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Les jours o je n'existe pas
Anno: 2002
Regista: Jean-Charles Fitoussi;
Autore Recensione: adriano boano
Provenienza: Francia;
Data inserimento nel database: 12-11-2002


Les jours o je n'existe pas

Les jours où je n'existe pas

Regia di Jean-Charles Fitoussi

sceneggiatura: Jean-Charles Fitoussi
fotografia: Céline Bozon, Thierry Taïeb, Aurèlien Devaux
montaggio: Pauiline Gaillard
suono: Erwan Kerzanet, Yolande Decarsin
interpreti: Antoine Chappey, Clémentine Baert
durata: 110'
nazionalità: Francia, 2002
produttori: Jean-Philippe Lbadie, Nathalie Eybard
produzione: Paulo Films, 5, rue Taylor, 75010 Paris, France, tel./fax 33-1-42066083, e-mail [email protected]

Un vero trattato filosofico, ma godibile, camuffato da storia di amore e solitudini. Le panoramiche non sono solo citazioni da Straub e Huillet, ma sono esegesi del loro cinema, possibilità di spiegarne a pieno il loro senso: che è innanzitutto temporale. Attraverso quelle panoramiche lente che percorrono la campagna in tutta la loro lunghezza consentono di acquisire ogni singolo elemento contenuto; il loro insieme è la possibilità di abbracciare una misura di tempo, proprio quella che serve per interpretare l'opera in cui sono inserite.

Ma ci troviamo anche di fronte a una tomba scoperta e a una richiesta di riempirla di terra, come in Il sapore della ciliegia, solo che qui non è in dubbio il mezzo espressivo o la verità che da esso promana; quello che è in dubbio è il residuo di esistenza che persiste in assenza di un ente. In fin dei conti quanto Essere è parte di noi in modo da consentirci di esistere anche in absentia, anche fra molto tempo.
Detto così può apparire banalizzazione di un'idea geniale di sceneggiatura, ma invece è parte di uno dei pochi dialoghi (la pratica filosofica per eccellenza) che occupa lo spazio che dapprima è del racconto didascalico sostituendo il sentimento d'amore condiviso, durante il quale ci si chiede: «Quando tutto sarà consumato e anche io lo sarò ... ci sarà qualcosa di palpitante seppur infimo, un fantasma di me che mi darà un'anima? Quando tutto si sarà confuso, come me con il vuoto, ci sarà ancora un atomo di me?»


E che aspetto avrebbe avuto nei giorni in cui non esisteva? Ma cosa significa che lui si confonde con il vuoto?
Qui s'insinua l'idea geniale, l'esaltazione dell'elemento cinema, l'interstizio che c'è tra un fotogramma e l'altro, l'esistenza della figura illuminata che sparisce quando il proiettore non getta sullo schermo l'immagine; un dubbio debordante dal limite dell'inquadratura, perché apre possibilità di speculazione infinite - e tutte che hanno al centro la morte e i conti che si devono fare con essa -, ribaltando soprattutto i parametri del tempo, nel film splendidamente colto dalla costante presenza dei giornali quotidiani, flebili e insufficienti punti di riferimento proprio in quanto rassicuranti sulla loro diuturnità senza fallo, nobilitato dall'attenzione alla patina che si posa sulle cose (e sui giornali, a sancire la loro effimericità, anzi strumenti di occupazione dello spazio: Storia che impedisce l'esistenza), quando non si esiste a renderle vive attraverso la percezione del loro esserci (esse est percipi). Ma in questo caso addirittura è messa in discussione la percezione di se stessi; il massimo dell'oblio: perdersi, perdere metà del proprio tempo, non esistere e non sapere nemmeno che fine si è fatta quando non si appartiene più a questa dimensione spazio-temporale. Lo smarrimento: il regista e l'attore interpretano bene il doppio senso del termine. Smarrito è l'equilibrio e la normalità del protagonista, e smarrito è lui di fronte al fenomeno che lo rende "diverso"

29 aprile 200020 aprile 2001 E la diversità si fa verbo quando un altro appartenente alla colonia di persone afflitte da una vita in "un mondo a parte" scandisce proprio quelle parole virgolettate, sancendone l'esclusione della propria compagna: si sentono affetti da una forma di apartheid e non riescono a intrecciare alcuna forma di relazione "duratura" (altro termine a loro precluso): tanto coloro che sono tagliati fuori da parte degli eventi, quanto quelli che ne vivono sincronicamente moltissimi, vengono ad acquisire una percezione del mondo tale che li rende unici; i parametri temporali su cui scandiscono l'esistenza li fa esemplari rari.

