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Ovosodo
Anno: 1997
Regista: Paolo Virzì;
Autore Recensione: Andrea Caramanna
Provenienza: Italia;
Data inserimento nel database: 02-12-1997


Chi è Piero Mansani se non il Pip, protagonista di "Grandi Speranze" di Charles Dickens? Ovosodo ha un debito grandissimo con la bella letteratura e a ben vedere il film passa tra una citazione e l'altra, senza ammiccamenti intellettualistici o atteggiamenti snob; anzi sposando la cultura degli autori prediletti (in ordine sparso Dickens, Dostoievski, Pennac, Flaubert, Cassola, McEwan ecc.) con una visione-rappresentazione della vita aderente alla storia italiana degli anni settanta e ottanta, in particolare il quartiere popolare Ovosodo di Livorno

E non è soltanto questo il pregio di Ovosodo. Ci sono la scelta, molto oculata, degli attori, volti per fortuna sconosciuti, le cui espressioni appaiono sempre autentiche e naturali, la struttura del racconto, lo spessore dei personaggi. Meriti per i quali Ovosodo ha ricevuto il Gran premio speciale della Giuria all'ultimo festival di Venezia, suscitando le simpatie soprattutto della presidente Jane Campion.

Virzì scarta direttamente la middle-class, per occuparsi di proletari e altissima borghesia industriale. Piero appartiene al ceto popolare, il suo migliore amico, Tommaso, alla classe agiata. Frequentano la stessa scuola, hanno le stesse vedute culturali e politiche, partecipano ai vari movimenti scolastici dell'epoca come quello delle pantere. Ma alla fine i loro destini sono segnati: Piero da una parte, lavora come operaio nella fabbrica dell'amico, l'amico dall'altra, con la Saab, regalo "cafone" di compleanno che intende presto vendere, ma con in tasca il biglietto per l'America, verso una laurea prestigiosa in business administration, un altro destino quindi che non può certamente sottrarsi dall'appartenenza a una ricca famiglia. Ciò non significa l'infelicità di Piero perché la felicità è anche e soprattutto nelle piccole cose, cosicché Piero riscoprirà i piaceri della propria esistenza a portata di mano, anzi di piano.

Virzì dimostra di essere un cavallo di razza: perfetto il sincronismo delle scene giuocato su una circolarità apparente, montato egregiamente da Jacopo Quadri; la narrazione sempre molto vivace grazie a una scrittura curatissima (a tre mani, oltre Virzì, Francesco Bruni e Furio Scarpelli), a battute efficaci, compresa la voce off, utilizzata 'dickensianamente' per intrecciare le vicende e non solo, come spesso capita al cinema, a mo' di accompagnamento.

Tra le varie notazioni argute, divertenti la boria ipocrita e il vuoto spirituale di certi rampolli (davvero gustose le loro risposte da bon ton alla professoressa il primo giorno di liceo), le frecciatine ai programmi ministeriali rei di annoiare i poveri alunni con troppo Manzoni, troppo Pascoli e Carducci (ma non si salva neanche D'Annunzio), le "graduatorie della scalogna" compilate dagli uffici di collocamento. E non manca la critica verso il rozzo padre, rappresentante di un'umanità "bestiale", che rutta come scopa, capace di portarsi a casa l'amante già in cinta di sei mesi, subito dopo la morte della moglie, madre di Piero.