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La Marquise d'O...
Anno: 1976
Regista: Eric Rohmer;
Autore Recensione: Luca Gennari
Provenienza: Francia;
Data inserimento nel database: 14-10-2001


No Man's Land

 

regia e sceneggiatura
Eric Rohmer
da Die Marquise von O... di Heinrich von Kleist

fotografia
Nestor Almendros
montaggio
Cécil Decugis
scenografia
Roger von Möllendorff
costumi
Moidel Bickel
suono
Jean Pierre Ruh
produzione:
Les Film du Losange, Gaumont, Janus Film, Artemis, United Artists provenienza: Francia
anno: 1976
durata: 107'
premio: speciale della giuria Cannes 1976

"In Kleist tutto è descritto dall'esterno, contemplato con la stessa impasibilità dell'obiettivo della mdp"… Eric Rohmer.

La Marquise d'O...

La Marchesa di O...


interpreti:
Edith Clever....... la Marchesa
Bruno Ganz........ il Conte
Edda Seipel........ la madre
Peter Luhr.......... il padre
Otto Sander....... il fratello
Eduard Linkers... il medico
Ruth Drexel....... la balia

 

 




Nel 1976 Eric Rohmer trae dal racconto omonimo di Heinrich von Kleist un adattamento quasi letterale, il film La Marquise d’O..., ambientato in un castello vicino a Norimberga e girato in tedesco antico e con attori di provenienza teatrale.
Questa, in breve, la storia. XVIII secolo, Italia settentrionale: durante un assedio la figlia del governatore (Edith Clever), assalita da un gruppo di soldati nemici, viene salvata da un conte (Bruno Ganz). Dopo qualche mese la donna scopre di essere incinta, senza sapere cos’è successo, e viene ripudiata dai genitori. Decide allora di mettere un annuncio sul giornale per scoprire l’identità del padre del bambino, che si rivelerà essere il conte.

È un film importante, che segna per Rohmer la prima incursione nella Storia, ed è un film giocato sui paradossi della visione e sulla complessa relazione tra vedere e sapere. Con questo film il maestro francese ci offre un bellissimo esempio di citazione per così dire intelligente: una citazione che compie un lavoro molto importante ai fini dello sviluppo diegetico, strutturale e figurativo del film.
Tutto il film di Rohmer ruota attorno all’episodio chiave dello stupro non mostrato subito dalla protagonista. Nella sequenza in cui si allude a tale episodio, Rohmer inserisce un’inquadratura che costituisce una vera e propria citazione del celebre quadro L’incubo di Füssli. Ma il plan-tableau (P. Bonitzer) costruito dal regista francese presenta un’evidente e significativa variante rispetto al dipinto: mentre la composizione figurativa e il taglio dell’inquadratura rispettano le dimensioni e le proporzioni del quadro, e Edith Clever è filmata nelle vesti e nella posa riversa della donna addormentata di Füssli, è omessa la raffigurazione della creatura mostruosa che nel dipinto emerge dall’oscurità, ossia la figura stessa dell’Incubo. Non si tratta certo di un’omissione irrilevante, che possa passare inosservata.
La citazione, non ci sono dubbi, ha un’importante funzione intertestuale, nella misura in cui il riferimento pittorico contribuisce in maniera decisiva ad arricchire le connotazioni della scena considerata. Ma non si tratta semplicemente di un volgare mezzo per giungere ad una sorta di verosimile culturale, dato che Füssli è all’incirca contemporaneo di Kleist. La citazione svolge piuttosto una fondamentale funzione metatestuale: è la citazione a farsi carico dell’ellissi (lo stupro non mostrato) al centro del film. La figura dell’Incubo è omessa dall’inquadratura-citazione, così come la scena di violenza lo è dal racconto filmico: la citazione, dunque, come metonimia dello stupro e allo stesso tempo metafora della sua ellissi, del segreto alla base del film.

Quasi tutti i film di Rohmer, del resto, tendono a svilupparsi a partire dall’ellissi di un segreto, di un’immagine-chiave. Nel caso specifico il plan-tableau-citazione si integra in maniera perfetta nella diegesi del film, simulando al proprio interno lo sviluppo finzionale dell’intreccio. Non siamo di fronte ad una semplice strizzatina d’occhio allo spettatore colto e raffinato, capace di riconoscere la fonte pittorica di un’inquadratura; né siamo di fronte ad un banale caso di correttezza filologica nella ricostruzione scenografica. Né infine sembra trattarsi di un omaggio del regista ad un artista amato. La citazione, lungi dall’essere un’esibizione gratuita, fine a se stessa, svolge un complesso ‘travail’ che si offre all’interpretazione, caricandosi di una sorta di necessità interna e coinvolgendo lo spettatore in un raffinato gioco di illusione e smentita innescato dal trompe l’œil.