al Festival Cinema Giovani. (consultate il nostro sito)