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Marathon
Anno: 2002
Regista: Amir Naderi;
Autore Recensione: adriano boano
Provenienza: Usa;
Data inserimento nel database: 16-11-2002


Marathon

Marathon

Regia di Amir Naderi

sceneggiatura: Amir Naderi
fotografia: Michael Simmonds
montaggio: Amir Naderi, Donal O' Ceilleachair
suono: Amir Naderi
interpreti: Sara Paul, Trevor Moore
durata: 75'
nazionalità: Usa, 2002, b/n
produzione: Amir Naderi, New York, fax 1 212 6731467

Difficile inventare un diverso approccio a una città come New York: di nuovo uno spaesamento come spesso accade piacevolmente in questo festival. Sorpresa, ma anche tentativo di assegnare un ordine agli eventi attraverso la griglia ipermetaforica delle caselle di un cruciverba; anzi di 77 parole crociate. Certo che non avrebbe potuto accedere al festival veneziano: impensabile affiancarlo alla retorica di 11' -09-01, perché qui si scava nelle viscere di questa metropoli - come summa di tutte le città megalopoli del pianeta - adottando un sistema sinestesico capace di restituire parte della nevrosi accumulata non solo attraverso gli occhi, ma facendo del bombardamento sonoro una sinfonia che talvolta isola, ponendo in rilievo un assolo di un particolare strumento della città e talvolta invece li mescola in funzione di un'acquisizione distratta, dichiaratamente tale, eppure attenta.

Anche in questo caso (come per il film di Avary) ci troviamo di fronte a un flusso ininterrotto di input, simbolizzati dalle immagini iniziali sui binari, a sancire un legame tra percorsi mentali che uniscono sinapsi distantissime tra loro nell'esercizio dell'unione tra definizione e collocazione nel puzzle offerto dalle parole crociate delle definizioni, quando risulta evidente il doppio senso del termine "maratona": sia come spostamento spaziale, che come sfida con se stessi, fino ai propri limiti, che coincidono con quelli della città, che richiede sforzo e applicazione sempre: persino ricordare il suo nome - Gretchen - per il conoscente casualmente incontrato è una conquista ottenuta solo attraverso l'uso dei metodi che permettono la soluzione dei cruciverba e il premio non è altro che la soddisfazione di averlo ricordato. Anche la madre parla per rebus e sciarade (la disquisizione su "omelette"), come se fosse l'unica forma di comunicazione che sostanzia anche i contenuti.


È una gamma di grigi quella della tavolozza dell'autore di New York by Numbers e Abc Manhattan (gli altri due titoli della trilogia) che sembra restituire un "b/n pastello" sottraendo interesse al realismo, avvicinandolo agli intrecci di caselle nere e bianche delle parole crociate. Ciò che lo unisce ai suoi precedenti è l'ipercinetismo che trasla la frenesia della città in una patologia individuale, che impedisce qualsiasi comunicazione. Sintomatica a questo proposito la segreteria telefonica riempita dalla madre con frasi che mirano a mantenere una comunicazione, fallendo perché sta parlando a una segreteria consapevole che non avrebbe trovato la figlia e perché l'ossessione di Gretchen estromette tutto ciò che non ha a che fare con il record e questo la rende vulnerabile, in quanto è difficile trovare un equilibrio senza riconoscerlo in ciò che sta attorno a costituire il mondo. Di qui la difficoltà a trovare la concentrazione e il climax di isteria che si alimenta dalla frustrazione di non trovare l'armonia e lo stimolo per applicarsi. e la voce della madre - in effetti l'unica che ascoltiamo per tutto il film - funge da parametro spaziale e temporale, accompagna a distanza per lo più il nostro viaggio nelle viscere della New York meno patinata, scoperta nei suoi rumori base, ma anche oscena per quel costante movimento insensato, fine a se stesso come un puzzle (curioso come sempre durante il Torino Film Festival anche in Spider di Cronenberg si cerchi di mettere insieme le tessere di un mosaico, che rimane incompleto per l'impossibilità del visionario protagonista di raccontarsi il vero modo in cui è morta sua madre), come una maratona indetta contro se stessi, che poi è il ritmo paranoico che quella società si è imposta. Finché la neve ovattando l'alba blocca tutti i movimenti, disinnescando il fervore ipercinetico, e lascia assaporare la condizione di stasi, in contrasto con il costante movimento del traffico.

29 aprile 2000 Una presenza incombente, che diventa unica forma di normalità possibile: il caos portato a summa imprescindibile di ordine, da cui derivano ispirazione e concentrazione; l'immersione nei convogli in moto e nel loro sferragliare come unica fonte di rutilante conciliazione con gli input esterni è vissuta come abitudine a cui non ci si deve sottrarre, pena la distrazione e l'uscita dalla performatività, di cui lo stato di viaggio è irrinunciabile misura (come già nei film iraniani di Naderi). Solo alla cinepresa è dato cogliere la mostruosa bellezza dei treni stagliati in teleobiettivo che sembrano investire Gretchen, imperturbabile nel suo habitat fatto di suoni metropolitani, che ricostruisce a sua misura nell'appartamento. Ma che perdono il loro status di sfondo per diventare troppo preminenti, esaltando i disturbi (le voci) e mantenendo in sottofondo i rumori concilianti per la loro rassicurante presenza, mentre i cruciverba alle pareti prendono forme desunte dall'arte cinetica e programmatica degli anni settanta e il regista-fotografo d'arte sicuramente le ha presente quando dispone i crosswords in modo da esasperarne il tratto estetizzante e al contempo la forma elementare di alternanza di pieno e vuoto, bianco e nero delle caselle che formano figure ipnagogiche sui muri da cui occhieggiano. Per poi finire a brandelli, riprendendo i manifesti e i ritagli strappati di A, b, c Manhattan

Anche i bisogni sono azzerati: anche la sigaretta e l'acqua vengono in subordine alla determinazione e alla priorità data all'obiettivo da conseguire. Si comprende bene quale effetto devono aver fatto sul regista al suo arrivo in Usa tutte quelle monadi un po' autistiche in costante movimento come i suoi personaggi, sempre di corsa, ma in un contesto ben più "naturale".
Come avviene nel film presentato da Fitoussi al medesimo ventesimo Torino Film Festival lo sforzo è tutto rivolto a trovare la giusta cadenza, darsi il ritmo corretto e inserito nel resto che circonda il protagonista: più che nell'azione di svolgere il lavoro Gretchen appare arrovellata dal riuscire a ottenere - e soprattutto "mantenere" - una corretta condizione che ne consenta la performance, come se essere messi nella condizione di operare sia più importante che svolgere il compito, che poi è a sua volta esercizio per accantonare la nevrosi. Questa lotta tra cadenza ritmica ricercata e effettiva traccia di concentrazione è talmente ossessiva per il regista che la rende esplicita nella breve inquadratura in cui la ragazza adotta un metronomo, immediatamente abbandonato per evidente artificiosità del tichettio e incapacità di dare le coordinate temporali giuste in quel momento. Quindi tutto rimane affidato al caos organizzato di cui abbiamo assistito a una penetrazione della città a più livelli (il trasporto in bus al secondo piano interagendo con un mondo di infnite altre stratificazioni di percorsi che s'intrecciano, provocando quel brusio clamoroso che costella l'esperire la città).