Ma in cosa consiste questa unicità? Il modo con cui è ripreso, spesso da solo, ritagliato nell'inquadratura fissa, rigorosa, che ritaglia i singoli oggetti contro un muro o sullo sfondo di un negozio, un po' statico, come se avesse paura di non impressionare la pellicola che invece registra distintamente gli oggetti inanimati in posa come per una natura morta, pronti a essere percepiti, sicuri di esserlo. Lui invece tentenna come se non fosse certo di "venire" nell'inquadratura. Inoltre i suoi discorsi sono sempre improntati a quella ossessione, l'essersi reso conto che sta vivendo un'anomalia particolarissima, come un Dormiglione di Wells/Allen, ma naturale e non congelato e in periodizzazioni brevissime, almeno i primi tempi.
È in base al parametro temporale che si adotta che si può dire quanto si esiste o meno; se si patisce di sospensioni dalla vita, che lasciano come un senso di inadeguatezza alla vita stessa che scorre per gli altri parallela come i due treni che quasi lo canzonano nell'inquadratura che li vede procedere appaiati, naturalmente affiancati e senza sbazi.

Non solo la percezione degli oggetti è componente utile a porre le basi per tentare di fare propria una scansione temporale che conferisca un senso unitario al mondo percepito, ma pure l'elenco puntiglioso, inarrestabile, di tutte le cose e persone effimere e anche la suite di Bach servono per riprendere il senso della realtà che ci circonda, per trovare un equilibrio nello squilibrio del deflusso temporale variato dalle sospensioni. Trovare un ritmo fato di oggetti, di partiture matematiche e campi/controcampi attorno a piatti di pollo e piselli.

L'apologo è racchiuso in una cornice, anche questa molto straubiana per la presenza dell'affabulazione, del racconto fatto in parte al chiaro di un falò, come in Dalla nube alla resistenza, tratto da Pavese, e la cornice contiene i testimoni, di cui si infarciscono le speculazioni filosofiche e i film rigorosi di Straub e Huillet: il ragazzino che troviamo alla fine di una panoramica in senso antiorario che completa e racchiude l'altra precedente in senso opposto, è testimone dell'esistenza di Antoine, e lo può essere perché è iniziato dal racconto del narrante, un deus ex machina che ha raccolto la confessione della ragazza: il racconto nel racconto... eppure l'affabulazione porta il giovane a evolvere da depositario della leggenda a testimone della esistenza a metà di Antoine fino a svolgere il ruolo di testimone del trascorrere della Storia in sua assenza, variando il parametro temporale di consapevolezza esistente, ma rimarcando la scansione invariabile della propria esistenza, specificando al momento dell'accordo nei pressi della tomba che lui fra dieci anni, quando si rivedranno avrà 23 anni e poi 33 e quindi 43 di poi 53, indi 63 e così via... Ma qual è il problema di Antoine?
La peculiarità da cui dipende il corpo centrale del film è che il protagonista, Antoine, esiste un giorno su due: allo scoccare della mezzanotte una volta su due, come in un incubo fiabesco sparisce per riapparire 24 ore dopo nello stesso posto, se non è ingombro il luogo da lui occupato al momento della sparizione, e completamente ignaro degli eventi a cui non ha partecipato. Ciò che gli rende invisa la condivisione con altri del mondo è che le sue conoscenze sono ridotte, si sente derubato di metà della vita e "cornuto predestinato", tradito da chi elegge a sua appendice nel mondo quando lui non può essere presente, solo per il fatto che assapora eventi a lui preclusi (tanto che al giovane non richiede di vivere per lui, ma di procurargli i giornali alla sua apparizione), quindi in realtà l'esistenza in vita non sospesa si direbbe che per gli autori sia riconducibile a quanto siè partecipi o perlomeno coscienti di quello che avviene nella contemporaneità. el momento in cui si coglie l'enormità della distanza con l'esistenza "normale" cadono addosso ad Antoine tutti gli eventi che capitano senza che lui ne abbia sentore. Può condurre a risultati di rifiuto totale dell'ermeneutica e delle filosofie fondate sul racconto, perché l'aspetto privilegiato è quello più fenomenologico: solo attraverso lo stato di veglia vigile si percepisce e solo quello stato consente di testimoniare la propria esistenza (soprattutto inuna società di immagini e informazioni), forse si potrebbe citare l'Heidegger di Essere e Tempo, quello di prima della kehre. come in parte potrebbe legittimare la struttura ciclica della pellicola, data dalla cornice che ripropone la stessa ragazzina che inizialmente conduce al cimitero, da dove - alla fine della cerimonia che sancisce quella sparizione tanto paventata - prende avvio il racconto, di cui i materiali maggiormente evidenziati paiono essere gli oggetti registrati, anche se pure loro appaiono effimeri, perché aggrapparsi al giornale del giorno prima può riservare la sorpresa che è trascorso un anno e contemporaneamente è sufficiente l'abbattimento di una casa, le vibrazioni del crollo, il sintomo di una nuova consunzione - e dunque del trascorrere del tempo che decreta la fine di un'epca legata a quell'edificio raso al suolo - per produrre il piccolo sisma che sposta la torretta di giornali che impedisce il ritorno all'esistenza: l'aleatorietà della vita e la perplessità di fronte alla sua manifestazione.