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Riccardo III - Looking for Richard
Anno: 1996
Regista: Al Pacino;
Autore Recensione: l.a.
Provenienza: Usa;
Data inserimento nel database: 17-05-1998


RICCARDO III

Looking for Richard (Riccardo III. Un uomo, un re), di Al Pacino. Con A. Pacino, K. Spacey, A. Quinn, A. Baldwin, W. Ryder, V. Redgrave, K. Kline. Usa, 1996.

Pacino dichiara una vera e propria "ossessione" per Shakespeare, e dedica al "Riccardo III" shakespeariano il proprio esordio dietro la macchina da presa. "Looking for Richard", cercando Riccardo, è un collage in cui si alternano frammenti di interviste a "uomini della strada", a critici ed esperti, discussioni tra attori, prove in scena, sopralluoghi di pre-produzione, lezioni agli studenti, sequenze di una trasposizione cinematografica del dramma ed estratti della rappresentazione teatrale dello stesso... Stratificazione di voci ed immagini: lettura - recitazione - discussioni - tentativi di approfondimento che rimbalzano tra Londra e New York, in una ricerca filologica storica ed artistica quasi febbrile, esasperata. Una cordata di attori americani capeggiata da un istrionico Pacino si confronta con i colleghi britannici e con esperti di tragedia elisabettiana, nel tentativo di risalire alle radici del "Riccardo III", di svelarne i segreti, di comprenderne tutte le implicazioni e le sfumature, di individuare, in ultima analisi, quegli elementi che ne permetteranno una messa in scena rispettosa del testo e rigorosa. Insolito quanto interessante il soggetto; altrettanto interessante, sebbene non inedita, la formula che Pacino sceglie per svolgerlo; affascinanti le aperture liriche visive che a tratti squarciano il tessuto documentaristico, come ottimo è il lavoro sulla fotografia nelle sequenze in costume giocate sull'oscurità - da cui emergono i volti, in cui si intuiscono appena le forme, nella quale prende corpo la voce e si materializzano i versi. Formalmente, la ricerca di Pacino è ineccepibile; al contrario, piuttosto discutibile è il risultato complessivo dell'operazione e l'impressione che deriva dalla visione. Lo studio sulla figura di Riccardo si rivela presto essere puramente pretestuale per un'autocelebrazione di Pacino, delle proprie (indubbie, evidenti) doti attoriali: eccellente mattatore del grande schermo, si rivela altrettanto straordinario sul palco nel confronto con uno dei picchi che solo i migliori sanno scalare con disinvoltura. Piuttosto patetico il risultato sull'altro versante su cui si muove il film, ovvero il tentativo di sfatare il mito secondo il quale solo gli inglesi avrebbero le capacità di interpretare dignitosamente Shakespeare, mentre i cugini americani non ne sarebbero in grado - per presunta inferiorità culturale, per differenze linguistiche, per eccessiva e prolungata promiscuità col cinema. Il grande Pacino guida gli amici-colleghi in una full-immersion shakespeariana gomito-a-gomito con gli aristocratici britannici nella quale gli statunitensi ce la mettono tutta per risultare problematici, travagliati, colti, smaniosi di sviscerare il dramma, impazienti di trovare la chiave interpretativa, di imparare ad affrontare correttamente il pentametro giambico, di aprire come uno scrigno il proprio personaggio, ed infine di calcare la scena con piede sicuro: ma, come giustamente qualcuno osserva in una delle interviste, risultano davvero goffi. E maggiormente goffi risultano quando tentano di rispondere agli impetuosi ispiratissimi inglesi sventolando genuinità e pragmatismo tipicamente Usa. Il risultato è che si sente quasi fisicamente la distanza tra i due mondi... quello teatrale e quello cinematografico.