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DIE STILLE NACH DEM SCHUSS - Il silenzio dopo lo sparo
Anno: 2000
Regista: Volker Schlöndorff;
Autore Recensione: Andrea Caramanna-
Provenienza: Germania;
Data inserimento nel database: 14-05-2001


DIE STILLE NACH DEM SCHUSS

DIE STILLE NACH DEM SCHUSS
Il silenzio dopo lo sparo

Regia: Volker Schlöndorff
Con: Bibiana Beglau, Nadja Uhl, Martin Wuttke
Sceneggiatura: Wolfgang Kohlhaase e Volker Schlöndorff
Direttore della fotografia: Andreas Höfer
Montaggio: Peter Przygodda
Produttori: Friedrich-Carl Wachs, Arthur Hofer, Emmo Lempert
Produzione: Babelsberg Film/Potsdam in coproduzione con Mitteldeutsches Filmkontor/Lipsia, MDR/Lipsia
Con il sostegno di: Mitteldeutsche Medienförderung
Festival: Berlino 2000, Orso d'Argento -migliori interpreti femminili, San Francisco 2000, Seattle 2000, Sydney 2000, Riga 2000, Montreal 2000, Toronto 2000
Germania 2000, 104 min., colore, sottotitoli italiani
Vendite internazionali: Bavaria Film International/Monaco di Baviera
visto al Festival del cinema tedesco Palermo Napoli Milano – Maggio 2001

La recente storia della Germania, la caduta del Muro permettono di indagare storie, scoprire percorsi che mostrano molto chiaramente il senso di lutto per una perdita totale di punti di riferimento. E potremmo senz'altro nominare questo passaggio storico "fine delle ideologie", e nondimeno vittoria definitiva del capitalismo sulle utopie comuniste. La storia di Rita Vogt, con palese riferimento al terrorismo degli anni settanta, è uno spaccato preciso di vita vissuta e di una scelta di vita estrema, quella di combattere il nemico con il sangue, anche quello di vittime innocenti. Il film si apre con la sequenza della rapina. sembra quasi una citazione svagata da centinaia di action movie. C'è un'atmosfera divertente, erotica e ludica. Corpi ancora giovani che hanno voglia di cambiare il corso della Storia, sentono il fremito degli eventi e ogni azione è attraversata da quella profondità di senso che spinge a giustificare qualsiasi conseguenza. Tale punto di vista è subito oggetto di critica, quando nel corso della liberazione del compagno di Rita, Andi, l'avvocato penalista viene ucciso. Le cronache televisive ci informano poi che l'uomo si era occupato per la prima volta di terrorismo. È breve questo prologo, eppure già manifesta tragicamente l'ambiguità e le dissonanze intrinseche alla vita del terrorista. Il film prosegue sviluppando l'incessante precarietà, e anche crisi di identità, quando Rita decide di abbandonare il terrorismo. In realtà non può farlo, nonostante sia protetta dai servizi segreti, altra ambiguità che cresce fino ad esplodere, e l'abbandono autentico, la libertà di andarsene coinciderà semplicemente con l'unica prospettiva possibile: di essere arrestata o uccisa brutalmente dal primo poliziotto che la ferma e la identifica.
Nota bene Alberto Cattini, nel volume contenente la sceneggiatura del film (la collana è curata con la solita precisione e sensibilità dal Circolo del cinema di Mantova): "Una volta caduto il Muro, la linea si mostra per quello che è. L'aspetto essenziale della realtà è il niente, il nichilismo totale. L'eros , la politica, la militanza, la solidarietà, l'operaismo, ciò che faceva esistere Rita, tutto è svanito, c'è solo la morte". Il terrorista così appare come una grottesca marionetta nel teatrino manovrato dai soliti oscuri potenti.
Il silenzio dopo lo sparo descrive il percorso angosciante che prelude alla suddetta scoperta del Nulla. Ancora Cattini nota che "Schlöndorff è ricorso alla poetica del film in viaggio: scene brevi, dialogo scarno, montaggio nervoso, e personaggi definiti dai comportamenti tenuti nel corso dell'azionec Il film corre con ogni mezzo di trasporto. Rita si allontana a piedi dalla banca. Subito dopo, tutto diventa più difficile, ansioso e angosciante, e a diversi mezzi di trasporto ricorre. La vediamo scendere dall'aereo giunto da Beirut; guidare un furgone davanti alle carceri e allontanarsi a forte velocità; sul treno che congiunge l'Ovest e l'Est; risalire sull'aereo per il Libano; correre in motocicletta lungo la Senna e fuggire per il centro, perfino in senso vietato, inseguita dal poliziotto; sull'auto della Stasi e il furgone con i compagni nella foresta; prendere un tram per andare al lavoro; con la Trabant insegnare a guidare a Tatjana; salire sull'auto di Hull che l'abbandona su un ponte; infine alle spalle di un motociclista, rubargli il mezzo e forzare il blocco stradale". Ma Rita sembra correre anche nei rapporti umani, quando con tutta la foga possibile tenta di conquistarsi un'esistenza normale, il lavoro come operaia, e le intimità e le tenerezze di un nuovo amore. Questa fretta è sottolineata perfettamente in un dialogo. Rita insieme alle altre tre colleghe operaie svolge un lavoro volontario in una colonia estiva per bambini. La collega Beate appare vivamente gelosa del suo modo di fare: "Ti sei buttata a capofittoc" (su Jochen, il bagnino della colonia) le dice. E poi ancora per punzecchiarla , quando ricevono il premio per il lavoro svolto: "Questo non te lo saresti aspettato: ricevere un premio per scopare". Rita ci appare non meno solidale ed affettuosa con Tatjana, con la quale sboccia un amore che è troncato da quella ineliminabile condizione: il passato di militanza che la costringe a vagare come una belva braccata dal cacciatore (non a caso il film contiene una sequenza di battuta di caccia), e a cambiare sempre identità.