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Far from Heaven
Anno: 2002
Regista: Todd Haynes;
Autore Recensione: Andrea Caramanna-
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 04-09-2002


Far From Heaven 1

Visto a Venezia 2002

Far from heaven
Regia: Todd Haynes
Sceneggiatura: Todd Haynes
Fotografia: Edward Lachman
Montaggio: James Lyons
Produzione: Christine Vachon, Jody Patton, Killer Films, John Wells, Section Eight
Interpreti: Julianne Moore (Cathy Whitaker), Dennis Quaid (Frank Whitaker), Dennis Haysbert (Raymond Deagan), Patricia Clarkson (Eleanor Fine), Viola Davis (Sybil)
Origine: USA, 2002, 107 min., 35 mm
Sezione: Concorso

Isolare le forme come un cristallo lucente, indistruttibile, resistente al logorio incessante del tempo. Sia che lo si veda come esercizio artificioso, ricercato, raffinato di stile, sia come rinnovata riflessione sui limiti mobili della moralità umana, Far from heaven ci lascia semplicemente attoniti per la compostezza maniacale della messa in scena. Rigorosa, ossessiva, la mdp si ostina a mantenere gli stessi rapporti di sguardo dei film degli anni cinquanta, ed in particolare i melodrammi alla Douglas Sirk, ancora di più a rifilmare quella società che l'immaginario ha poi fissato in un genere cinematografico. Non c'è nel film una sola inquadratura che si abbandoni alla tentazione metalinguistica, la contemporaneità non riesce a filtrare neanche un istante. Solo come spettatori dobbiamo recuperarla, come vissuto, o esperienza che ci è trasmessa dai personaggi. Risulta così fortissimo, in questa ottica di tenace distacco, osservare clinicamente i vari protagonisti in azione. Laddove lo svolgimento di ogni evento è già la riproduzione fedele di un pensiero. Il razzismo è per esempio una misura, un metro reversibile. Una miscela i cui elementi possono esser cambiati ma alla fine il risultato non muta. Raymond è l'unico nero tra i numerosi bianchi che visitano la mostra d'arte contemporanea. Nella situazione opposta è Cathy l'unica bianca tra i numerosi neri nel bar dove Raymond si reca abitualmente. Le due situazioni, al di là di un effetto di consapevolezza in Cathy, sono equivalenti, appartengono alla stessa società. Forse i neri sarebbero stati lo stesso razzisti nei confronti dei bianchi, ma la Storia non ha mai mostrato questo evento e quindi non possiamo del tutto esserne sicuri. Naturalmente il pensiero razzista, omosessuali o donne o neri sono corrispondenti ma solo trattati in modi diversi, codifica direttamente il visibile. Non si può vedere una donna che parla in confidenza con un uomo nero, non si può ammettere in pubblico la propria omosessualità a meno di nasconderla sotto la falsa parvenza di malattia. Ogni scena è intensa nella sua incisiva trasparenza del pensiero, senza sottolinearne l'assurdità, senza insistere per costruire la risposta di indignazione nel pubblico. Si ha insomma l'impressione che tutti i comportamenti siano variabili, che alla fine si fissino in immagini di un cinema che è automaticamente antropologico proprio nella sua dimensione di specchio della vita.

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