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Niente per bocca - Nil by mouth Anno: 1997 Regista: Gary Oldman; Autore Recensione: l.a. Provenienza: UK; Data inserimento nel database: 04-06-1998
Untitled
Niente per bocca; tit. or.:
Nil by Mouth; regia: Gary Oldman; sceneggiatura:
Gary Oldman; fotografia: Ron Fortunato; musica:
Eric Clapton; scenografia: Hugo Luczyc-Wyhowski; costumi:
Barbara Kidd; montaggio: Brad Fuller; prodotto da:
Luc Besson, Douglas Urbanski,
Gary Oldman; cast: Ray Winstone (Ray),
Kathy Burke (Valery), Charlie
Creed-Miles (Billy), Laila Morse
(Janet), Edna Doré (Kath), Chrissie
Coterill (Paula), Jon Morrison
(Angus), Jamie Forman (Mark), Steve
Sweeney (Danny); produzione: SE8 Group;
UK, 1997; durata: 128'.
Livido, cupo, un notturno che invade anche
il giorno, si insinua nella pelle, scava rughe, arriva alle vene
e vi filtra, le impregna, e scorre come alcool e "roba"
fino a raggiungere l'anima, incastrandola nell'abbrutimento di
qualcosa di negato-odiato-rimosso che ritorna e crea un loop
cui non si sfugge: l'inferno è stato, è e sarà
questo; vite imbottigliate in labirinti suburbani fatti
di interno-alloggio, interno-pub, interno-auto, corridoi a senso
unico verso il nulla, corse senza meta tra cemento-palazzi-prigioni
della periferia meridionale di Londra, dove le luci sono distanti
come bagliori dietro il parabrezza, e quelle più vicine
sono fiamme che scaldano cucchiaini anneriti dal manico piegato,
stagnola, braci e tossiche ceneri... Gary Oldman, straordinario
interprete di personaggi d'azzardo, travagliati-ossessionati-paranoici,
che giocano il tutto per tutto ad ogni bivio, figure al limite,
sempre in bilico su un qualche baratro di violenza-isterismo-implosione/eplosione...
Oldman che, nella realtà, entra/esce in/da fiumi di alcool
e tutto-il-resto... Oldman: dove la separazione tra uomo e personaggio
può essere impalpabile... Gary Oldman esordisce nella sceneggiatura
e nella regia, realizzando un film dedicato alla memoria del padre
in cui pare esserci parecchio autobiografismo. Racconta la realtà
dei sobborghi londinesi seguendo a rotazione i membri di una famiglia
esplosa - un marito alcoolizzato e violento che vive di espedienti,
una moglie che viene regolarmente pestata a sangue, una madre
forte che si trova nell'epicentro di un terremoto infinito, un
figlio tossicodipendente che rimbalza senza sosta tra muri sempre
più grigi, bambini spettatori dal destino segnato. E' uno
spaccato (letteralmente: apertura come squarcio e finale socchiuso,
incerto) che Oldman impronta nettamente al realismo, attenuando
i filtri registici, scegliendo una forma essenziale, scarna, a
tratti quasi documentaristica: la macchina da presa è dentro
la materia narrata, immersa, travolta, trascurata, oscurata; l'immagine
è sporca; l'inquadratura vibra; i cambi di campo sono ruvidi;
il montaggio è nervoso, senza artifici; l'occhio non esita
né indugia... Soluzioni formali che conferiscono oggettività
alle immagini, al dramma: che trascinano dentro, fino al
nocciolo di pura tensione. Un'atmosfera claustrofobica si instaura
fin dalla prima inquadratura e si sviluppa, e si rafforza, e si
fa immagine dell'ineluttabilità dei destini dei personaggi,
di minuto in minuto, di sequenza in sequenza, di quadro in quadro:
il crescendo di violenza va di pari passo con la presa di coscienza
e lo svelamento dei personaggi. Film forte, senza compromessi,
duro; la ricerca formale di Oldman è riuscita e rigorosa,
perfettamente aderente alla materia trattata; gli attori sono
straordinariamente credibili, i personaggi emergono nella loro
complessità - e spaventano per gli abissi che ci indicano,
che racchiudono, che ci fanno intravedere; eppure il film vive
di una schizofrenia interna: è estremamente convincente
e, al contempo, non riesce a convincere del tutto... convincente
nella sua coerenza; meno convincente perché è come
se si conoscessero già le tappe dei percorsi che lo attraversano,
troppo vicino (per quanto più riuscito) a tanti altri drammi.
Oldman sulla pagina, dietro all'obiettivo: in uno specchio, probabilmente.
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